venerdì 16 aprile 2010
Ricevo e pubblico
Ricevo e pubblico un contributo alla discussione, a quanto detto nei post precedenti:
CENTROSINISTRA, UNA PROPOSTA DI ROAD MAP PER IL 2013
Dopo il quasi deprimente risultato delle regionali per il centrosinistra si apre il compito più importante; allestire una alleanza per il 2013 in grado di vincere. L'umore che circola nel centrosinistra in questi giorni è quasi di sconforto; il disorientamento è massimo.
Ogni partito cerca formule più o meno salvifiche oppure più o meno astruse per presentarsi con possibilità di vittoria all'appuntamento. Saggiamente qualcuno dice che bisogna cominciare a preparare ben bene le cose già dalle prossime settimane, benché la confusione regni sovrana. Eppure alcuni paletti e punti fermi sulle cose da fare dovrebbero essere già ben chiari a tutti. Innanzitutto mi sembra del tutto inutile scervellarsi sulle alleanze, sul chi includere e sul chi escludere. Le elezioni regionali non hanno dato molte vie di uscite a chi vuol ancora giocare con formule complicate. La via indicata dalle urne è una sola: trovare il modo di mettere tutti insieme, tutte le forze politiche minimamente organizzate, anche le più piccole, perché nel 2013, se andrà tutto per il meglio, magari si vincerà per 24.000 voti come nel 2006 e si potrà perdere per 10.000 voti come in Piemonte.
Una grande alleanza di partiti e movimenti basata su poche idee-forza e non su un programma incomprensibile come quello del 2008 (composto da 280 pagine); un programma su una decina di punti che diano il segno di un grande cambiamento possibile e di una speranza per quanta più gente possibile. Per arrivare a questo programma si dovrebbero studiare molto bene, con studi e sondaggi molto approfonditi, i due blocchi sociali con cui il centrosinistra deve fare i conti; il blocco sociale del centrodestra ed il blocco dell'astensione. Incunearsi nell'uno anche in minima parte e scongelare una minima parte dell'altro sarebbero i due fattori determinanti per il cambiamento dello scenario politico.
Le due cose dovranno essere completate da un terzo obiettivo; fermare l'emorragia di voti in uscita dal centrosinistra o verso il blocco del centrodestra o verso la grande regione polare dell'astensionismo. Solo all'interno di questa nuova vastissima alleanza (che la si chiami Unione 2 o no, poco importa) poi si potranno impostare sottoblocchi di alleanze. Una idea che sta circolando molto in questi giorni è quella di una federazione di tutti i partiti e movimenti a sinistra del PD, ma ci potrebbero essere anche altre sotto-aggregazioni interne. Molto dipenderà anche da quale legge elettorale ci accompagnerà alle elezioni del 2013. Per fare tutte queste cose devono cambiare però anche i rapporti fra i partiti dello schieramento di centrosinistra, dove è tutta una gara ad essere ognuno più autoreferenziale e snob dell'altro. Ci vuole più generosità, ci vuole più coerenza ed omogeneità di comportamenti di fronte al comune nemico, ci vuole più apertura anche verso i piccoli partiti o i piccoli soggetti non tradizionali, che potrebbero fare la differenza e pescare più facilmente nel voto astensionista.
In un certo senso non ci sono più partiti di serie A, di serie B e di serie C dopo queste elezioni regionali; siamo tutti sulla stessa barca. Ognuno da solo può fare ben poco e tutti hanno bisogno di tutti.
E, soprattutto, bisogna dire basta ai troppi atteggiamenti da divi.
Il centrosinistra o, comunque, il vasto fronte di opposizione comincia ad essere troppo popolato, ormai saturo direi, di narcisi, di primedonne, di santoni, di semidei della politica altezzosi e suscettibili anche con i propri simili. Troppi personalismi, troppi egocentrismi, troppi fans di questo o di quello.
Un generale bagno di umiltà e di serietà, magari nel ricordo di quanti, azionisti, comunisti, socialisti ecc., negli anni '30 e '40 del secolo scorso non esitarono a far fronte comune contro il nazifascismo e contro la dittatura (senza neanche sapere cosa fosse il divismo in politica; caso mai sapevano cosa era l'eroismo), sarebbe sommamente auspicabile ed utile da parte di tutti.
In questo centrosinistra si sta veramente esagerando con i vezzi da primedonne. Non si è meno leader di un altro se si chiede collaborazione o la si offre ad un partito del nostro stesso schieramento; non ci si deve sentire diminuiti se non si cerca sempre di primeggiare sui partiti vicini, se si offre per primi collaborazione contro il nemico comune. Al contrario, leader vero dovrebbe essere magari colui disposto a sacrificare anche il proprio orgoglio personale o di partito in vista di un obiettivo nobile ed alto che riguarda l'avvenire non solo del centrosinistra, ma dell'intero popolo italiano.
Pino A. Quartana
Segretario Nazionale del Nuovo Partito d'Azione
Roma 6 aprile 2010
CENTROSINISTRA, UNA PROPOSTA DI ROAD MAP PER IL 2013
Dopo il quasi deprimente risultato delle regionali per il centrosinistra si apre il compito più importante; allestire una alleanza per il 2013 in grado di vincere. L'umore che circola nel centrosinistra in questi giorni è quasi di sconforto; il disorientamento è massimo.
Ogni partito cerca formule più o meno salvifiche oppure più o meno astruse per presentarsi con possibilità di vittoria all'appuntamento. Saggiamente qualcuno dice che bisogna cominciare a preparare ben bene le cose già dalle prossime settimane, benché la confusione regni sovrana. Eppure alcuni paletti e punti fermi sulle cose da fare dovrebbero essere già ben chiari a tutti. Innanzitutto mi sembra del tutto inutile scervellarsi sulle alleanze, sul chi includere e sul chi escludere. Le elezioni regionali non hanno dato molte vie di uscite a chi vuol ancora giocare con formule complicate. La via indicata dalle urne è una sola: trovare il modo di mettere tutti insieme, tutte le forze politiche minimamente organizzate, anche le più piccole, perché nel 2013, se andrà tutto per il meglio, magari si vincerà per 24.000 voti come nel 2006 e si potrà perdere per 10.000 voti come in Piemonte.
Una grande alleanza di partiti e movimenti basata su poche idee-forza e non su un programma incomprensibile come quello del 2008 (composto da 280 pagine); un programma su una decina di punti che diano il segno di un grande cambiamento possibile e di una speranza per quanta più gente possibile. Per arrivare a questo programma si dovrebbero studiare molto bene, con studi e sondaggi molto approfonditi, i due blocchi sociali con cui il centrosinistra deve fare i conti; il blocco sociale del centrodestra ed il blocco dell'astensione. Incunearsi nell'uno anche in minima parte e scongelare una minima parte dell'altro sarebbero i due fattori determinanti per il cambiamento dello scenario politico.
Le due cose dovranno essere completate da un terzo obiettivo; fermare l'emorragia di voti in uscita dal centrosinistra o verso il blocco del centrodestra o verso la grande regione polare dell'astensionismo. Solo all'interno di questa nuova vastissima alleanza (che la si chiami Unione 2 o no, poco importa) poi si potranno impostare sottoblocchi di alleanze. Una idea che sta circolando molto in questi giorni è quella di una federazione di tutti i partiti e movimenti a sinistra del PD, ma ci potrebbero essere anche altre sotto-aggregazioni interne. Molto dipenderà anche da quale legge elettorale ci accompagnerà alle elezioni del 2013. Per fare tutte queste cose devono cambiare però anche i rapporti fra i partiti dello schieramento di centrosinistra, dove è tutta una gara ad essere ognuno più autoreferenziale e snob dell'altro. Ci vuole più generosità, ci vuole più coerenza ed omogeneità di comportamenti di fronte al comune nemico, ci vuole più apertura anche verso i piccoli partiti o i piccoli soggetti non tradizionali, che potrebbero fare la differenza e pescare più facilmente nel voto astensionista.
In un certo senso non ci sono più partiti di serie A, di serie B e di serie C dopo queste elezioni regionali; siamo tutti sulla stessa barca. Ognuno da solo può fare ben poco e tutti hanno bisogno di tutti.
E, soprattutto, bisogna dire basta ai troppi atteggiamenti da divi.
Il centrosinistra o, comunque, il vasto fronte di opposizione comincia ad essere troppo popolato, ormai saturo direi, di narcisi, di primedonne, di santoni, di semidei della politica altezzosi e suscettibili anche con i propri simili. Troppi personalismi, troppi egocentrismi, troppi fans di questo o di quello.
Un generale bagno di umiltà e di serietà, magari nel ricordo di quanti, azionisti, comunisti, socialisti ecc., negli anni '30 e '40 del secolo scorso non esitarono a far fronte comune contro il nazifascismo e contro la dittatura (senza neanche sapere cosa fosse il divismo in politica; caso mai sapevano cosa era l'eroismo), sarebbe sommamente auspicabile ed utile da parte di tutti.
In questo centrosinistra si sta veramente esagerando con i vezzi da primedonne. Non si è meno leader di un altro se si chiede collaborazione o la si offre ad un partito del nostro stesso schieramento; non ci si deve sentire diminuiti se non si cerca sempre di primeggiare sui partiti vicini, se si offre per primi collaborazione contro il nemico comune. Al contrario, leader vero dovrebbe essere magari colui disposto a sacrificare anche il proprio orgoglio personale o di partito in vista di un obiettivo nobile ed alto che riguarda l'avvenire non solo del centrosinistra, ma dell'intero popolo italiano.
Pino A. Quartana
Segretario Nazionale del Nuovo Partito d'Azione
Roma 6 aprile 2010
martedì 13 aprile 2010
Auguri!!!
Perché è così difficile ammettere le proprie sconfitte?
Perché non siamo più abituati a chiedere scusa a guardarci dentro a guardare dove abbiamo sbagliato e se necessario a farci da parte? Magari per un poco, non certo per sempre, solo per qualche tempo, il tempo necessario, magari, per riorganizzarci le idee, per capire cosa vogliamo dalla vita, per capire dove abbiamo, appunto, sbagliato e prometterci seriamente di non commetter gli stessi errori.
Perché non siamo più abituati a fare questo cammino? In fondo credo che alla fine non sia così dannoso attraversare il mare della fatica, della sofferenza, assaporare la sconfitta, la sconfitta personale, per poi…beh per poi rimettersi in gioco e ripartire! Forse tutti dovremmo attraversare quel mare una volta nella vita.
In seguito alla sconfitta politica dei partiti di sinistra del 1994, nel 1995, nell’estate di quindici anni fa nacque L’Ulivo. Non era un partito, era un progetto, era un’idea, era un sogno, era la canzone popolare che si alzava forte! Quel sogno nel 1996 vinse le elezioni.
Sono passati 15 anni da quell’inizio. Quasi subito dopo quel successo, subito dopo quell’avvio, il professor Prodi principale, autore di quella vittoria, di quel rinnovamento interno alla sinistra, fu destituito. E da chi fu destituito? Ricordate la commissione bicamerale di D’Alema, segretario del PDS-DS, e di Silvio Berlusconi, inventore e leader di Forza Italia? Ricordate come andò a finire? Una commissione che doveva cavalcare l’onda del rinnovamento, sia a destra come a sinistra, affondò tutte le idee di riforma. La commissione bicamerale doveva lavorare sulle riforme dello stato, federalismo, scuola, struttura organizzativa dello stato, delle regioni, delle provincie, ordinamento politico e giudiziario, ecc. Niente. Non cambiò nulla. “Bisogna che tutto cambi perché non cambi nulla…”.
Sono passati 15 anni e la destra continua a vincere in tutte le regioni produttive e la sinistra si accontenta delle regioni minori, tranne l’Emilia e la Toscana – mi scuseranno gli abitanti di Umbria, Basilicata, ecc –. A Milano il prossimo anno si voterà e l’esito è scontato. Nel nord Milano ogni qualvolta si va al voto l’esito è scontato: o la destra si suicida politicamente, cioè si divide per eccesso di fiducia, si spacca, ecc, insomma o la destra sbaglia formazione e schiera mille attaccanti senza portiere e allora, forse, la sinistra segna e vince – uno a zero non di più –, oppure la partita è chiusa sin dall’inizio.
A Nerviano è andata così e andrà. A Parabiago è andata così. A Lainate è andata così. Sull’asse del Sempione, in Brianza, a Milano, va così.
Ma, scusate, l’ha ordinato Dio padre che a Milano la destra, cioè il partito del bene, debba per forza vincere contro il partito del male, la sinistra?
In questo clima di quasi rassegnazione dove anche le primarie, che sembravano a un certo punto esser diventate lo strumento principe, “tutti gli organi direttivi e i candidati del PD si sceglieranno con le primarie” dicevano alla costituente del PD, del nuovo partito della sinistra democratica italiana, anche le primarie sono state dimenticate. Affossate, come la bicamerale, dimenticate, cancellate – tranne in Puglia, dove guarda caso il candidato non di partito, Vendola, vince le primarie contro il candidato di partito e poi vince le elezioni… – sembra per sempre.
Ma d'altronde chi può andare contro la volontà del partito, sia esso PCI, PDS, DS, Margherita, PD? Contro la volontà del partito, nessuno deve e può osare andare. Altrimenti? Altrimenti semplicemente sei eliminato dai giochi. O ti appiattisci al volere di pochi sapienti, che stanno a Roma, o a Milano, boh, oppure niente, oppure non conti nulla.
E intanto la sinistra continua a perdere. Ormai si gioca per perdere di poco non per vincere. E dopo mille sconfitte, anche le peggiori, ovviamente non si cambiano né i giocatori, né l’allenatore, né i dirigenti, il presidente, ecc. Si continua a perdere e ci si rincuora se si perde di poco. Drammatico. Ma la cosa più drammatica è che non si cambia. Nella sinistra italiana vale la seguente regola: squadra che PERDE non si cambia!
Forza allora, continuiamo a perdere, non bastano tre elezioni di fila, non bastano Milano, la provincia di Milano, la regione, i collegi lombardo veneti, non bastano 15 anni, o quasi, di sconfitte, squadra che perde non si cambia!
Cosa fare? Fabio tu parli e scrivi ma cosa faresti? Beh semplicemente, per ora, so cosa non farei, non ripercorrerei le scelte della nostra classe dirigente degli ultimi 15 anni e farei esattamente l’opposto! Forse qualcosa si muoverebbe. Basterebbe insomma che questi nostri dirigenti, dopo 15 anni di sconfitte personali e collettive, attraversassero, un pochino, quel mare di cui dicevo all’inizio, forse solo così si potrebbe tornare a una vera democrazia, dove fino al momento dello spoglio nessuno saprebbe in anticipo il risultato delle urne.
giovedì 1 aprile 2010
Una rivoluzione possibile: il modello UPN
Mi piacerebbe che queste ultime tre riflessioni post elettorali venissero lette insieme, come legate da un filo conduttore, la necessità di riformare un sistema. Insieme lungi da me pensare di avere le soluzioni in tasca, in ogni caso penso che un blog può essere anche il luogo delle esperienze personali e, perché no, il mezzo per condividerle, se queste possono servire ad alimentare una discussione, o a scaternarla.
Vorrei così, un po’ per ringraziare chi mi ha aiutato in questi ultimi due anni, un po’ per autocelebrazione, non del sottoscritto ma dell’associazione di cui parlerò, cioè per gasare la squadra in vista dell’estate imminente e delle cose quindi che con quella squadra organizziamo, e infine per provare a dare qualche risposta, portare ai lettori e frequentatori di questo spazio un esempio di come sia possibile attuare una piccola rivoluzione in poco tempo.
Nel piccolo borgo in cui vivo nel 1994 con un amico fondammo una società sportiva, frutto dell’unione di due squadre che piantavano le loro radici nella tradizione sportiva degli oratori milanesi, la piccola squadra di Calcio e quella di pallacanestro. Qualche anno dopo, credo nel 1996, in seguito all’arrivo di Don Alberto Cereda e all’unione della parrocchia di Garbatola con quella di S.Ilario, il paese vicino, alla polisportiva garbatolese unì la ancor più salda tradizione calcistica santilariese – di S.Ilario era il campione degli anni ’70 scomparso precocemente Luciano Re Cecconi –. Dopo il grande lavoro di Don Alberto, anche in vista della sua partenza dopo esser stato giovane atleta e allenatore due anni fa fui nominato presidente della società sportiva, che nel frattempo era stata rinominata in UPN. Già dai primi giorni si capì che quello poteva essere un momento di passaggio verso una nuova gestione, un momento che poteva essere difficile e portatore di cambiamenti. Nessuno però poteva pensare che quel momento sarebbe stato l’inizio di una rivoluzione. Non una rivoluzione nel senso delle cose fatte, quelle sarebbero e sono continuate come prima, i campionati si fanno come prima, gli allenamenti si fanno come prima, le vittorie e le sconfitte sono le stesse di prima, ma una rivoluzione culturale, una rivoluzione del modo di pensare alla società sportiva, una rivoluzione del cuore.
Innanzitutto cominciamo dal principio, dalle basi. La cosa più difficile e macchinosa fu quella di creare la squadra! Non si poteva cancellare il passato, per poi trovarsi da soli in mezzo al deserto, bisognava tenere i vecchi – nel nostro caso anche giovani – ed esperti dirigenti, o allenatori, e insieme bisognava fare pulizia e inserire nei punti giusti, nei punti chiave, anche inventati ad hoc, cioè in base alle capacità di ciascuno, le persone giuste. Due rappresentanti per ogni sport rappresentato nella polisportiva, più due consiglieri direttamente nominati dal presidente, in tutto una squadra di dodici persone. Fatta la squadra, dopo non poche difficoltà, bisognava strutturarci e sistemarci burocraticamente: atto costitutivo, statuto, codice fiscale, iscrizioni a tutti i registri che mancavano, conto in banca, bilanci da sistemare, coordinamento tra le varie anime della società, ecc. Ci è voluto un anno, un anno difficile, in cui molti si sono sacrificati, ma alla fine del 2008 le cose erano pronte per la rivoluzione.
Sistemata l’associazione dal punto di vista burocratico, una prima operazione concreta è stata quella di censire la stessa, per conoscerla capillarmente, per capire “lo stato dell’associazione”: quanti atleti, di che età, quanti dirigenti, quanti allenatori, quando si allenano e quando giocano – per potere essere ogni tanto presente –, ecc. In secondo luogo ho iniziato a partecipare, da osservatore, alle lezioni di danza, alle partite del calcio, ai tornei di pallavolo, ecc. In terzo luogo bisognava avviare una serie di incontri con le varie anime dell’associazione: incontri in cui si sono prima ascoltati i bisogni, le necessità e i problemi di ciascuno, quindi si è iniziata a impartire una certa linea programmatica. Una delle cose più importanti era, per me, far sentire come propria, di ciascun tesserato, dirigente o atleta, un’associazione, e mentre il segretario si occupava di sistemare i conti e le parti burocratiche, e il vicepresidente di mantenere i rapporti con le parrocchie, io decisi di assumere il “dicastero” della propaganda! Lo so che evoca brutti ricordi, e apposta ho usato quel triste termine, perché se letto in chiave democratica e liberale la propaganda è l’unico modo, che almeno io conosco, per arrivare alla gente, e se è il caso per poterle chiedere sacrifici. Credo infatti che per prima cosa bisogna coinvolgere il più possibile la gente, farla sentire parte di una cosa più grande, farla sognare e soprattutto farla lavorare divertendosi! L’avevo sperimentato negli anni delle scuole superiori, quando divenuto rappresentante degli studenti, il secondo anno con l’appoggio di una solida dirigenza organizzammo feste, giornate sportive, manifestazioni, ecc. E allora per prima cosa abbiamo distribuito felpe marchiate UPN, magliette marchiate UPN, allestito banchetti al mercato, alle manifestazioni comunali, partecipato a giochi estivi – abbiamo vinto la coppa, di Zibello, al torneo di calcio balilla umano organizzato dal Comune mentre le nostre ragazze distribuivano cartoline e materiale divulgativo UPN –, organizzato feste, proiettato filmati, ecc.
Parallelamente siamo l’unica associazione sportiva dilettantistica nervianese, o una delle poche, che presenta in assemblea pubblica ai propri iscritti il bilancio e l’attività estiva. Non solo feste e divertimento ma anche lavoro serio. Un’associazione è come un mosaico: ognuno ha un suo ruolo e un suo compito.
Il mese scorso un’insegnante di danza mi ha portato un disegno di una bambina dell’asilo. Il disegno rappresentava la bambina stessa con le sue amiche e compagne di danza e in mezzo a loro un cartello con scritto: forza UPN. Badate che nessuno ha mai parlato ai ragazzi, figuratevi ai bambini o alle bambine dell’asilo di UPN, non c’è tifoseria, ecc, e nonostante questo loro stesse si sono auto inserite in un qualcosa che sentono loro, qualcosa di più di un’associazione, una famiglia, una comunità. E allora proprio quest’estate in occasione delle attività estive che organizzeremo – bar estivo, il ciringuito, tornei di beach volley e basket, serate danzanti e serate rock dal vivo, ecc – lanceremo il nuovo motto, preso in prestito dall’FC Barcelona, che è una sintesi tra senso di appartenenza a una comunità e propaganda schietta: UPN, più di un club!
Ovviamente questo mio è solo un esempio, ma ve ne sono molti altri simili. Perché, quindi, mentre in questo nostro profondo nord le associazioni galoppano a grande velocità nel nuovo millennio, i partiti, anche i partiti maggiori, ormai ridotti a piccole associazioni, tendono invece a fatica a inseguire quello che queste associazioni fanno piuttosto che essere loro stessi un modello di riferimento? Io ho delle risposte personali, risposte che partono cioè dalle persone, da una classe dirigente stanca e spesso lontana dalla realtà che li circonda, non cattive persone ma cattivi dirigenti in un momento di grandi cambiamenti, che il berlusconismo, in Italia, non ha fatto altro che accelerare.
Tutto quello che si è fatto e tutto quello che si farà ancora non sarebbe stato possibile grazie a un gruppo di persone serie, precise e affidabili che comunitariamente ringrazio a una a una!
ps. scusate ma ogni tanto si può anche dire che si sono fatte e si fanno delle cose buone, poi in un momento come questo è tempo di reagire!
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