lunedì 16 febbraio 2009

Giulia Veronesi

«Queste mie pagine [...] vogliono essere unicamente un tentativo di ritrovare nella memoria i nodi del dramma che i nostri errori hanno stretti. Errori di cui non solo una folle dittatura va accusata, ma anche noi stessi, e la cui coscienza chiara è oggi una luce che ci guida di fronte alla forma diversa ma non meno oscura delle difficoltà antiche e nuove in cui viviamo, continuamente in crisi, continuamente pronti a porre gli altri in stato d'accusa: gli altri, una "società" che candidamente o ciecamente supponiamo esistere al di fuori e senza di noi, mentre non c'è un solo istante del vivere, in cui ognuno non sia, di se stesso e degli altri, responsabile»[1].

Una persona a me molto ma molto cara – e dicendo cara ne sminuisco lo spessore e l’importanza che ha avuto in questi anni, ma lei lo sa – mi ha mandato questa frase di Giulia Veronesi.
In un primo momento non ci ho fatto caso più di tanto e volevo pubblicarla così, fidandomi della sua intelligenza, poi l’ho riletta una volta, poi una seconda, poi una terza e come una bella ma difficile canzone ne ho capito il senso profondo e intimo. Quante volte nella vita ci capita di imbatterci in situazioni dove accecati dall’orgoglio dalla voglia di primeggiare, di arrivare, «continuamente pronti a porre gli altri in stato d'accusa» tendiamo a non accorgerci dei nostri errori e ad accusare gli altri di quanto succede invece di affrontarci con umiltà. È così in politica, nelle amministrazioni cittadine, nelle vicende personali. È stato così per certi versi, non per tutti gli italiani per il vero, negli anni dell’avvento della terribile dittatura fascista, è così oggi, o quasi, quando inermi assistiamo al teatrino della politica nazionale con dirigenti sempre più inadatti e poco rappresentativi della buona Italia [2], o quando ci rifiutiamo di affrontare noi stessi o quando rifiutiamo di farci aiutare [3]. Nella vita è invece fondamentale riconoscere i nostri errori, farci umili e chiedere aiuto, quegli errori di cui in primo luogo dobbiamo accusare «noi stessi», per poi attraverso una chiara presa di coscienza di essi, farci guidare verso una vita diversa, una diversa amministrazione, una diversa, speriamo migliore, struttura sociale.

[1] GIULIA VERONESI, Difficoltà politiche dell'architettura in Italia, 1920-1940, Politecnica Tamburini, Milano 1953, n.e. Christian Marinotti, 2008 p.32.

[2] Eugenio Scalfari, allora all’Europeo, scrisse che l’Italia non si meritava quella classe dirigente, erano gli anni ’50 e il peggio doveva ancora arrivare, una classe dirigente che non puniva la frode contro lo stato perché lei per prima frodava lo stato spesso e volentieri e più della popolazione. Sempre negli anni ’50 Indro Montanelli diceva pubblicamente che la classe dirigente italiana gli faceva “schifo”.

[3] L’uomo non è autosufficiente, l’autarchia, in tutti i settori, non è mai stata una buona idea e soprattutto non ha mai portato ai risultati attesi.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Compagno! Oggi sei in forma!
Antropofilo

Anonimo ha detto...

... è proprio così come scrivi!
Pio