lunedì 12 maggio 2008
Progettare una piazza [part. 3]
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Sottotitolo: questioni di memoria
Si è detto che la Cassina è stata il primo nucleo economico e giurisdizionale «imposto in terra lombarda da una “necessità” intrinseca alla gente: il lavoro. Una cascina si distanzia dall’altra in una ragionevole misura, quando comporta cioè la facoltà del lavoro: quanto può adempiere di lavoro una famiglia di contadini, o un gruppo di più famiglie raccolte nell’unità distesa del fondo»[1]. Si è detto poi che le Cascine erano un insieme strutturato e spesso regolare di corti, corti nobili, spesso al centro e con piccoli Oratori adiacenti, e corti coloniche, ai margini e confinanti con i campi. Le residenze dei coloni «quasi sempre a due piani, terreno e primo, raramente e magari soffittate di un terzo. Nel qual caso il sottotetto è adibito a fienile, a granaio»[2]. Sui rimanenti lati del quadrato, o rettangolo, vi erano le stalle e i fienili. Anche queste ultime erano a due piani: al livello del terreno erano le stalle, severe, fatte di muri con poche aperture all’esterno, e al piano primo i fienili, grandi spazi aperti pilastrati in modo regolare e coperti da un unico tetto a falde retto da grandi capriate in legno. «Nell’area mediana è ricavata l’aia, in battuto, l’abbeveratoio per il bestiame: e qualche volta ci noti il pozzo […]. L’accesso al cortile è dato da un portone e da un andito acciottolato, ove si tratti di un vero cortile cioè di un quadrato tutto chiuso da edifici, per quanto ampio»[3].
Abbiamo detto infine come questi borghi rurali, oggi divenuti paesi della cintura, difficilmente hanno una piazza vera e propria, porticata o con loggiati che vi si affacciano, come quelle centro italiche, proprio perché diversa è la struttura ossea di borghi e Cassine. Ovviamente non è sempre così, non è così a Vigevano, a Pavia, a Lodi, a Como, ma anche non è così nemmeno ad Abbiategrasso, Magenta, Castiglione Olona, ecc, ma sono situazioni differenti rispetto la grande maggioranza delle piccole o grandi Cascine, erano infatti cittadine, o borghi sperimentali, già nei secoli XV e XVI.
E quindi come intervenire oggi? Ha senso ricreare una situazione che non è mai esistita, magari attraverso composizioni che riprendono i dettami architettonici del passato? O per contro ha senso inserire elementi moderni, nuovi, astratti?
Credo non sia semplice progettare una piazza in queste situazioni, innanzitutto credo si debba riallacciare il rapporto tra composizione architettonica e archeologia urbana, tra progettisti e storici, rapporto che invece negli ultimi decenni si è molto alterato – gli storici si sono rifugiati nel loro estremo rigore, gli architetti dal canto loro hanno spesso operato senza l’aiuto degli storici –. Da qui ne deriva la ferma volontà, da parte di buona parte della cultura architettonica contemporanea, di riscoprire il senso del passato nella città moderna, quel passato che ha perso il suo carattere originario e fondativo, ma che è custodito all’interno della città stessa: nel sottosuolo, negli archivi, nei musei. Nell’Architettura della città, Aldo Rossi sottolinea come la città può essere considerata «un fatto materiale, un manufatto, la cui costruzione è avvenuta nel tempo e del tempo mantiene le tracce, sia pure in modo discontinuo. Da questo punto di vista lo studio della città ci offre risultati di grande importanza: l’archeologia, la storia dell’architettura, le stesse storie municipali ci offrono una documentazione molto ampia»[4]. E così una piazza può diventare una sorta di museo, di luogo della memoria della città antica, dove la rovina – intesa in senso lato, quindi anche la vecchia corte – e non va vista come punto di arrivo, ma come punto di partenza del progetto stesso.
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[1] CARLO EMILIO GADDA, Terra Lombarda, in Id., Le meraviglie d’Italia, Edizioni Einaudi, Torino, 1964, pp. 93-95.
[2] Ibidem.
[3] Ibidem.
[4] ALDO ROSSI, L’architettura della città, Marsilio, Padova, 1966, 1970, 1973; edito. a cura di Daniele Vitale, Clup, Milano, 1978, 1987; ultima ed. Città Studi Edizioni, Milano, 1995, p. 173.
[Foto 01] Garbatola di Nerviano. Cartolina degli anni '50, si può notare come l'attuale piazza sia definita ancora come uno spazio semipubblico (era appena stato abbattuto il muro che recintava lo spazio e che lo faceva essere interamente uno spazio privato).
[Foto 02] Garbatola di Nerviano. Carta dell'inizio del XX secolo. Si nota al n.3 l'area dell'attuale piazza ancora giardino privato di una casa da nobile.
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