mercoledì 31 marzo 2010

Della Lega


Settimana scorsa come altre migliaia di persone sono rimasto incollato alla rete e alla televisione satellitare a guardare l'esiliata trasmissione di Santoro, una sorta di chiamata alle armi pre-elettorale per il popolo del centro sinistra. Certo! una boccata d’ossigeno in una televisione asfissiata da un misto di forzismo propagandistico, buonismo e ottimismo diffuso. Certo! un programma che mi ha fatto ridere, sorridere, incazzare. Ma mentre la sinistra e gli elettori di sinistra sono confinati in una sorta di televisiva riserva indiana e i dirigenti degli stessi partiti di sinistra se la suonano e se la cantano, e le anime della sinistra stessa dopo la diaspora sono ancora alle prese, nonostante il Partito Democratico, con lotte interne, alla ricerca della vera anima del partito, c’è un partito "normale", per dirla con Ilvo Diamanti, editorialista de La Repubblica, che ha ancora una volta vinto le elezioni: la Lega.

Secondo Diamanti è proprio il partito d Bossi l’unico vero partito rimasto in Italia fra tanti partiti leggeri, mediatici o alle prese con lotte intestine. La Lega è una cosa diversa, anche oggi che agisce come Lega di governo, sia a livello nazionale che territoriale.
Ora possiamo dire che è il partito più centralista e più inscalfibile di questa seconda Repubblica, gestito in modo padronale quasi monarchico da Bossi e dai suoi fedelissimi, che poi abitano nel raggio di pochi chilometri da lui; possiamo anche dire che è facile fare un partito così solido quando si costruisce un partito così chiuso e dove il dialogo democratico tra le parti, e quindi lo scontro tra esse, è quasi nullo, dove cioè comanda uno solo – o un gruppo –; ma è confrontando le cifre che ci si accorge che non è così facile liquidare il fenomeno Lega. La lega esprime il sindaco in 355 comuni, il presidente in 14 province e il governatore in 2 regioni. Alle elezioni europee del 2009 si è imposta come primo partito in oltre 1000 comuni su quattromila del Nord, e laddove non governa determina le scelte dei sindaci in carica. Ha una leadership forte, personalizzata e centralizzata. È impiantata solidamente nei capoluoghi storici, Varese e Bergamo, della Lombardia, e Treviso, e da qualche tempo anche a Verona, in Veneto. Nel governo, i suoi uomini presidiano dicasteri importanti e strategici: Maroni all'Interno; Calderoli alle riforme istituzionali; infine Zaia, neo governatore del Veneto e anche neo punto di riferimento del nuovo leghismo, all’agricoltura, che proprio Zaia ha trasformato da ministero minore in un dicastero ad alta visibilità, in quanto evoca la terra, il senso di appartenenza, la tradizione. Potremmo anche dire, per fare gli avvocati del diavolo, che in vent’anni di governo non sono riusciti a portare a casa niente, non la secessione, ovviamente, nemmeno il federalismo, che propagandano dal 1986, più o meno, ma neanche uno straccio di federalismo fiscale, tuttavia la Lega rimane ancor oggi il partito più radicato a nord. Un partito che da venticinque anni allestisce gazebo nelle piazze, propaganda Merchandising, mobilita quasi tutti gli iscritti, e continua a fare proselitismo fuori dalle scuole e dai licei. Su dieci studenti tre o quattro subiscono ancora il fascino della sinistra di lotta, della sinistra alternativa e del mondo dei centri sociali, mondo al quale appartengo ma che per primo credo sia fuori moda, fuori tempo massimo e fuori dal mondo in cui oggi si vive, un mondo diverso da quello in cui eravamo noi giovani di fine XX secolo, gli altri sette reagiscono imbracciando la spada leghista. Ma il leghismo che parla alla pancia della gente parla anche agli operai, raggiunge tanto i piccoli imprenditori, quanto i loro operai, siano essi della brianza, del Piemonte e del triveneto; e li raggiunge proprio quando sono al bar, all’uscita della “fabbrichetta” che gestiscono o in cui lavorano. La Lega parla con la gente e sta con la gente, soprattutto ascolta la gente e poi dice alla gente ciò che essa si vuole sentire dire.

La Lega è un partito solido che ha sorpassato anche la crisi fisica del suo leader, quando tutti pensavano che il crollo fisico del condottiero leghista avrebbe portato alla disfatta del partito creato proprio da lui, beh non è andata così. La Lega parla alla pancia della gente? Si, credo proprio che la Lega parli alla pancia della gente, ma chi parla al suo cuore? Chi dall’altra parte, dalla parte della sinistra, ha la forza di parlare al cuore delle persone? Chi ha la credibilità morale per farlo? Non certo questa dirigenza burocratica e classista che in vent’anni non è riuscita a collezionare null’altro che sconfitte su sconfitte; una classe dirigente che interviene sempre e prontamente per fermare quasi tutti i tentativi di riforma interna, anche laddove sa di esser sconfessata da tutti tranne dai suoi fedelissimi. E mentre la Lega continua nel suo lungo e duraturo lavoro di radicamento, la sinistra preferisce la via della secessione interna alla via della vera riforma. Ma di chi è la colpa se non di una classe dirigente arroccata nei suoi posti a tutti i livelli, dal livello locale, che riflette la situazione generale, dove gli stessi sindacalisti-politici comandano da anni, al livello nazionale, dove da circa trent’anni si susseguono e si inseguono i vari D’Alema, Fassino, Veltroni, Franceschini, già leader perdenti dei vari movimenti giovanili deglia anni ’70 e ’80, nonché allievi e portaborse dei vecchi segretari degli anni '60 e '70. E allora chi vuole tentare di riformare il partito quale strada ha se non quella di creare un nuovo, l'ennesimo, partito? Guardate il caso di Di Pietro – non sono un suo fan ma guardate il suo caso –: egli voleva candidarsi come leader del PD, entrando nel PD e cosa gli è stato risposto? O guardate il caso di Vendola, che doveva esser tagliato secondo i dirigenti romani. Come questi ci sono altre centinaia, migliaia di casi. Niente. La sinistra non vuole riformarsi, cambiano i nomi ma le persone rimangono e i giovani vengono relegati a ruoli assolutamente marginali. Così non si può continuare. La tradizione di sinistra non è nell’inseguire le istanze della gente, ma nel precorrerle e nel capire prima le cose. Oggi non è così, oggi questa classe dirigente oltre a non ricercare non vuole nemmeno ascoltare.

Ma forse ha ragione il nostro presidente del Consiglio: è impossibile sconfiggere il partito dell'Amore, l'Amore vince sempre sull'odio... Ahahahah

martedì 30 marzo 2010

Lombardia: in morte della sinistra


E' un po' di tempo che non scrivo di politica, ma questa sera non posso non farlo. E' infatti troppo tempo che l'ultima sera delle tornate elettorali, siano esse politiche, amministrative, europee, o referendum, ecc, si conclude allo stesso modo, almeno per me, con un velo di tristezza misto a una grande incazzatura. Cambiano gli addendi, o fanno finta di cambiare, ma il risultato è lo stesso: una più o meno netta sconfitta della politica di centro sinistra. La tristezza, dicevo, è accompagnata dall’incazzatuta e anche stasera abbiamo assistito alla solita sfilata dei dirigenti del maggiore partito di centro sinistra – già perché ormai Rifondazione è praticamente scomparsa – che a turno non ammettono la sconfitta e non ammettono che è tempo di cambiare davvero e di andare a casa. Basta, non ne possiamo più, dovete andare a casa. Dovete lasciare il partito in mano ai giovani, dovete farvi da parte, dovete cambiare davvero! Il Partito Democratico così com’è ha fallito: Veltroni ha fallito, Bersani ha fallito, D’Alema ha fallito, la dirigenza della vecchia Margherita ha fallito. Andate a casa, tornate alle vostre famiglie e al vostro lavoro – sempre che dopo anni di partitocrazia ne abbiate ancora uno –.

Prendiamo ad esempio il nord. Al nord la sinistra ha perso, la sinistra al nord non esiste più. Gli intellettuali sono stati estromessi, i giovani non sono nemmeno considerati. Come è possibile pensare che un candidato che già aveva perso, soprattutto in provincia, lo scorso anno alle elezioni provinciali a Milano, Penati – già ottimo sindaco di Sesto, per l’amor del cielo –, poteva vincere in tutta la Lombardia. Com’era possibile pensare che chi non è stato votato nell’alto milanese poteva esser votato in Brianza, nel varesotto, nel comasco, nel pavese, per non dire nella bergamasca, in valtellina, o nel bresciano? Tranne quando si candidano persone davvero importanti, culturalmente e socialmente parlando, come Cacciari a Venezia, o Illy in Friuli, o Chiamparino a Torino, tranne cioè quando si candidano veri progressisti, uomini che riescono a raccogliere consenso quasi ovunque, tranne in quei casi al nord si perde ovunque. Zaia stravince e Formigoni vince per la quarta volta consecutiva. Ho detto la quarta volta! Possibile che dopo circa vent’anni di governo formigoniano, tra l’altro non un governo illuminato, direi quasi un pessimo governo, un governo clientelare e fazioso, ai dirigenti di centro sinistra non sia venuto in mente niente di meglio che ricandidare il candidato perdente in provincia di Milano? Avevamo dieci anni di tempo, avevamo cinque anni di tempo e? Niente. Si poteva ricominciare, si poteva studiare una vera alternativa, si poteva lavorare per radicarsi nel territorio per tornare ad ascoltare la gente e invece niente. Cambiano gli addendi, cambiano i nomi, non esistono più il PDS, il Partito Popolare, l’Ulivo, i DS e la Margherita, esiste il PD, ma le persone sono sempre quelle e il risultato è sempre identico: vent’anni di sconfitte.
Non voglio esser drastico ma realista! Dove si vince si vince per demerito altrui non per merito nostro. Il centro sinistra a nord, e soprattutto in Veneto e in Lombardia, è morto. Ma la Lombradia e il Veneto non sono l’Emilia e la Toscana di destra, non lo sono mai state, sono ed erano i centri del lavoro, i centri del lavoro artigianale, operaio e imprenditoriale, i centri dei grandi movimenti del volontariato sociale, delle Acli, ecc. Ebbene in questi centri la gente vota a destra e la sinistra con questa gente non riesce più a dialogare e forse, ed è anche peggio, non vuole più dialogare.

Ovviamente possiamo dire che è colpa delle televisioni, di un leader che ha trasformato il pensiero della gente condizionandolo, facendo diventare comune il pensiero dalla classe dirigente e imprenditoriale, che ovviamente difende essendo lui uno di loro, o il loro capo naturale, e la povera gente oggi non ha alternative.
Ma quello che forse più colpisce è il crollo del mito del buon governo locale della sinistra. Dove la sinistra governa, a livello locale appunto, non è detto che venga riconfermata, e non è detto che governi bene, non è detto cioè che faccia quello che la gente, tutta, non solo gli speculatori, ma anche i giovani, gli intellettuali, le famiglie, ecc, si aspettano. La sinistra quando amministra, spesso in modo tranquillo e burocratico, non fa più sognare, e la gente non la rivota. Prendete il caso del mio paese, Nerviano: dopo cinquant’anni di centro destra vince il centro sinistra, anche per demeriti altrui. Che grande possibilità per cambiare rotta, per far sognare la gente, e invece – badate bene non vuole esser un giudizio sull’operato di questa amministrazione – di fatto la cittadinanza nervianese in tutte le elezioni che sono succedute a quella amministrativa continua a votare a destra. Possibile che l’unica possibilità per la sinistra di vincere sia che la destra si presenti divisa al suo interno? Non è solo il caso di Nerviano, è il caso anche di Parabiago, in cui tra poche ore inizierà lo scrutinio, o è stato il caso di Lainate. Quasi ovunque nel nord milanese la sinistra vince se la destra si presenta separata in casa: quando la sinistra vince non vince per un vero lavoro di riforma interna, e anzi spesso i riformatori del pensiero di sinistra, siano essi giovani, intellettuali, imprenditori, ecc, vengono allontanati dalla dirigenza del partito stesso, o relegati a ruoli assolutamente marginali, mentre restano i più docili al pensiero dominante, e peggio i soliti nomi. Pensiamo al caso di Penati appunto, un caso che rappresenta perfettamente una classe dirigente che continua a suonarsela e cantarsela da sola – e direi quasi sempre a suonarsela male date le continue sconfitte –.

Proviamo a trovare una nota positiva – mentre la Polverini annuncia che domani ci sarà la festa per i gladiatori del voto, ringraziando i ragazzi del suo comitato... brividi; e la Bonino ringrazia per la vittoria? (che vede solo lei...) –? Credo che l’unica vera nota positiva di questa tornata elettorale è la conferma di Vendola in Puglia. La vittoria di uno che ha ammesso il suo errore, cioè di essersi fidato troppo della dirigenza del partito che lo sosteneva e che lo ha tradito a suon di scandali, da cui si è allontanato ripulendo il suo precedente esecutivo e sfidando a viso aperto, con le primarie, il “nuovo” candidato di partito battendolo e andando tra la gente a chiedere il voto. Un voto che la gente gli ha ridato. Bravo.
Speriamo che anche in Lombardia si potrà un giorno ripartire da lì, dalle famose primarie. Personalmente vorrei ricordare che già nel 2003 andavo dicendo che proprio le primarie potevano essere l’unico modo per trasformare, o provare a farlo, un partito, un gruppo di persone, troppo legato ai suoi meccanismi, troppo legato alla sua burocrazia interna, troppo lontano dalla gente.

Ps. Stavo preparando una riflessione sulla sinistra e il lavoro ma l’ho momentaneamente congelata. La riproporrò nei prossimi giorni.

giovedì 18 marzo 2010

Monte Carasso, un esempio tra pianificazione e intervento nel centro storico



Che questo non sia un momento facile per i giovani lavoratori, e tra questi per i giovani progettisti, ma viene da dire per i giovani in generale, è un dato di fatto, così oggi, come spesso altre volte mi è capitato, un po’ per fuggire dalla monotonia del lavoro, un po’ per ricaricare le batterie e un po’ per cercare soluzioni a due progetti a cui sto lavorando, con alcuni amici architetti sono tornato in un paese del Canton Ticino, Monte Carasso, che avevamo scoperto per caso un anno e mezzo fa e che poi ho avuto occasione recentemente di studiare.

Monte Carasso è un piccolo paese a sud di Bellinzona di 2400 abitanti, più o meno come il borgo in cui abito. Era un tipico paese ticinese, fatto di case rustiche, disposte quasi casualmente lungo la strada principale, di un ampliamento più o meno sregolato, come i nostri paesi e di un centro con una chiesa e quello che resta di un antico convento.
Alla fine degli anni ’70 era appena stato approvato un piano regolatore che prevedeva la costruzione di una scuola a ridosso dell’autostrada, mentre la zona centrale nelle vicinanze dell’ex convento faceva parte di un programma di riedificazione. La nuova amministrazione appena insediatasi pensò invece di sconfessare quel piano e di inserire la nuova scuola proprio nell’ex convento. Nel 1978 fu chiamato, con l’incarico di recuperare il vecchio convento e di progettare la nuova scuola, l’architetto Luigi Snozzi. Per Snozzi fu l’occasione concreta per cercare di reinventare il centro del paese. La zona monumentale con il chiostro e la chiesa non era leggibile e ciò che mancava a Monte Carasso erano gli spazi pubblici, gli spazi gioco, cioè gli spazi per i giovani e per le famiglie. Snozzi propose di valorizzare il complesso monumentale dell’ex-convento rimettendo in luce le antiche arcate, demolendo alcune case, ripulendo l’intero impianto e soprattutto facendo una grande operazione di svuotamento del centro monumentale dalle superfettazioni. Chiesa, scuola, cimitero, casa del Comune, palestra comunale si trovarono di colpo a esser parte di un nuovo progetto, un progetto che tendeva a costruire il centro pubblico della città, una nuova agorà fatta di spazi aperti e di luoghi in cui sostare, giocare e trascorrere il tempo libero.

Dopo l’approvazione politica dei principi espressi nel progetto snozziano, si pose il problema della definizione dei nuovi strumenti urbanistici che dovevano sostituire il piano, le famigerate norme tecniche e il regolamento edilizio.
In primo luogo fu elaborato un piano particolareggiato per la “zona di protezione monumentale”, che prevedeva nuovi allineamenti e che di fatto in quel punto annullava il piano regolatore. Fu studiata una nuova normativa urbanistica, estesa ai nuclei del centro antico limitrofi alla zona monumentale, che si limitò a pochissime regole, demandando i problemi che di solito vengono affrontati nelle norme comunali, volumetrie, distanze dai confini ecc, alla bontà dei progetti e a pochissime regole. Questa nuova normativa, posti alcuni vincoli e consegnato un grande potere a una commissione di architetti, fu concepita infatti in modo da offrire una grande libertà, soprattutto insediativa. Una delle questioni principali era densificare il centro storico, dare la possibilità cioè di costruire piccoli edifici accanto agli edifici esistenti e limitare così il consumo del suolo periferico. Monte Carasso divenne di colpo un esempio di città in cui il progetto sostituì il piano, o meglio uno di quegli esempi in cui il piano si ricostruì proprio a partire da un progetto e non viceversa, come succede abitualmente. Monte Carasso divenne l’esempio di come un progetto di riqualificazione di un centro monumentale poteva trasformarsi in un vero e proprio progetto di città.

Questa riduzione delle regole non significò lassismo e deregulation sfrenata senza controllo e senza paracadute: infatti il controllo operato dalla commissione urbanistica, fatta di personalità importanti, proprio perché centrale nella costruzione della città, e non di geometri di paese (con tutto il rispetto per questi ultimi), fu grande e importante. Solo dopo cinque anni, nel 1990 si approvò il nuovo piano regolatore, con le regole costruite a partire dalla sperimentazione sul campo dei progetti approvati in quegli anni.
Mentre abitualmente la regola urbanistica viene applicata con assoluta rigidità, obbligando il progetto ad adattarsi a norme severe quanto astratte, spesso indifferenti ai luoghi e al buon progetto d’architettura, nel processo pianificatorio avviato a Monte Carasso fu così concessa al progetto architettonico la massima libertà di trasgressione, a patto che questa trasgressione fosse motivata come effettivamente qualificante.

Oggi Monte Carasso ha un centro monumentale libero, arioso, leggero e vivo e un centro storico fatto di case antiche affiancate da edifici moderni, e credo che Monte Carasso possa ancora oggi essere considerata come un modello per i nostri poveri e mal ridotti borghi. Un esempio in cui pianificazione e progetto non sono andati solo di pari passo, ma anzi un semplice progetto, se così si può dire, per un centro antico si è convertito in idea di città, sconfessando la pianificazione astratta delle norme urbanistiche, intese nel senso stretto del termine, e trainando la pianificazione successiva. Monte Carasso è ancora un modello da studiare, da vedere, da vivere.


venerdì 12 marzo 2010

Ricominciamo da qui... Buon 2010!


Questa sera, dopo una lunga pausa di riposo, di dolore e di riflessione ho deciso di tornare a scrivere.

A chi serve l’Universo?
Se il genere umano, se l’umanità, scomparissero
L’Universo sarebbe inutile
Noi...
Noi vogliamo imitare Dio
Perciò esistono gli artisti.
Gli artisti vorrebbero ricreare il mondo,
come fossero piccoli dei.
E fanno una serie di...
Hanno un continuo ripensare...
Sulla storia, sulla vita su tutto quello che succede quaggiù,
o su quello che credono sia successo.

Si perchè alla fine crediamo nella memoria.
Perchè tutto è passato, e chi garantisce che tutto quello che immaginiamo sia passato, sia passato realmente? A chi dovremmo chiedere?

Questo mondo, questa ipotesi allora è un illusione.
La sola cosa vera è la memoria. Ma la memoria è un’invenzione...
In fondo la memoria, intendo dire nel cinema... nel cinema la cinepresa può fissare un momento, ma quel momento è già passato.
In fondo quello che fa il cinema è far rivivere il fantasma di quel momento, e abbiamo la certezza che quel momento sia esistito fuori dalla pellicola? O la pellicola è la garanzia dell’esistenza di quel momento? Viviamo insomma in un dubbio permanente...


Il regista Fridrich, protagonista fantasma di Lisbon Story, il cui nome è un omaggio del regista reale, Wim Wenders, a Federico Fellini, stanco del mondo delle immagini svendute, stanco del protagonismo di registi, compositori, architetti, svenduti agli effetti speciali del dio denaro, prova a tornare alle origini, e decide di tornare al cinema degli inizi, alla classicità.
Entra così in un vortice emozionale in cui tutto perde senso e capisce che nel momento in cui immortala, o decide di immortalare una scena, quella scena diviene di colpo, appunto, falsa, o comunque svenduta in quanto vendibile e commerciale.
Dopo avere provato a girare un film reale, con una vecchia camera a manovella, omaggio al cinema degli inizi, novello architetto greco, o romano, decide di abbandonare anche quella strada, perché attaccabile e ancora una volta frutto di un processo forzato perché conscio, quindi produttore di immagini irreali. «Le immagini non sono più quelle di un tempo, è impossibile fidarsi di loro [...]. Mentre noi crescevamo le immagini erano narratrici di storie, e portatrici di cose. Ora sono tutte in vendita, con le loro storie e le loro cose. Non sanno più come mostrare. Le immagini vengono vendute aldilà del mondo, e con grossi sconti... » dice il regista. Ricominciare dal principio cent’anni dopo quindi, ma «non ha funzionato. Per un pò è sembrato possibile, ma poi tutto è crollato... ».
Inizia così a girare per la città con una camera a tracolla che porta a penzoloni sulla schiena, riprendendo ciò che accade alle sue spalle senza filtri: montagne di pellicole reali e vergini, cioè pure finché nessuno le vedrà, e che quando saranno viste perderanno il loro senso e la loro purezza.

È la morte del cinema, è la morte dell’architettura e della composizione. È il dubbio del regista, dell’architetto, del compositore, è il dubbio dell’artista di fronte al mercato: cosa fare? Svendersi definitivamente o tornare agli inizi, al classicismo? Ma è poi possibile tornare davvero agli inizi, magari facendo finta che non sia successo nulla fin qui?

E qui arriva il paradosso: è un tecnico a consegnare al compositore la soluzione. Proprio quella tecnica che ha portato l’artista ad allontanarsi definitivamente dal corso naturale della storia ripudiando i frutti della tecnica stessa, facendogli nascere la voglia di tornare all’antichità, consegna la soluzione al regista:
«Questo è un messaggio per Fridrich, il re del magazzino immagini spazzatura... [mentre sullo sfondo compare una scritta pubblicitaria, “Principio, o finale felice...” geniale trovata wendersiana]. Ohhh Fritz, mi sa che ti sei un po’ perso! Tutte queste immagini giocattolo mi sa che ti hanno fatto un poco uscire di testa. Ora sei in un vicolo cieco, faccia al muro, ma... muovi gli occhi, fidati di loro, non ce li hai mica sulla schiena... Continua a fidarti della tua vecchia manovella, essa è ancora capace di immagini in movimento, perché sprecare quindi la tua vita in superflue immagini spazzatura, quando mettendoci il cuore puoi farne superbe immagini in celluloide. Le immagini in movimento possono ancora fare quello per cui vennero inventate cento anni fa. Possono ancora essere commoventi... ».

Fidiamoci del nostro cuore e proviamo a fare delle architetture con il cuore.
Ben tornati, e ben tornato... a me stesso