martedì 7 dicembre 2010
Un pensiero sullo stato e la chiesa
Sono anni difficili, anni in cui una classe dirigente vecchia, non solo anagraficamente, stenta a lasciare il potere che ha consolidato attorno ad essa, in tutti i campi, dalle Amministrazioni pubbliche alle Università alle strutture private. Anni in cui la famiglia, unico motore e unico fattore reale che ci sta tenendo fuori dalla porta la crisi economica che ha già coinvolto Grecia, Portogallo, Irlanda, è in crisi. Anni in cui i giovani anno paura di fare figli, di sposarsi, anni in cui i figli guadagnano meno dei padri. Anni in cui i politici non fanno altro che litigare in televisione senza mai, ma dico mai, legiferare e governare. Sono anni in cui i vari Alfano, La Russa, Rutelli, Bindi, Letta, ecc, ecc, sembrano più preoccupati di curare la loro immagine, intesa in senso molto largo, negli studi televisivi piuttosto che fare il loro dovere di legislatori, di controllori, di parlamentari, di amministratori. Sono gli anni in cui il cardinal Martini o il cardinal Tettamanzi vengono definiti rossi perché dicono loro cose più di sinistra, o di buon senso, che non i politici, a tutti i livelli soprattutto quelli di sinistra – che dovrebbero invece non avere paura di dire le cose che dicono i cardinali milanesi –.
Proprio di questo vorrei in questo giorno di S. Ambrogio trattare oggi.
Non è la prima volta che accade e non sarà nemmeno l’ultima: in Italia, ma diciamo pure in Europa occidentale, la Chiesa non è vero che invade il campo, e lo dice uno di sinistra che da tempo, ormai non so quanto, vota sempre più a sinistra – tanto si sta trasformando e sta andando verso una moderatismo schifoso e ripugnante la sinistra italiana nata dalle macerie del PCI –, finiamola con queste palle! La Chiesa non invade il campo, la Chiesa occupa un vuoto, il vuoto politico lasciato da questa inutile e arrogante classe politica, di quarantenni arrivisti e inutili e di sessantenni attaccati alla poltrona.
Non è la prima volta che accade, dicevo. Citerò due, tra i tanti, esempi illustri, esempi milanesi, l’esempio di due vescovi: Ambrogio e Carlo Borromeo.
Ambrogio venne eletto vescovo in un momento di grande crisi, in cui l’imperatore, che risiedeva a Milano, era incapace di governare la città e le tensioni che in essa si scatenavano. Con la sua sapienza il presule riempì uno spazio, un vuoto. E con la sua presenza e la sua forza giunse persino a condannare l’imperatore che a Ravenna aveva compiuto un eccidio incredibile. In altri tempi e con altre persone, con altri politici, più forti, da un lato e con altre figure ecclesiastiche dall’altro, quella condanna non avrebbe portato a niente – sono i primi anni del cristianesimo non sono di certo gli anni della Chiesa potente e militare – e invece l’imperatore tornò in ginocchio davanti al vescovo, riconobbe la sua superiorità e solo così continuò a governare. Badate bene che, ripeto, Ambrogio si limitò a denunciare una strage di innocenti, non disse niente di assurdo o di sconvolgente. Semplicemente la classe politica di quel tempo, impersonificata in questo mio dall’imperatore, era tanto corrotta da non capire che uccidere migliaia di innocenti in uno stadio solo per sedare una piccola rivolta cittadina era una cosa gravissima.
Carlo Borromeo invece giunse a Milano in anni in cui la situazione economica, politica e morale era incredibilmente degradata. La classe politica milanese dopo la sconfitta sforzesca non si era ancora ripresa e da circa cinquant’anni non riusciva letteralmente ad amministrare la città e il Ducato – un decreto dell’imperatore sancì anche la totale dipendenza del Ducato dal volere imperiale, cancellando anni di lotte indipendentiste –. I governatori e i militari imperiali, spagnoli, erano poi troppo intenti a mantenere il loro ruolo e il loro prestigio e spesso erano anche in combutta con le famiglie aristocratiche locali. In questo quadro un uomo piccolo ma duro e severo, intransigente, letteralmente ribaltò la città e il Ducato trasformandolo completamente e attuando una vera e propria riforma morale e urbanistica. Mi chiedo era Carlo che invadeva o erano gli amministratori che non erano capaci di amministrare? – pensate che solo pochi anni prima furono invece le truppe imperiali a invadere Roma, che per la seconda volta nella sua storia millenaria veniva violata –.
Mi verrebbe da dire che anche nel mio borgo di recente fu un parroco intelligente e intransigente a portare alla ribalta temi come quello della casa, che l’allora amministrazione non riusciva nemmeno ad affrontare, ma invece, nel giorno di S.Ambrogio, volevo ringraziare il cardinal Dionigi Tettamanzi per la parole che ha usato ieri nel messaggio alla città. Ieri infatti mentre ricordava agli auttuali amministratori l’importanza del dialogo multiculturale, in una città che sempre più odia e sempre meno accoglie, mentre ricordava quanta fatica facciano, stante anche gli ultimi tagli statali, le associazioni no-profit e quanto bene, per contro, esse facciano occupandosi di cose di cui le amministrazioni stesse non si occupano, è arrivato anche a parlare di piani regolatori e PGT.
Già! Ora che un cardinale parli di urbanistica non fa sorridere, fa piangere. Da architetto e da uomo di sinistra dovrei incazzarmi per questa invasione di campo o dovrei incazzarmi perché i politici e gli architetti non sono capaci di avere un’uguale attenzione, oggi indispensabile, verso le cose, verso la situazione economica, famigliare, ecc, di chi amministrano? Forse il cardinale, e il suo staff, la Chiesa, parlano di più con la gente e stanno di più in mezzo alla gente? Ma che razza di politici abbiamo, di destra e di sinistra, se a nessuno viene in mente che oggi non servono altre carte e altra burocrazia – il piano di Nerviano è fatto da non so quante carte, spesso inutili –, carte di analisi, carte di controanalisi, carte di progetti che mai si realizzeranno, ecc, bisogna fare solamente una carta dei cantieri sociali, dei movimenti. Una carta dei cantieri delle persone che lavorano per gli altri, per gli immigrati, per i poveri, di questo ha bisogno Milano, “di questo hanno bisogno le nostre città non di fare nuove carte di PGT” (card. Dionigi Tettamanzi, 6/12/10 ore 18:45). Una carta cioè dove vengano riportate tutte le associazioni che operano sul territorio, una carta che ricordi agli amministratori l’importanza del dialogo non solo in chiave elettorale con le associazioni stesse o i gruppi di volontariato sociale, che ricordi agli Amministratori di ascoltare quali sono le loro esigenze, le esigenze di chi è a contatto con la gente e non con la burocrazia – non di mettere concerti il giorno in cui una di queste fa un concerto...che ovviamente è più partecipato, perché più sentito, del primo –.
Da qui si può e si deve ripartire, io credo che un programma per le prossime elezioni amministrative sia facilissimo da fare, basta far parlare chi opera davvero sul territorio...senza inventarsi nulla!
Riqualificazione piazza don Musazzi Garbatola (part. 3)
3. Progetto per la piazza nuova
La piazza di ogni centro urbano è il luogo emblematico della sua comunità, il luogo in cui si formano i suoi valori, la cultura e la solidarietà tra i suoi membri, e dove pure si formano le immagini di questo legame, i suoi segni riconosciuti.
Nelle grandi città questo rapporto vive e si esprime su un’altra scala rispetto ai centri minori: nelle metropoli il legame di delle figure con gli abitanti è meno diretto e sentito. L’esperienza del progetto nei piccoli centri è pertanto importante e decisiva nella cultura contemporanea. È partendo da casi simili che si può davvero ricostruire una cultura del territorio di nuovo organica con la società e con gli uomini che la compongono.
La piazza di Garbatola, secondo noi, deve essere diversa dalla piazza di una grande città e deve esserlo, sopratutto, rispetto ai luoghi pubblici astratti e concitati di una metropoli. E questa differenza, questa peculiarità, è per noi il carattere di maggior interesse del progetto. Per questo abbiamo voluto che la piazza mantenesse la memoria dei luoghi che circondano il centro, mantenesse cioè un carattere rurale, e questo senza ricadere nel folkloristico, o in un disegno meramente nostalgico, ma reinterpretando il tema con segni contemporanei.
Attraverso un disegno semplice ed elementare abbiamo scelto di far risaltare gli elementi dominanti dello spazio, chiarificando le relazioni reciproche e facendo emergere le tracce eventualmente indebolite dal passare del tempo.
Un tracciato geometrico lineare mette in risalto la corrispondenza del luogo pubblico con il monumento maggiore, la Chiesa dei Santi Francesco e Sebastiano. Quest’area occupa tutta l’estensione dello spazio, dalla facciata della chiesa sino al fronte della corte che le si oppone. Dell’edificio sacro riprende la dimensione dello spessore e la misura delle scansioni delle sue campate. La piazza, è così anche sagrato della Chiesa e in questo senso il nostro progetto propone di demolire l’attuale cancellata che separa la Chiesa dal suolo pubblico, cancellata che fu costruita di recente, e così, di colpo, Chiesa e suolo pubblico si relazioneranno direttamente.
Il tracciato principale della piazza è articolato quindi per fasce, in parte pavimentate, in parte trattate a prato. Le fasce a verde vogliono ricordare il carattere rurale del territorio su cui si è formata e vive la comunità di Garbatola, e vogliono farlo non solo nella materia, attraverso la presenza del verde, del prato, dell’acqua e degli alberi, ma anche nel tracciato, che rimanda all’immagine dei campi agricoli e all’alternarsi delle diverse colture.
Quest’immagine convive con il disegno di arredi di gusto moderno e contemporaneo, improntato a un minimalismo discreto, più che all’esibizione di forme incongrue e insolite.
La fontana storica, tutt’ora al centro della piazza, viene poi recuperata e, svuotata, è sistemata in uno dei prati. Diviene così un’ampia seduta, anch’essa trattata a verde. Una nuova fontana, che incorpora anche la funzione monumentale e il ricordo dei caduti, è progettata sul lato opposto della piazza rispetto alla chiesa. Si tratta di un’ampia vasca a raso: nessun elemento o barriera interrompe la relazione tra il passante e l’acqua. La vasca, con fondo digradante, può perfino essere percorsa per un tratto, bagnandosi i piedi e porta così direttamente l’elemento acqua nei percorsi del resto della piazza. Quella di progetto vuole ricordare direttamente la fontana delle 99 cannelle dell’Aquila, ma nel nostro caso ogni cannella ricorda un Caduto di Garbatola con Villanova.
Al di la del sagrato, sul lato verso via San Francesco, di fronte all’attuale casa Parrocchiale, viene ripreso il disegno a fasce verdi e viene lasciato libero uno spazio riservato ai parcheggi, provvisto però di alberi, che garantiscono l’ombra e ne integrano l’immagine con resto della piazza.
Un ruolo importante nel progetto ha anche l’antica chiesina di Garbatola, l’ex Oratorio dei Santi Biagio e Francesco, che abbiamo voluto recuperare con un possibile nuovo disegno per la facciata e il tracciamento, in corrispondenza del manufatto antico, di una piccola seconda piazza, analoga e ruotata rispetto a quella principale: un tracciamento sul suolo che non ostacola il traffico e che anzi ne integra e indirizza il flusso attraverso il disegno sul suolo.
È chiaro che nel nostro progetto la viabilità esistente può rimanere e anzi il progetto, costruendosi come progetto di architettura inserito nella storia del borgo, una storia certamente più pedonale che carrabile, è indifferente alla scelte amministrative o legate a logiche altre sulla circolazione delle auto. È altrettanto vero però che certamente il nostro progetto sottende l’idea forte e ferma della necessità di pedonalizzare la quasi totalità dell’area della piazza don Musazzi. Così via San Francesco dall’incrocio con via Carlo Porta nella nostra proposta ideale diventa, inizialmente solo le domeniche e le festività poi sempre, una via senza uscita, con accesso al parcheggio centrale – raddoppiato in dimensione e numero di posti rispetto l’attuale –; le vie XX Settembre e Gorizia rimangono a senso unico da sud a nord; via Isonzo diventa una via a senso unico in entrata verso il centro del paese. È evidente che questa sistemazione, appunto considerata da noi ideale, non può prescindere dalla sistemazione della viabilità di tutto il paese, con la creazione di un percorso alternativo al centro, percorso ormai più che necessario, urgente, che non può essere demandato alla sistemazione della piazza centrale e storica.
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