lunedì 31 dicembre 2007

Concorsi di Architettura – Bilancio 2



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(continua)
Chiudere il 2007, per lo meno chiudere quella che per me è stata la sua parte pubblica e lavorativa, significa anche fare un bilancio sul tema dei concorsi.

A fronte della gravissima situazione di crisi in cui si trova l’architettura del nostro paese, sia quella privata, legata a una committenza che non ha termini di paragone rispetto la cultura architettonica del nostro tempo, sia quella pubblica, troppo litigiosa e rozza, anche un concorso di progettazione o un concorso di idee possono trasformarsi in sfide importanti e in momenti centrali nella formazione di un architetto. Credo di poterne parlare a buona ragione visto che in cinque anni, da quando cioè mi sono iscritto all’ordine degli Architetti di Milano, con altri amici e con alcuni studenti, ho partecipato a 17 concorsi di idee e di progetto – oltre a quelli a curriculum –. I concorsi sono insieme un modo per lavorare con altri architetti, ingegneri e studenti, e un modo per ragionare su cose altre rispetto la normale burocrazia di studio, un modo per essere costretti a studiare, un modo per progettare, e quindi, per un architetto, un modo per coniugare teoria e pratica.
Ma, tolta la dimensione teorico-pratica, quanto è utile partecipare a concorsi di progettazione o di idee nel nostro paese? Quanti concorsi possono davvero dirsi liberi da pressioni? Quanti concorsi non hanno già nomi e cognomi scritti in partenza? Esiste un sito internet che tenta di dare alcune risposte a queste mie domane, che non sono solo mie ovviamente, e non è un caso che a fronte di un dato positivo, il numero di amministrazioni comunali che ricorrono allo strumento del concorso aumenta progressivamente di anno in anno, c’è subito un dato negativo se si considera che sempre meno sono i giovani architetti che vincono questi concorsi. Inutile dire che negli altri paesi non è così.

A Nerviano a fine 2006 cambiò l’amministrazione, e dopo un lungo periodo, dieci anni, in cui le varie amministrazioni leghiste non fecero ricorso allo strumento del concorso di idee, o di progettazione, si sperava che la nuova amministrazione di centro sinistra imponesse subito un cambio di direzione.
L’occasione si presentò presto: la costruzione di una nuova scuola. Forse per impreparazione o forse per altro, le mie proposte per affidare l’incarico attraverso lo strumento del concorso di progettazione, anche solo la fase definitiva del progetto e non l’esecutiva, o la direzione lavori, fatte personalmente all’assessore ai LL.PP. non vennero mai prese in considerazione, e alle mie numerose domande non fu mai risposto.
All’inizio del 2007, o alla fine del 2006, non ricordo, le mie proposte, rese pubbliche su articoli e per posta elettronica, vennero sostenute e presentate in consiglio comunale dall’opposizione – la stessa che anni prima non aveva mai fatto concorsi per il vero –. Ovviamente la risposta fu negativa.

Ora il 2007 è passato e della nuova scuola nessuna traccia.
Era così difficile bandire con calma un concorso pubblico, diciamo entro marzo 2007, cioè molti mesi dopo la mia proposta – datata giugno 2006 – indicare come termine per la consegna dei lavori una data plausibile, diciamo maggio-giugno 2007, prendersi due mesi per i lavori della commissione giudicante e arrivare a presentare i lavori, con i vincitori, diciamo a settembre-ottobre 2007?

Ora il 2007 è passato e il bilancio in materia di architettura pubblica del Comune di Nerviano anche per quanto sopra esposto è ancora secondo me negativo e, tolta una piccolissima mostra di lavori di studenti della facoltà di Architettura Civile di Milano, coordinati dal prof. Antonio Esposito, da me e da altri docenti milanesi – di cui si trova uno scritto su questo blog –, o due convegni sulla casa ecologica e su un recupero di una parte storica di Nerviano – lavori comunque privati –, ancora una volta nessuno ha parlato di architettura pubblica.

Speriamo nel 2008. Buon anno.


venerdì 28 dicembre 2007

Parco Urbano, Parco Extraurbano e Parco Agricolo


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In questi giorni a Nerviano si sta accendendo una polemica – che spero sfoci in un dibattito costruttivo – su alcune aree considerate, secondo me se volete ingenuamente, da amministratori comitati e cittadini parchi pubblici. Ma astraendomi per il momento da quella polemica mi sorge subito una domanda: cos’è un parco o cosa si può intendere per parco. Può essere considerato parco un piccolo spazio, di poche centinaia di metri quadrati, con qualche altalena, una o due, uno scivolo, una vasca per la sabbia e un castello per bambini?

Ho già avuto modo su questo diario di scrivere in merito al Parco Agricolo sovracomunale del Roccolo, alla sua presente assenza, ora vorrei provare a fare chiarezza su quello che si può intendere, o che comunque all’estero comunemente si intende, per parco. Intanto bisogna distinguere tra parchi urbani e parchi extraurbani, vorrei per ora soffermarmi sui primi.

Erano certamente urbani, ma intesi in un senso diverso in una società diversa, i parchi del Rinascimento italiano, il Barco Ducale a Milano, antenato del parco Castello, o il Giardino di Boboli, o i Giardini Vaticani; ma anche i parchi del XVII e del XVIII secolo, quasi sempre legati alla presenza di Ville signorili urbane e sub urbane (MARCANTONIO DAL RE, Ville di delizia o siano palagi camperecci nello Stato di Milano, (ed. originale 1743), a cura di Pier Fausto Bagatti Valsecchi, edizioni Il Polifilo, Milano, 1963), come il giardino di Villa Litta a Lainate, o i giardini borromei sul lago Maggiore.
Indubbiamente a partire dal XIX secolo, con la rivoluzione borghese, il tema del parco urbano assunse connotati diversi. Tra ottocento e novecento uno dei luoghi centrali su cui si doveva strutturare la nuova città era il parco pubblico. Pensate all’Hyde Park (http://it.wikipedia.org/wiki/Hyde_Park) di Londra, modello per le città di fine ottocento e inizio novecento, ma anche al Tiergarten a Berlino, o al Theresienwiese di Monaco di Baviera – non solo luogo dell’Oktoberfest –, grandi parchi interni alla città, costruiti su modelli naturalistici, con laghi, boschi, prati, passeggiate, ma anche pieni di riferimenti al giardino all’italiana, con labirinti, aiuole fiorite, piantumazioni regolari, ecc. Isole verdi interne alle città dove la società borghese poteva girare in carrozza, a cavallo, o a piedi, dimenticando per un momento le ansie lavorative.
Anche nella città moderna, sia quella razionale e pianificata di Le Corbusier e degli architetti europei, sia quella in qualche modo sregolata e irrazionale del nord America (REM KOOLHAAS, Delirious New York: un manifesto retroattivo per Manhattan, edizione italiana a cura di Marco Biraghi, Electa, Milano, 2001), il tema del parco urbano e delle aree verdi urbane rimase certamente uno dei temi centrali su cui il progetto della città doveva strutturarsi. Penso al più grande parco urbano del mondo, il Central Park di NewYork (http://www.centralpark.com/), o ai parchi della grande Mosca moderna e socialista, pre-stalinista, o ai parchi di Helsinky, o comunque ai parchi delle città nord europee.







È evidente che si tratta di parchi grandissimi, enormi, ma il problema italiano, lombardo, milanese e nervianese, non è un problema dimensionale, è un problema di scala. A nessuno verrebbe in mente di costruire un Central Park a Garbatola o S.Ilario, o di pensare alla Ville Radieuse in scala nervianese, ma un buon amministratore e un buon cittadino dovrebbero porsi il problema della riqualificazione delle aree verdi, e dell’individuazione di nuovi parchi urbani, come un problema centrale per la città moderna e come un problema di architettura e pianificazione. E invece sempre più spesso si litiga su piccolissime aiuole, scivoli, altalene, castelli, vasche di sabbia, e ragionando nel micro si lascia che le nostre città, e il nostro territorio, vengano distrutti, devastati e martoriati da polemiche sterili e pianificazioni dissennate.