giovedì 29 novembre 2007

Progetti per Nerviano















All’interno dei Laboratori di Progettazione gli studenti sono tenuti a redigere un progetto, o più progetti, su vari casi studio collegati a differenti temi che ogni anno vengono loro sottoposti.
I lavori esposti a Nerviano dal 29 novembre al 3 dicembre presso il chiostro nuovo dell’ex Monastero degli Olivetani, sede del Municipio, formano parte del lavoro del Laboratorio di Progettazione Architettonica II coordinato dal prof. Antonio Esposito e da altri docenti della Facoltà di Architettura Civile di Milano – Elena Bonaria, Marco Banderali, Riccardo Nana, Danilo Annoscia, Andrea Perego e Fabio Pravettoni –. Questo gruppo di docenti e alcuni studenti hanno lavorato su due cittadine della provincia di Milano: Carnate e Nerviano. Nel Comune di Nerviano l’area scelta come caso studio è stata quella della Colorina: tra il vecchio borgo, l’Abbazia, il Mulino Lombardi, il Garden e l’area verde che si apre a nord di Nerviano.

Il Sempione e l’Olona sono gli assi lungo i quali si strutturava e si struttura ancora oggi Nerviano; in epoca moderna si è poi aggiunto il Canale Villoresi che proprio in questa area si affianca al Sempione e incrocia il fiume. Il denso incrocio di vie carrabili e di vie d’acqua, contribuisce a rendere l’area della Colorina un luogo speciale: una di quelle zone ai margini della città storica in cui meglio si evidenziano i conflitti tra la costruzione lenta e sedimentata della città tradizionale, e la costruzione sregolata e occasionale dell’edilizia recente.
I progetti che presentiamo si sono strutturati indagando sulle tensioni che studenti e docenti hanno saputo cogliere e tradurre in spunti ordinatori: il rapporto squilibrato del monumento con il suo intorno, la presenza incombente dell’edifico di abitazioni costruito alle spalle dell’abbazia, il rapporto tra il vecchio borgo e l’espansione del tessuto edilizio, i caratteri dell’area verde e il suo rapporto con l’acqua, la casualità delle trasformazioni edilizie del garden e del mulino. Progetti che in modo diverso, e con sensibilità architettoniche, e non solo, diverse sondano possibilità di nuovo diverse, possibilità di soluzione o di esasperazione dei conflitti della città. In ogni caso, nel loro insieme, provano a dialogare nell’ambito di un ricco dibattito intorno alle questioni architettoniche e del progetto, oscillante tra conservazione e sostituzione, tra modernità e tradizione, tra regola e dissacrazione. Un dibattito che si è appena aperto e che ora finalmente tenta di uscire dai confini accademici per cercare di contagiare la città, di coinvolgere altri luoghi e altri punti di vista.
.
Articolo firmato Antonio Esposito e Fabio Pravettoni, pubblicato su "Nerviano Informa", Anno I, numero 1, dicembre 2007. pp. 18-19.

lunedì 26 novembre 2007

Pensiero e Azione


In questi giorni a Nerviano ho di nuovo assistito a un fenomeno strano, se volete molto italiano, certamente inquietante per un uomo che si ritiene di sinistra. Un’associazione politica, Nerviano Viva, schierata nel parlamentino cittadino con la destra, ha organizzato un evento straordinario, proprio perché inusuale e fuori dall’ordinario: una gara di motocross. Oggi sono stato tra loro. Si stava bene, ma bene davvero: gente infangata, rumore, moto che correvano nei campi resi pesanti dopo sei giorni di pioggia, macchine e camper parcheggiati ovunque, salamelle e vino rosso. Si stava bene.Non è la prima volta che organizzano qualcosa e non è la prima volta che organizzano delle belle cose. Concerti, serate, mostre, giornate di pulizia, gare in bicicletta, ora persino gare in moto. Tutto, o quasi tutto, con un attenzione sola: fare delle cose concrete, delle azioni, per la gente e tra la gente. Da qui una domanda sorge spontanea cosa vuol dire essere di destra, per loro, e cosa vuol dire essere di sinistra? Vuol dire da un lato idolatrare Berlusconi e quindi armarsi e schierarsi con lui, o dall’altro, rispettare il prof. Prodi e odiare il magnate televisivo quindi lottare perché questi non vinca? Cos’è di destra e cosa di sinistra? Se gli amici di Nerviano Viva non facessero alcuni articoli per partito preso contro la sinistra nervianese e non solo, o non facessero fumetti nei quali si ridicolizzano la falce e il martello, non si direbbe che sono di destra, o almeno si direbbe che sono di quella sinistra che chi ha letto Rosselli, Bobbio, ecc, ha in mente. E allora perché a destra?Ma poi un’altra, tremenda, domanda ti assale, e la questione si fa difficile, intricatissima, quasi paradossale. Perché la sinistra, soprattutto la sinistra italiana, ha così paura dell’azione? Da sempre, fin dal primo dopoguerra la sinistra togliattiana ha chiuso le porte a chi credeva che le cose si potevano certamente cambiare con il pensiero, ma soprattutto con l’azione. Vi sono moltissimi esempi nella storia del dopoguerra, dalla fine del partito d’Azione, alla ridicolizzazione dell’Ulivo azionista, dei movimenti, dei sindacati, alla grande paura che si percepisce tra i costituenti del nuovo Partito Democratico.E proprio ai costituenti del nuovo partito ricorderei le parole di Carlo Rosselli «far centro sul movimento operaio, tendente per legge fisiologica all’unità ed efficacissimo smorzatore degli urti interni, specie se di origine ideologica; e accompagnar quello che una costellazione di gruppi politici, di associazioni culturali, di organismi cooperativi. Concepire cioè il partito di domani con uno spirito ben più largo e generoso di quel che ieri non fosse»[1]. Infine, insieme al rinnovato plauso agli organizzatori per la spinta azionista che iniziative come quella di oggi hanno, suggerirei alla sinistra di non avere paura, di osare, di passare all’azione senza troppi vincoli, di struttura, di pensiero, o che ne so...

[1] CARLO ROSSELLI, Socialismo Liberale, a cura di John Rosselli, introduzione e saggi critici di Norberto Bobbio, Einaudi, Torino, 1997, p. 141.

giovedì 22 novembre 2007

Archeologia urbana: il caso dell'Oratorio dei Santi Biagio e Francesco a Garbatola















Il rapporto tra monumenti, rovine e vita quotidiana è una questione che sembra «improponibile oggi, anche se l’incuria e il degrado del nostro patrimonio monumentale sono sotto gli occhi di tutti» (G.Grassi) e, anche laddove si tenta di ripensare una città, sembra che sia un problema di secondo piano rispetto i grandi temi della mobilità metropolitana, dell’infrastrutturizzazione del territorio, e della macrourbanistica in generale.
Lo scorso anno, raccogliendo il gentile invito degli attuali proprietari, con l’aiuto di alcuni studenti ho iniziato a studiare la storia della vecchia chiesina dei Santi Biagio e Francesco in Garbatola e, incrociando dato reale, misurato, con descrizioni antiche e memorie d’archivio, ora si sta ricostruendo in modo preciso la storia di un manufatto dimenticato e insieme la storia di un antico borgo: la Cassina Garbatola.

Gli oratori erano piccole chiese, spesso adiacenti a ville signorili, o interne a grandi corti agricole, al servizio delle comunità di contadini che abitavano le cassine che strutturavano tutto il territorio a nord di Milano.
La prima testimonianza scritta relativa all’antico Oratorio di S.Biagio in Garbatola, risale al 1583 quando Monsignor Bernardino Taurisio, visitò per conto di Carlo Borromeo la Pieve di Nerviano. Prima il Taurisio, poi San Carlo, quindi Federico Borromeo ordinarono la costruzione di un nuovo Oratorio, o comunque la risistemazione di quello vecchio secondo i nuovi canoni controriformisti.
Nel libro che raccoglie le osservazioni relative alla visita pastorale del 15 settembre 1621, condotta dal Sacerdote Giacomo Minunzio, delegato di Federico Borromeo, per la prima volta l’Oratorio della Cassina Garbatola appare dedicato ai santi Biagio, Francesco e Carlo. Non sappiamo se la chiesina descritta fu costruita ex novo o, più verosimilmente, stante le ristrettezze economiche del borgo, sia il risultato di consistenti lavori di ristrutturazione e ampliamento del vecchio oratorio; è certo tuttavia che l’oratorio di cui si possono ancora oggi vedere i resti nella piazza garbatolese fu costruito tra il 1610 e il 1620.
Probabilmente più ampio del precedente, il nuovo oratorio dei Santi Biagio e Francesco – e inizialmente Carlo – venne costruito, si legge negli atti della visita, per volere di Carlo Borromeo dal nobile Cesare Salvioni – [...] In hac Ecclesia, quae impensis Domino Caesaris Salvioni a fondamentis ferme’ extructa fuit in solo tamen ex ordinatione Sancti Caroli –.
L’edificio misurava ventotto cubiti in lunghezza e undici in larghezza e in altezza – circa 12 metri per 5, per 5 di altezza -. Dalle visite pastorali del XVIII secolo si apprende che l’edificio era costituito da tre locali, quello più grande costituiva la parte dedicata ai fedeli, quindi attraversata la balaustra, sotto un grande arco laterizio, si poteva accedere alla cappella dell’altare maggiore, più piccola e rialzata di un gradino. Il soffitto era a cassettoni e il pavimento in laterizio. La sacrestia era in un primo momento a sud, confinante con la corte della casa da nobile, poi fu spostata a nord, lungo l’attuale via Isonzo. La facciata dell’oratorio era semplice, completamente intonacata e tinteggiata, senza cordoli, lesene, basamenti e senza le prescritte immagini dei Santi a cui l’oratorio stesso era dedicato – [...] In frontispicio huis Oratorij alioquin ad norma edificato non fuerunt depictae Imagines Sanctorum titularium –. Alla chiesina si accedeva per un portone in legno a due battenti, dopo avere attraversato il piccolo cimitero del borgo.

L’oratorio dei Santi Biagio e Francesco fu utilizzato dalla comunità della Garbatola fino al 1905, anno di ultimazione dei lavori dell’attuale parrocchiale dedicata ai Santi Francesco e Sebastiano.
Oggi dell’antica chiesina rimangono la grande facciata sulla piazza don Paolo Musazzi, a fianco del bar Leva – ex trattoria San Francesco –, la facciata meridionale, sull’ex corte nobile, e i resti di quella settentrionale, demolita nel primo dopoguerra. È evidente quindi che si tratta di un caso in cui il netto prevalere del valore storico della rovina, del suo valore di testimonianza sul piano storico-architettonico rispetto quello artistico, cioè sul valore del manufatto visto come opera d’arte, introduce la questione del progetto. Progetto che dovrebbe quasi demandare all’edificio antico le risposte che noi moderni non siamo più in grado di dare, per far si che il vecchio possa diventare «una parte inseparabile del nuovo». Così la presenza nostalgica e inutile della rovina antica, cioè di un edificio reale nel centro di un antico borgo, di colpo, potrebbe e dovrebbe diventare – per esempio nei futuri progetti sull’edificio e sulla piazza – la pietra di paragone per un nuovo progetto sul manufatto e sulla città.

Articolo pubblicato su "Nerviano Informa".
Anno I, numero 0, ottobre 2007.
Presto sarà pubblicato un libro sull'ex Oratorio dei Santi Biagio e Francesco e sugli Oratori e le Cascine.

domenica 18 novembre 2007

Collegio Cavalleri. Progetto di ristrutturazione

Tra le due guerre mondiali, durante il movimento moderno, si stipulò una sorta di accordo segreto tra architetti e restauratori: si credeva che le trasformazioni introdotte in un edificio dovevano essere sempre manifestate. Da un lato i restauratori iniziarono a sostenere le ragioni della distinzione tra antico e moderno, dall’altro gli architetti si sentivano liberi di poter sperimentare i dettami della modernità, non solo nei vasti spazi suburbani ma anche nei centri storici. Dopo le ferite e le distruzioni belliche inferte alle città tra il ‘40 e il ‘45, gli architetti italiani, in particolare E.N. Rogers, si accorsero che non si potevano cancellare con leggerezza la memoria del passato e i segni della storia. Le relazioni tra vecchio e nuovo divennero più complesse e difficili. Oggi si è giunti ad una radicalizzazione delle posizioni: architetti e conservatori hanno estremizzato il loro pensiero, e spesso, forse per scarsa conoscenza del processo compositivo, si considera legittimo intervenire su di un edificio costruito recentemente, piuttosto che su un manufatto antico, anche se in realtà le difficoltà sono quasi sempre le stesse, difficoltà legate alla natura dell’oggetto, alla sua forma, alle sue proporzioni e alla sua composizione.

La storia dell’architettura è ricca di casi in cui parti di città, o parti di edifici, si trasformano. Sono casi emblematici la Cattedrale di Siracusa, trasformata da tempio greco in basilica Cristiana, o il Duomo e le antiche basiliche ambrosiane, o il broletto di Milano, cui nei secoli furono aggiunti un piano intero e uno scalone di accesso. Le trasformazioni, gli adattamenti, gli ampliamenti antichi possono essere quindi considerati veri e propri manuali di architettura messi in opera, dove le vecchie strutture vengono utilizzate sia come “maestro” per la giusta direzione delle scelte nel lavoro sia come materiale vero e proprio del progetto.
È quindi possibile e lecito trasformare, ampliare, sopralzare, un edificio storico? Credo di si e la bontà o meno di ogni operazione, di ogni trasformazione, come di ogni nuovo progetto, sta nella bontà o meno del progetto stesso. Come si fa a priori a dire che un edificio non si puo’ sopralzare, o che a un edificio non si possono costruire lucernari? Nella storia dell’architettura ci sono pessimi e bellissimi lucernari, pessimi e bellissimi ampliamenti, pessime e bellissime trasformazioni.

Troppo spesso l’atteggiamento di progettisti e costruttori nei nostri paesi si sta attestando su posizioni folcloristiche e vernacolari e contro questo atteggiamento dobbiamo assolutamente e decisamente combattere, più che sulla possibilità o meno di ampliare una casa, innalzare un palazzo, aprire una finestra, chiudere una porta. Tetti, tettucci e sporti di gronda, archi colonne e balconi, becchi, balconcini e barbacani stanno avvilendo l’architettura italiana, più di ogni altra mala legge o cattivo regolamento.
E quindi non penso che sia deprecabile per partito preso il volere ampliare un palazzo storico, penso che sia deprecabile un atteggiamento troppo vernacolare e folcloristico. Quindi, mentre credo sia giusto rendere usufruibile un palazzo antico, non credo sia giusto farlo con un atteggiamento troppo mimetico, quasi turistico.

Il progetto di ristrutturazione del Collegio Cavalleri di Parabiago ha una duplice anima, un duplice atteggiamento che lo rende incomprensibile: un atteggiamento troppo mimetico, quasi vernacolare, nel disegno dei fronti, con le nuove finestre su piazza Maggiolini circondate da cornici importantissime, che richiamano troppo letteralmente quelle antiche dei finestroni sottostanti, o con le grandi lesene, i cornicioni, le cornici neorinascimentali del fronte interno; e un atteggiamento troppo spregiudicato all’interno, con la ferma volontà di rinnegare la distribuzione antica, attraverso la demolizione quasi completa delle vecchie e potenti strutture del palazzo, sostituite da moderni muretti in laterizio, pilastrini in cemento armato che cadono nel mezzo di piccoli soggiorni e una distribuzione tipicamente residenziale.

Per questo giudichiamo negativamente il progetto di ristrutturazione del Collegio Cavalleri di Parabiago e invitiamo a rivederlo, con più consapevolezza, e con un duplice, nuovo, atteggiamento: maggiore modernità e distacco da un linguaggio tradizionale e vernacolare all’esterno, e più rispetto, soprattutto il rispetto delle strutture antiche all’interno.

Scritto pubblico per la "Commissione Paesaggio e Territorio"
del Comune di Parabiago (Milano).
Oggetto: ristrutturazione Ex Colleggio Cavalleri