giovedì 22 novembre 2007

Archeologia urbana: il caso dell'Oratorio dei Santi Biagio e Francesco a Garbatola















Il rapporto tra monumenti, rovine e vita quotidiana è una questione che sembra «improponibile oggi, anche se l’incuria e il degrado del nostro patrimonio monumentale sono sotto gli occhi di tutti» (G.Grassi) e, anche laddove si tenta di ripensare una città, sembra che sia un problema di secondo piano rispetto i grandi temi della mobilità metropolitana, dell’infrastrutturizzazione del territorio, e della macrourbanistica in generale.
Lo scorso anno, raccogliendo il gentile invito degli attuali proprietari, con l’aiuto di alcuni studenti ho iniziato a studiare la storia della vecchia chiesina dei Santi Biagio e Francesco in Garbatola e, incrociando dato reale, misurato, con descrizioni antiche e memorie d’archivio, ora si sta ricostruendo in modo preciso la storia di un manufatto dimenticato e insieme la storia di un antico borgo: la Cassina Garbatola.

Gli oratori erano piccole chiese, spesso adiacenti a ville signorili, o interne a grandi corti agricole, al servizio delle comunità di contadini che abitavano le cassine che strutturavano tutto il territorio a nord di Milano.
La prima testimonianza scritta relativa all’antico Oratorio di S.Biagio in Garbatola, risale al 1583 quando Monsignor Bernardino Taurisio, visitò per conto di Carlo Borromeo la Pieve di Nerviano. Prima il Taurisio, poi San Carlo, quindi Federico Borromeo ordinarono la costruzione di un nuovo Oratorio, o comunque la risistemazione di quello vecchio secondo i nuovi canoni controriformisti.
Nel libro che raccoglie le osservazioni relative alla visita pastorale del 15 settembre 1621, condotta dal Sacerdote Giacomo Minunzio, delegato di Federico Borromeo, per la prima volta l’Oratorio della Cassina Garbatola appare dedicato ai santi Biagio, Francesco e Carlo. Non sappiamo se la chiesina descritta fu costruita ex novo o, più verosimilmente, stante le ristrettezze economiche del borgo, sia il risultato di consistenti lavori di ristrutturazione e ampliamento del vecchio oratorio; è certo tuttavia che l’oratorio di cui si possono ancora oggi vedere i resti nella piazza garbatolese fu costruito tra il 1610 e il 1620.
Probabilmente più ampio del precedente, il nuovo oratorio dei Santi Biagio e Francesco – e inizialmente Carlo – venne costruito, si legge negli atti della visita, per volere di Carlo Borromeo dal nobile Cesare Salvioni – [...] In hac Ecclesia, quae impensis Domino Caesaris Salvioni a fondamentis ferme’ extructa fuit in solo tamen ex ordinatione Sancti Caroli –.
L’edificio misurava ventotto cubiti in lunghezza e undici in larghezza e in altezza – circa 12 metri per 5, per 5 di altezza -. Dalle visite pastorali del XVIII secolo si apprende che l’edificio era costituito da tre locali, quello più grande costituiva la parte dedicata ai fedeli, quindi attraversata la balaustra, sotto un grande arco laterizio, si poteva accedere alla cappella dell’altare maggiore, più piccola e rialzata di un gradino. Il soffitto era a cassettoni e il pavimento in laterizio. La sacrestia era in un primo momento a sud, confinante con la corte della casa da nobile, poi fu spostata a nord, lungo l’attuale via Isonzo. La facciata dell’oratorio era semplice, completamente intonacata e tinteggiata, senza cordoli, lesene, basamenti e senza le prescritte immagini dei Santi a cui l’oratorio stesso era dedicato – [...] In frontispicio huis Oratorij alioquin ad norma edificato non fuerunt depictae Imagines Sanctorum titularium –. Alla chiesina si accedeva per un portone in legno a due battenti, dopo avere attraversato il piccolo cimitero del borgo.

L’oratorio dei Santi Biagio e Francesco fu utilizzato dalla comunità della Garbatola fino al 1905, anno di ultimazione dei lavori dell’attuale parrocchiale dedicata ai Santi Francesco e Sebastiano.
Oggi dell’antica chiesina rimangono la grande facciata sulla piazza don Paolo Musazzi, a fianco del bar Leva – ex trattoria San Francesco –, la facciata meridionale, sull’ex corte nobile, e i resti di quella settentrionale, demolita nel primo dopoguerra. È evidente quindi che si tratta di un caso in cui il netto prevalere del valore storico della rovina, del suo valore di testimonianza sul piano storico-architettonico rispetto quello artistico, cioè sul valore del manufatto visto come opera d’arte, introduce la questione del progetto. Progetto che dovrebbe quasi demandare all’edificio antico le risposte che noi moderni non siamo più in grado di dare, per far si che il vecchio possa diventare «una parte inseparabile del nuovo». Così la presenza nostalgica e inutile della rovina antica, cioè di un edificio reale nel centro di un antico borgo, di colpo, potrebbe e dovrebbe diventare – per esempio nei futuri progetti sull’edificio e sulla piazza – la pietra di paragone per un nuovo progetto sul manufatto e sulla città.

Articolo pubblicato su "Nerviano Informa".
Anno I, numero 0, ottobre 2007.
Presto sarà pubblicato un libro sull'ex Oratorio dei Santi Biagio e Francesco e sugli Oratori e le Cascine.

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