mercoledì 25 novembre 2009
Teatro Sagunto - Non sarà demolito!
Il teatro di Sagunto sorge a metà strada tra la città e l’acropoli, fra il centro storico attuale e ciò che resta dell’antico castello, sorto sulle rovine dell’antico foro romano è stato assunto come dato oggettivo e come base del progetto. Inoltre a Sagunto la presenza della rovina antica, cioè di un edificio reale, o di ciò che ne restava è divenuta per Grassi la pietra di paragone del progetto, il nuovo non si è imposto come presenza annientatrice sul vecchio, e insieme ha sempre demandato alle antiche rovine quelle risposte che non è stato in grado di dare, e così la scena, ricostruita nella sua imponente astrazione, porta in se come un doppio carattere di monumento non finito, con i grandi muri lisci e non decorati, in mattoni, e di scena urbana, con le grandi finestre, le finestrelle e le ringhiere metalliche, che riprendono direttamente i fronti delle case del centro storico.
Il restauro del Teatro Romano di Sagunto ha avuto una vicenda travagliatissima. Pubblicato su quasi tutte le riviste internazionali e vincitore di molti premi di architettura, è stato attaccato duramente sin dall’inizio, soprattutto per ragioni politiche, dal Partito Polare e dalla destra spagnola, allora all’opposizione. Dopo 15 anni sembrava che le polemiche, e soprattutto che le richieste di abbattimento della grandiosa scena fronte, ricostruita dagli architetti Grassi e Portaceli, si fossero definitivamente taciute e invece un mese fa la sentenza definitiva del tribunale supremo di Madrid: il teatro deve essere abbattuto e ricondotto alla sua condizione, presunta iniziale, di rovina.
Da quella notizia sono passati quasi due anni. Due anni di manifestazioni, due anni di raccolta di firme (anche da questo blog arrivò un cospicuo appoggio contro la demolizione si vedano i post di gennaio e febbraio 2008, in particolare quello di mercoledì 30 gennaio 2008 “Raccolta di firme contro la demolizione del Teatro di Sagunto”), due anni di proclami da parte di tutta la cultura architettonica nazionale e internazionale e a differenza di quello che succede spesso in Italia (dove ci riempiamo la bocca della parola democrazia, sia essa comunale o parlamentare, ma poi il popolo non viene mai ascoltato, mi riferisco a moltissime vicende anche particolari e locali, ma ovviamente non solo) forse ora ci siamo: il Teatro di Sagunto è salvo! Recita infatti un pezzo di oggi su El Pais: El Tribunal Supremo ha cerrado el viejo culebrón del mucho más antiguo Teatro Romano de Sagunto. No se demolerán las obras de rehabilitación que dirigieron hace 20 años los arquitectos Giorgio Grassi y Manuel Portaceli, en la época del último Gobierno socialista valenciano.
Una battaglia politica, tra rappresentanti della destra spagnola, che si erano candidati nei primi anni '90 con la ferma proposta di abbattere il teatro, e la sinistra socialista e la cultura architettonica internazionale, una battaglia culturale, una battaglia che finalmente, dopo circa vent’anni, sembra essere finita e sembra che abbia vinto oltre che il buon senso, anche l’architettura e il teatro rimarrà com’è e non sarà demolito.
Io credo che il teatro di Sagunto sia una delle opere più straordinarie del XX secolo, un vero manuale di architettura, nel senso più ampio del termine, e per questo sono certo che sia giusto l’averlo salvato da quella che poteva essere una vera e propria barbarie. Da anni ogni qualvolta mi capita di andare in Spagna e a Valencia in particolare andiamo a vedere lo stato di salute del Teatro, come fosse l’ultima volta, come per dargli l’ultimo saluto, ma per fortuna il teatro è salvo e quest’estate o la prossima o le prossime potremo andarci ancora e magari far vedere ai nostri figli quest'incredibile opera di architettura.
El Teatro Romano descansa en paz
El Supremo cierra el largo culebrón del monumento de Sagunto - Rechazado el recurso de casación de un abogado que pretendía deshacer la rehabilitación
I. ZAFRA - Valencia - 25/11/2009
El Tribunal Supremo ha cerrado el viejo culebrón del mucho más antiguo Teatro Romano de Sagunto. No se demolerán las obras de rehabilitación que dirigieron hace 20 años los arquitectos Giorgio Grassi y Manuel Portaceli, en la época del último Gobierno socialista valenciano. El Supremo ha rechazado el recurso de casación presentado por el infatigable Marco Molines, abogado y ex diputado del PP, que ha mantenido viva la batalla judicial contra la intervención durante casi dos décadas.
El PP llegó a la Generalitat pidiendo la demolición y luego se arrepintió
Molines acudió al Supremo después de que el Tribunal Superior de Justicia (TSJ) valenciano considerase imposible ejecutar la sentencia que ordenaba eliminar los elementos añadidos (en la cávea y el muro de cierre de escena) con dos argumentos: que el remedio resultaría peor que la supuesta enfermedad, y que la nueva legislación, aprobada en 2007 por la Generalitat (en un cambio radical de postura) permitiría ahora acometer el mismo tipo de rehabilitación.
Las obras del teatro generaron un importante malestar en Sagunto. Una mañana de 1992 las gradas aparecieron cubiertas de pintadas (en latín) contra la intervención y de símbolos fascistas. La polémica se trasladó a los medios de comunicación, algunos de los cuales desataron una bronca campaña contra el entonces presidente de la Generalitat, Joan Lerma, y su consejero de Cultura, Ciprià Ciscar. El Partido Popular advirtió que la cuestión arqueológica (la diferencia entre restauración y reconstrucción) escondía petróleo, y se sumó a las críticas. En 1995, Eduardo Zaplana llegaba a la presidencia de la Generalitat con la promesa electoral de deshacer la rehabilitación. Y aunque para el exterior el Consell del PP continuaba manteniendo la tesis de la reversibilidad (el Gobierno valenciano defendió la demolición y Molines fue incluido en las listas autonómicas del PP), lo cierto es que el caso pintaba muy distinto desde el Palau de la Generalitat.
Así se llegó a la paradoja de que mientras varias sentencias del TSJ (la primera, en 1993) y del Supremo (en 2000 y 2007) condenaban las obras y ordenaban su derribo, el Consell empleaba todos los recursos a su alcance para dilatar la ejecución de la sentencia.
La intervención de Grassi y Portaceli fue finalista del Premio Mies van der Rohe, recibió el apoyo de numerosos arquitectos e intelectuales y, con el paso del tiempo, dejó de ser motivo de polémica ciudadana incluso en Sagunto. Lo impopular era más bien la demolición, y sólo Molines parecía seguir decidido a terminar el trabajo, metiendo en problemas a sus antiguos compañeros de partido.
La Generalitat, gobernada ya por Francisco Camps, aprobó una ley que avalaba retroactivamente la rehabilitación. Y el Consell Valencià de Cultura se mostró favorable a encontrar una solución extraprocesal que evitara cualquier intento de "restitución al estado anterior a la reforma". A pesar de haber ordenado él mismo la ejecución de la sentencia, el TSJ se inclinó finalmente en abril de este año por la postura del Gobierno valenciano, que considera imposible su ejecución. La decisión ha sido confirmada por el Supremo, que rechaza el recurso del abogado Molines por defecto de forma.
lunedì 16 novembre 2009
Firma l'appello! Ora Basta!
Ieri Luciana Littizzetto (mi pare si scriva così), che pure di solito non è che mi faccia molto ridere, ha detto una cosa molto intelligente che condivido in pieno: è come se molte persone, migliaia, in lista di attesa da tempo per fare una TAC, o una risonanza, a un certo punto, per ripartire da capo e cancellare le attese si azzerano tutte le liste, dicendo "ok siete guariti...". Assurdità italiane. Ora Basta!
Anche questa, se volete anche di più, ovviamente, non è una sciocchezza.
sabato 14 novembre 2009
Garbatola part.2 - una cosa seria
(Una cosa per nervianesi)
Oggi è stata una giornata molto importante per Nerviano, oggi è nata ufficialmente la Comunità delle Parrocchie di Nerviano e delle frazioni. In controtendenza con quanto avviene nella società civile, laica, che anzi chiede la separazione tra frazioni e capoluogo, i vertici della Chiesa milanese richiamano Nerviano all’unione.
Ovviamente ci sono molte differenze tra le due questioni. Iniziamo con il dire che apparentemente non è una novità, quella dell’unione delle parrocchie, infatti sembra di esser tornati al IX secolo, quando le frazioni non avevano una parrocchia propria, ma dipendevano direttamente dal capo di Pieve, Nerviano, pur avendo – Garbatola – un comune proprio e autonomo da Nerviano. A questo punto bisognerebbe dire che ora non è così che le parrocchie rimarranno indipendenti pur lavorando in modo comunitario e infatti si chiama comunità e non più unità. Inutile tuttavia non vedere le cose: le radici dell’insofferenza delle frazioni, in particolare di Garbatola, nei confronti del capoluogo e viceversa sono profonde, profondissime, e svaniscono solamente e temporaneamente di fronte all’importanza della Chiesa Plebana e del Prevosto, che finalmente ora è anche nostro – dei garbatolesi – e non più solamente di Nerviano.
Ma detto questo torniamo alla questione che il primo cittadino nervianese definisce “una sciocchezza”, torniamo cioè alla profonda disillusione che c’è negli abitanti delle frazioni, in particolare di nuovo di Garbatola, che si sentono esclusi, inascoltati e peggio presi in giro dalle varie amministrazioni che si susseguono, siano esse di destra, destrissima o centro centro centro sinistra. No caro Sindaco proprio questa questione non è una sciocchezza.
Ovviamente non condivido per nulla il cappello che l’Osservatorio senso Civico ha posto indelebile sulla questione, tanto, ma anche loro lo sanno perché ho avuto modo di dirlo anche personalmente a loro, che una questione così importante che è alla radice di tutti i malesseri, si potrebbe scrivere “la Questione”, non dovrebbe avere nessun cappello, appunto, e anzi sarebbe dovuta nascere, o rinascere, diversamente, dal basso, sentendo la gente e ragionando con i clan, dicevo, sul da farsi. Ma tant’è e ormai siamo a questo punto.
Detto che non condivido i tempi e soprattutto i modi in cui è nata l’iniziativa ricordo anche che la Questione che i giornali banalizzano come secessione di Garbatola, è una questione difficile, spigolosa, dura e annosa. È vero che questa amministrazione si è dimostrata sensibile, soprattutto per quanto riguarda la cultura, nei confronti delle frazioni e di Garbatola e della sua festa in particolare – non abbiamo mai avuto così tanto aiuto come quest’anno e questo va detto –, è vero che le passate amministrazioni anche si sono dimostrate ciascuna a suo modo sensibili, ma scusate qual è l’ultima opera pubblica, nel vero senso della parola, costruita dal Comune di Nerviano, ex novo, in Garbatola? Poteva esserlo il cimitero, ma si è dimostrato un fallimento e non è altro che un brutto recinto con un parcheggio che è quasi sempre allagato; poteva esserlo la piazza, ma i tempi sono biblici e pare che sarà fatto un concorso di idee, che forse un giorno, chissà se, ecc – e non un incarico per un lavoro vero da eseguirsi nel breve –; poteva esserlo la ristrutturazione della scuola, che bastava lasciarla com’era, con una sala civica vera, nuova, e una palestra vera, anch’essa nuova, e invece di nuovo niente. L’ultima e unica opera pubblica nel vero senso delle parola sono le attuali scuole elementari, costruite negli anni ’50. Il resto solo opere di manutenzione, pulizia, ritocco, ecc.
Questa è la questione: Garbatola merita di più.
È vero questa amministrazione ha dotato il paese di una farmacia ma scusate, può esistere un paese a 20 km da Milano, a 5 km dall’Expo e dalla Fiera, senza farmacia? No. In questo hanno ragione gli amici di Senso Civico: amici amministratori i cittadini di Garbatola pagano le tasse come gli altri e anzi in proporzione anche di più – provate a passare lungo via XX Settembre il Sabato o nei prossimi giorni vicini al Natale e me lo dite –! Milleottocento persone, più di 500 famiglie che hanno sempre pagato e con rispetto non hanno mai chiesto nulla, si trovano a vivere un paese con un negozio – che per fortuna resiste –, una piccolissima banca, una farmacia e un bar, e soprattutto senza un distaccamento degli uffici comunali, senza la posta, senza un prestiné – panettiere – il tutto, ricordo, a soli 5 km dall’avveniristica Fiera milanese e dall'aera che ospiterà l’Expo 2015! Ma vi rendete conto della differenza tra Nerviano e le sue frazioni? Ma sapete che molti di Nerviano non sono mai andati in frazione? Lo sapete che anche la Chiesa se n’è accorta e a rotazione il Consiglio Pastorale – una sorta di gran consiglio delle parrocchie – si tiene una volta a Garbatola, una volta a S.Ilario e una volta a Nerviano? Lo sapete che anche la Chiesa se n’è accorta e con forza ha voluto la presenza di un sacerdote per ogni paese nonostante la comunità delle tre parrocchie? Vi rendete conto della differenza che c’è tra il capoluogo, dove oggi venivano posate le luci natalizie, dove il sabato mattina la gente corre a destra e a sinistra, e le frazioni – di nuovo Garbatola in particolare – senza una piazza vera, con un centro devastato dall’incuria, senza servizi sociali, o quasi, e dove la gente si ritrova o nell’unico bar o in parrocchia dato che non c’è nulla. Perché tutti i paesi limitrofi, tutti, forse tranne Barbaiana – che infatti è sul piede di guerra con Lainate – hanno ristrutturato veramente il centro antico e Garbatola ancora no, paghiamo forse meno di loro?
Qualche mese fa scrivevo della necessità di avere una casa della cultura, un centro della memoria, una piccola biblioteca di frazione, un punto insomma dove riconoscere la presenza della cultura locale ma anche un punto di contatto con la realtà attuale, quella dell’amministrazione nervianese. Niente. Nessuna risposta. No cari amministratori, la questione non è una sciocchezza. È una questione serissima, magari iniziata male, magari poco condivisibile nei modi, ma è una questione serissima.
giovedì 12 novembre 2009
Presentare una DIA e DDL che prevede la prescrizione 2 anni dopo rivio
Ci tengo a precisare una cosa. Rileggendo il mio ultimo post e i commenti mi sono accorto come spessissimo tutti noi cittadini, tecnici e no, corriamo il rischio di cadere in una trappola qualunquista o generalista, di dare cioè la colpa di tutto il malfunzionamento italiano, di tutto quel sistema che spesso definisco malato, al primo e spesso unico ente pubblico con il quale interagiamo, quindi al Comune, o al cumun, per dirla da insubre, e quindi ai politici comunali e soprattutto ai funzionari, burocrati o come vogliamo chiamarli, solo perché applicano le regole che altri hanno scritto. È chiaro che non è così facile: tutte le colpe di questo malfunzionamento non possono ricadere infatti su dei funzionari che applicano i regolamenti che hanno davanti a loro. Così come è ovvio che anche loro, i funzionari intendo, potrebbero essere più permissivi su lavori di piccola entità, magari sollecitando i politici comunali a scrivere dei regolamenti comunali più agili – ma questo tentativo per dire il vero è in atto, anche se in modo molto blando –; così come i politici comunali hanno a loro volta delle gravi colpe quando non sollecitano gli altri enti locali, ASL e Regione, a produrre regolamenti più intelligenti; e così come i dirigenti di ASL locali e Regioni sbagliano quando non intervengono nei testi unici e nei decreti nazionali; o infine quando i nostri politici romani, nel senso che risiedono per lavoro a Roma, siano essi lumbard o siciliani, sbagliano quando non applicano le direttive, che invece arrivano e anche puntuali, che l’Europa impone.
Insomma il nostro è un sistema stanco e malato, un sistema seduto che si preoccupa di più di mantenere e consolidare il più possibile le posizioni di potere acquisite nel tempo piuttosto che di rinnovare e amministrare al meglio il paese. È notizia di oggi che il gruppo parlamentare del PDL, ex Forza Italia e Alleanza nazionale – insomma la destra italiana– ha presentato un ddl, sottoscritto dalla Lega al Senato, composto da 3 articoli, che prevede, tra l'altro, la prescrizione dei processi in corso in primo grado per i reati ''inferiori nel massimo ai dieci anni di reclusione'' se sono trascorsi più di due anni a partire dalla richiesta di rinvio a giudizio del pubblico ministero senza che sia stata emessa la sentenza. Il provvedimento entra in vigore il giorno dopo alla pubblicazione in Gazzetta ufficiale.
Ma vi rendete conto? Un povero Cristo deve pagare 516 € – e ripeto non do la colpa al tecnico che applica la legge – per avere iniziato i lavori prima del benestare del comune, lavori che poteva eseguire previo preventivo permesso, non lavori abusivi, quindi, se vogliamo, è come se multassimo l’ignoranza del cittadino, e i parlamentari si autopromuovono una legge che fa cadere in prescrizione tutti i processi in giacenza da più di due anni!!! Assurdo.
Ma cosa aspettano che ci sia la rivoluzione armata? Assurdo, e la cosa più assurda è che quella rivoluzione non ci sarà né a livello locale, perché troppo faticosa e perché la gente fa fatica ad arrivare alla fine del mese, quindi è troppo impegnata in altro – probabilmente come diceva Marx quando non si arriverà più alla fine del mese, come è successo sempre nella storia, allora si inizierà la vera rivoluzione e sarà violenta, come tutte le rivoluzioni che nascono quando il popolo ha fame –, né soprattutto a livello nazionale, per quanto detto poco fa e anche per il controllo sui mezzi di informazione di questa classe dirigente che è pressoché totale – sia essa di destra, e controlla almeno l’80% dei mezzi di comunicazione, o di sinistra, che controlla la restante parte –, come fossimo in una moderna dittatura democratica. E allora tenetevi pronti perché da stasera i mezzi dell’informazione libera e democratica inizieranno a dire a dire: “poveri politici”, “i tempi della giustizia”, “i soliti magistrati comunisti” e come al solito noi, popolo, saremo seduti a bere ciò che ci dicono…
mercoledì 11 novembre 2009
Presentare una DIA a Nerviano: l'arte dei pazzi
Premessa. Un amico mi fa vedere una pratica presentata a Nerviano.
Quando è troppo è troppo.
Qualche giorno fa la trasmissione Report, su Raitre, ha spiegato agli italiani la complessità burocratica che sta dietro alla presentazione di un progetto negli uffici tecnici italiani contro la facilità delle stesse pratiche in Germania. Solo facile speculazione mediatica? No.
Posto infatti che ci sono altri sistemi di controllo diversi negli altri paesi, posto che in Spagna ad esempio è l’ordine a controllare il progetto e il Comune si limita a controllare l’istruttoria e non guarda nemmeno il progetto architettonico, il resto è tutto temendamente vero.
Vi faccio un esempio, come si suol dire, fresco fresco, e come sempre parto da un esempio vicino.
Oggetto. Progetto per una scala di accesso a una cantina di un’abitazione privata in Comune di Nerviano. Lavoro stimato in cantiere circa 2 o 3 giorni, necessari a effettuare un piccolo sbancamento e a realizzare numero 5 gradini in calcestruzzo. Documenti richiesti: Dia debitamente compilata, relazione illustrativa, dichiarazione di proprietà, dichiarazione di non abbattimento di specie arboree protette, documentazione relativa alle opere in cemento armato (sia che siano previste sia no, anche se si tratta di soli 5 gradini), legge sull’abbattimento delle barriere architettoniche, progetto degli impianti e numero 3 tavole (Stato di fatto, sovrapposizione stato di fatto e progetto, e progetto). Peso totale della pratica circa 1kg di aria fritta. La stessa pratica presentata a Parabiago (comune limitrofo) non comporterebbe almeno la metà dei suddetti documenti (sono in commissione paesaggio a Parabiago e lo sperimento mensilmente). La stessa pratica a Milano non comporterebbe quasi nulla e nemmeno andrebbe all’ufficio tecnico comunale, ma solo al distaccamento di zona (non ci sono tecnici, solo verifica conformità amministrativa).
Il Comune di Nerviano dopo circa un mese risponde che vuole le seguenti integrazioni:
1) documentazione prescritta dalla DGR 7/11045 del 05.11.2002 BRL 2° supplemento al n. 47 del 21/11/2002 (per 5 gradini sotto il livello stradale…esame paesistico);
2) la descrizione delle opere è incompleta (vedi realizzazione parapetti). RISPOSTA: ma se c’è scritto ovunque parapetti (stiamo parlando di circa 1 metro quindi grandi 1 cm nella tavola) realizzati ai sensi degli articoli del cap. 3 del manuale tecnico del RLI (eh già perché bisogna parlare come loro);
3) non è stato documentato il rispetto delle prescrizioni di cui all’art. 3.3.32 per quanto riguarda le scale di progetto. RISPOSTA: ci sono misure ovunque, scritte in sovrabbondanza, tanto che la tavola non è più un progetto architettonico ma una documentazione amministrativa piena di scritte, mi chiedo cosa ancora bisogna documentare. Forse chiedono un progetto in scala 1:10 ma non sarebbe piu’ facile dirlo? Dato che nella scala 1:100 la scala è grande circa 1 cm per 2 cm.
4) non è stata indicata la tipologia dei materiali che verranno utilizzati. RISPOSTA: come p.to 3.
In un Comune dove viene condonato un palazzo abusivo di 7 piani figlio di tangentopoli (vedi post di mercoledì 11 giugno 2008 “No all’adozione del P.I.I. in variante al PRG vigente sull’immobile sito in via XX settembre”, e vedi anche post di venerdì 17 aprile 2009 “Della normativa edilizia e del tecnico comunale”), un comune distrutto da una pianificazione, selvaggia e quasi completamente sregolata, un Comune commissariato due volte in meno di 20 anni e sempre, più o meno, per problemi edilizi, ha senso rompere i coglioni (scusate il termine ma come dicono a Roma, quanno ce vo ce vo) a un povero cittadino che vuole costruire 5 gradini esterni in regola?
Sono sempre più convinto che il nostro sia un sistema malato, sclerotizzato, e incapace di dare risposte vere e giuste ai problemi dei cittadini. Un sistema dove non si fanno concorsi e dove non emergono le così dette eccellenze. Un sistema che da un lato garantisce i potenti e li mette in salvo da ogni processo, ma dall'altro incolpa i poveri, se non addirittura li sopprime. Un sistema che genera molta ricchezza ma sempre nelle mani di pochissimi super garantiti e mette contro la povera gente, contro lo stato, contro le banche, contro noi stessi. In un sistema così i politici predicano la semplificazione dei procedimenti burocratici legati alla presentazione delle domande per costruire poi, di fatto, per presentare una scala di 5 gradini, tempo stimato di cantiere 2 o 3 giorni, l’architetto o l’ingegnere, ormai ridotto a tecnico di basso livello, impiega almeno 3 mesi tra compilazione della prima pratica, attesa, integrazioni e di nuovo attesa.
In campagna elettorale tutti i candidati Sindaci del Comune di Nerviano, nel faccia a faccia che si tenne a Garbatola, sostenevano la necessità di cambiare il sistema e di alleggerilo. Le poltrone sono cambiate, anche per il pensionamento dell’imputato (da loro) responsabile del settore, il sistema, per i potenti è cambiato e si è alleggerito, vedi appunto condono del palazzo di sette piani, ma vedi anche inviti a non rallentare pratiche per ampliamento depuratore, fermate solo per incomprensione di un progetto inguardabile che nemmeno passerebbe l'esame del primo anno di progettazione, ma per i tecnici di provincia alle prese con la povera gente che ti paga 3 mesi di lavoro 1000 euro, se va bene, no, per loro non cambia nulla e anzi si complica tutto. Che schifo.
ps. è su queste piccole cose che la gente non capisce la differenza tra la destra e la sinitra, non basta proiettare Goodbye Lenin (e meno male che si fa bisognerebbe farne uno al giorno!!!)
in foto: piccolo tifoso del Feyenoord, Olanda.
domenica 8 novembre 2009
Garbatola part.1 - riunire i clan
È notizia di questi giorni che il piccolo borgo di Garbatola, conosciuto più per la sua Festa Granda – www.garbatola.it –, per il collettivo Oltre il Ponte, per un articolo su un gruppo di ragazzi insoddisfatti apparso su Il Giorno e oggi anche per l’Osservatorio Senso Civico, paese già definito anni fa da un grande parroco – don Giovanni Balconi – villaggio del terzo mondo, tenta di rialzare la testa e lo fa con una proposta shock: staccarsi da Nerviano e ricostituire il Comune di Garbatola.
A questo punto prima una precisazione, poi un po’ di storia, infine – se avrò tempo, altrimenti la prossima volta – un pensiero.
La precisazione è che questa volta un gruppo di carbonari, amichevolmente parlando ovviamente, chiamati Osservatorio Senso Civico è arrivato prima di me sul fatto del delitto e per questa volta io non c’entro e sono anche un poco offeso essendo il più importante storico di questo borgo di 1700 anime – scherzo ovviamente –. Appunto da buoni carbonari hanno agito nella notte e un bel mattino, mentre sto trascorrendo qualche giorno di lavoro-studio-vacanza nelle Apulie mi trovo una e-mail che mi dice testuali parole «Caro Fabio, grazie ai racconti di un “buon personaggio abile nel documentare e difendere la nostra memoria” siamo giunti ad una richiesta che vuole trasformare la fantasia in realtà. Su molte questioni non ci siamo trovati allineati, o forse non ci siamo voluti riconoscere allineati, ma poco importa, vorrei semplicemente dedicarti questa nuova iniziativa dell'Osservatorio SensoCivico». Grazie.
Detto questo vorrei provare a fare un il punto, storico, sulla questione.
A differenza delle altre frazioni del Comune di Nerviano, Villanova, S.Ilario, Costa San Lorenzo e Cantone, Garbatola è sempre stato Comune indipendente. Nei registri dell’estimo del Ducato di Milano del 1558 e nei successivi aggiornamenti del XVII secolo Garbatola risulta che il Comune di Garbatola è compreso nella pieve di Nerviano e dalle risposte ai 45 quesiti della giunta del censimento del 1751 emerge che il comune contava circa 290 anime ed era amministrato dal console, tutore dell’ordine pubblico.
Il Comune di Garbatola aveva una sua sede pubblica, al numero civico 14 del villaggio: non un moderno Municipio, ovviamente, ma una piccola sala, probabilmente in una delle due case da nobile del borgo, dove venivano affissi gli avvisi, che per altro pochi sapevano leggere, e in cui due volte l’anno, in primavera e in autunno, alcuni vecchi del paese, con altri nobili, si ritrovavano per il Consiglio Comunale. Era un Comune piccolo ma funzionava discretamente. Al termine di una vicenda durata qualche anno, fu soppresso e unito al Comune di Nerviano nel 1869 per decreto del neonato Regno d’Italia.
Ovviamente era un Comune povero, anzi poverissimo, e infatti non partecipò nemmeno ai festeggiamenti nazionali per l’Unione del Regno, proclamati il 17 febbraio 1861, per mancanza di fondi, tuttavia credo che fosse anche un Comune orgoglioso, come la sua gente e fu con un atto del Comune di Garbatola che si costruirono le prime scuole pubbliche del paese in cui studiarono anche i nostri nonni.
L’anno 1861 ed al giorno 14 del mese di Novembre in Garbatola e per cura della Giunta Municipale essendosi convocati i Consiglieri comunali a domicilio […]
Fatto riflesso allo stato finanziario passivo in cui verte il Comune che da se solo non è in grado di sottostare alla spesa per l’aprimento di una scuola e desiderando in pari tempo di riformarsi a quanto la legge ha providenzialmente stabilito.
Il Facente Consiglio ad unanimità di voti ha deliberato di invocare l’appoggio dell’articolo 345 della legge 13 Novembre 1859 n. 3728 e l’articolo 134 del Regolamento 1376 anno 1860 non omettendo di far conoscere alla superiorità che il Comune dal canto suo sarà per concorrere in proporzione delle sue facoltà ai sensi dell’articolo 117 della citata legge e andrebbe ben lieto di poter effettuare l’aprimento di una scuola cotanto desiderata e necessaria procacciando così ai poveri fanciulli il più grande dei benefici qual’è l’Istruzione delegando per gli effetti del presente la Giunta Municipale.
Ovviamente non fu quindi costruita solamente con i soldi della comunità ma anche con qualche aiuto dalla capitale del Regno, Torino.
Dipendenti del Comune erano il Segretario e maestro delle elementari Sig. Borganti, un Medico Condotto, una levatrice, un becchino, un messo o Cursore comunale, un sacrestano, un regolatore dell’Orologio e un pedone distrettuale.
La prima lettera in cui il Regno d’Italia chiede di sopprimere il Comune di Garbatola è del 1867. Per tutta risposta nel verbale del Consiglio Comunale del 29 gennaio 1867 si legge:
Il sedente Consiglio all’unanimità di voti persiste a tener ferma la deliberazione presa nella straordinaria adunanza del 19 gennaio p.p. cioè che sia conservata l’autonomia propria, e denominazione del Comune, ciò essendo consigliato dall’interesse stesso del Comune mentre è provato ed il Governo stesso, volendo, se ne convincerà che questo Comune di Garbatola provedendo a che l’amministrazione proceda con tutta regolarità, le spese di questo Comune, (e quindi l’aggravio dai contribuenti) in una serie di più anni furono sempre assai minori di quelle che sopportarono i contribuenti degli altri comuni circonvicini, e principalmente di Nerviano a cui si vorrebbe aggregato questo Comune.
Di accorpamento del Comune di Garbatola a quello di Nerviano non se ne parla, e non se ne parlerà fino al 1869 quando con decreto regio il Comune di Garbatola viene soppresso definitivamente e unito a quello di Nerviano.
Credete che le cose inizino bene? No.
Il Comune e il Prevosto decidono di demolire l’antichissima Prepositurale Chiesa di Santo Stefano, probabilmente dell’epoca del Vescovo Ambrogio, e di costruirne una nuova più grande. I paesani di Garbatola sono subito chiamati a dare il loro contributo.
Quando però nel 1904 tocca ai Garbatolesi costruire la nuova chiesa, che almeno hanno l’accortezza di non demolire la chiesa antica ma la trasformano in stalla, gente spiccia, ovviamente chiedono il contributo del Comune di Nerviano, che non arriverà per molti anni – per la cronaca la chiesa fu costruita lo stesso e con un tempo record di 1 anno –. Si legge in una lettera dei frabbriceri:
I sottoscritti poi pregano questa on. Giunta di richiamarsi che i terrieri di Garbatola, fino al 1866 Comune autonomo, hanno concorso ripartitamente in vari bilanci comunali con circa L. 16.000 sedicimila alla costruzione della nuova Chiesa di Nerviano.
I rappresentanti della fabbrica della nuova Chiesa di Garbatola, i sig.ri Carcano Angelo, Castelli Luigi, Lucchini Luigi, Pravettoni Aurelio e Pessina Luigi, rendono noto al Comune di Nerviano, quindi, che la popolazione del borgo contribuì alla costruzione della Chiesa di Nerviano con una somma molto superiore a quella da loro stessi richiesta ai nervianesi per la costruzione di quella di Garbatola, soldi che come ho detto non arriveranno facilmente.
Fu la prima di tante situazioni spiacevoli in cui il vecchio borgo veniva considerato una piccola appendice, una frazione appunto.
Come previsto mi sono dilungato troppo, come al solito, quindi nei prossimi giorni scriverò il terzo punto, un pensiero su questa nuova e strana iniziativa.
sabato 31 ottobre 2009
Cosa fare? [parte seconda, o terza]
Giobbe era un uomo giusto, la Bibbia dice un uomo integro e retto. Dice anche la Bibbia che era uno potente, probabilmente ricco e carismatico, un capo popolo, un uomo che aveva tanti figli, 7 figli e 3 figlie, che simbolicamente sono numeri che indicano pienezza. A un certo punto il Diavolo si presenta dal Signore e chiede di poter distruggere e tentare Giobbe per vedere le sue reazioni.
Il Signore disse a satana: «Ecco, quanto possiede è in tuo potere, ma non stender la mano su di lui». Satana si allontanò dal Signore.
Ora accadde che un giorno, mentre i suoi figli e le sue figlie stavano mangiando e bevendo in casa del fratello maggiore, un messaggero venne da Giobbe e gli disse: «I buoi stavano arando e le asine pascolando vicino ad essi, quando i Sabei sono piombati su di essi e li hanno predati e hanno passato a fil di spada i guardiani. Sono scampato io solo che ti racconto questo».
Mentr'egli ancora parlava, entrò un altro e disse: «Un fuoco divino è caduto dal cielo: si è attaccato alle pecore e ai guardiani e li ha divorati. Sono scampato io solo che ti racconto questo».
Mentr'egli ancora parlava, entrò un altro e disse: «I Caldei hanno formato tre bande: si sono gettati sopra i cammelli e li hanno presi e hanno passato a fil di spada i guardiani. Sono scampato io solo che ti racconto questo».
Mentr'egli ancora parlava, entrò un altro e disse: «I tuoi figli e le tue figlie stavano mangiando e bevendo in casa del loro fratello maggiore, quand'ecco un vento impetuoso si è scatenato da oltre il deserto: ha investito i quattro lati della casa, che è rovinata sui giovani e sono morti. Sono scampato io solo che ti racconto questo».
Allora Giobbe si alzò e si stracciò le vesti, si rase il capo, cadde a terra, si prostrò e disse:
«Nudo uscii dal seno di mia madre,
e nudo vi ritornerò.
Il Signore ha dato, il Signore ha tolto,
sia benedetto il nome del Signore!».
mercoledì 28 ottobre 2009
Di' una cosa di sinistra...
C’è un paese che fu culla di una grande rivoluzione culturale, che fu patria di Dante, Boccaccio, Machiavelli, Guicciardini, Porta, Leonardo, Raffaello, Canova, e potrei andare avanti all’infinito, un paese che vide nascere il fascismo e per fortuna l’antifascismo, c’è un paese che è governato da una classe dirigente completamente allo sbando.
Ovviamente ci sono molti altri paesi che sono stati culla di culture importanti e che poi, per varie ragioni non lo sono più, o non lo sono con la stessa intensità: pensate agli esempi più facili, all’antico Egitto e alla Grecia, e se sono troppo antichi pensate alla Spagna del XVII secolo o Germania del settecento e dell’ottocento. Oggi l’Italia, è un dato di fatto, è una classe dirigente logora e spesso corrotta, una classe dirigente stanca, dicevo allo sbando, che non sa far fronte ai problemi che gli si parano d’innanzi, che non è al passo con i tempi ma che li insegue, oggi l’Italia è un insieme di regole, regolamenti, di codici, codicilli, cavilli e strumenti creati apposta per imbrigliare, straniare, fermare il progresso. Oggi più del cinquanta per cento dei parlamentari italiani sono avvocati, ex magistrati, esperti di diritto, mentre solo il dieci-quindici per cento dei parlamentari è rappresentato da tecnici, architetti, ingegneri. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: leggi di difficile interpretazione, o peggio leggi che loro stessi, e solo loro, avvocati, giuristi, ecc, riescono a interpretare, rivoltare, destrutturare, denaturare, rivoltare.
In una situazione del genere, dove regna il caos, regnano anche soldi – moltissimi e nelle mani di pochi –, delinquenza, droga e prostituzione. In una situazione del genere la separazione, il divario, tra la classe dirigente e la popolazione è sempre più grande.
Sembra di raccontare una barzelletta quando all’estero si spiega cosa sta succedendo ma il dramma è che è tutto appunto drammaticamente reale. L’Italia è oggi un paese il cui presidente del consiglio dei ministri organizza, o faceva organizzare, festini con giovani prostitute o giovanissime ragazze disposte a tutto perché in cerca di facili successi. Questo primo ministro, ormai settuagenario, si permette sempre di scherzare con le giovani colleghe, ma anche con le meno giovani; questo primo ministro è stato lasciato dalla moglie; questo primo ministro non si è dimesso e non si dimette nemmeno quando è travolto da scandali amministrativi, giudiziari, e ora anche sentimental-moralistici. Questo primo ministro rappresenta la destra italiana, quella che va con le giovani donne, spesso bellissime. Dall’altra parte ci sono il portavoce del vecchio presidente del Consiglio che viene fotografato a Bologna mentre cliente di alcuni transessuali da strada. Uno a uno? No.
Qualche giorno fa si scopre che il presidente del governo della Regione Lazio, oggi in Italia si dice il governatore del Lazio, certamente non una delle regioni economicamente e finanziariamente più importanti, tuttavia una delle regioni più prestigiose, la Regione della Capitale Roma, uno dei pochi governatori in quota alla sinistra, è un frequentatore di transessuali, per i quali, pare, si possa pagare fino a 5000 euro a sera – quello che cioè una persona normale guadagna in cinque mesi di lavoro –. La moglie, lo sappiamo tutti, non solo non lo lascia, per ora, o non gli fa, per ora, due occhi neri, ma anzi gli sta vicino nella buona e nella cattiva sorte – gran donna… che ridicolizza ancor di più suo marito –. Risultato? Beh, che che se ne dica, o che che ne dica l’ex onorevole Luxuria – transgender in quota alla sinistra –, la destra corrotta e cocainomane va con le giovani donne – e anche con i trans ma non si fa scoprire –, la sinistra corrotta e cocainomane va con i trans brasiliani – e anche con le giovani donne ma non si fa scoprire –. Due a uno. Ovviamente questi sono i discorsi da bar, è vero, ma sono i discorsi che la gente, gli elettori, fanno e faranno tra qualche mese.
Allora perché la sinistra scoperta si dimette e va a elezioni e la destra scoperta non lo fa e anzi alza la voce contro. Perché? Perché continuiamo a giocare con due pesi e due misure? No, non è giusto. Bersani, di' una cosa di sinistra! Di' una cosa anche non di sinistra, di civiltà! Bersani di' una cosa …
venerdì 23 ottobre 2009
Buon capodanno
Mentre a Roma regnava Tarquinio Prisco, il supremo potere dei Celti era nelle mani dei Biturgi, questi misero a capo di tutti i Celti un re. Tale fu Ambigato, uomo assai potente per valore e per ricchezza, sia propria sia pubblica, perché sotto il suo governo la Gallia fu così ricca di prodotti e di uomini da sembrare che la numerosa popolazione si potesse a stento dominare. Costui, già in età avanzata, desiderando liberare il suo regno dal peso di tanta moltitudine, lasciò intendere che era disposto a mandare i nipoti Belloveso e Segoveso, figli di sua sorella, giovani animosi, in quelle sedi che gli dei avessero indicato con gli àuguri. A Segoveso fu quindi destinata dalla sorte la Selva Ercinia, a Belloveso gli dei indicarono una via ben più allettante, quella verso l’Italia. Quest’ultimo portò con sé il sovrappiù di quei popoli, Biturgi, Edui, Ambani, Carnuti, Aulerci. Partito con grandi forze di fanteria e cavalleria, giunse nel territorio dei Tricastini. Di là si ergeva l’ostacolo delle Alpi; e non mi meraviglio certo che esse siano apparse insuperabili, perché nessuno le aveva ancora valicate […]poi, attraverso i monti Taurini e la valle del Dora, varcarono le Alpi; sconfitti in battaglia i Tusci non lungi dal Ticino, avendo sentito dire che quello in cui si erano fermati si chiamava territorio degli Insubri, lo stesso nome di un pagus degli Edui, accogliendo l’augurio del luogo, vi fondarono una città che chiamarono Mediolanum…
Secondo Livio, quindi, Milano fu fondata, quindi, nel VI secolo a.C., in quanto Tarquinio Prisco regnò tra il 616 e il 579 a.C. In realtà oggi alla luce dei recenti scavi archeologici sappiamo che la città celtica di Milano fu costruita su una preesistente città, o villaggio, di epoca Golasecchiana. Tuttavia anche se non si trattò di una vera e propria fondazione di una nuova città è probabile che alla ridefinizione formale della nuova città corrispose l’individuazione di un centro sacro, come era in uso nelle popolazioni celtiche, e di uno spazio sacro centrato su di esso.
Alla luce degli ultimi ritrovamenti sembra essere confermato un modello di città sviluppatasi attorno ad una zona che aveva funzioni molteplici: religiose, giudiziarie, amministrative e commerciali. Considerazioni relative all’altimetria e all’assetto viario suggeriscono che l’ubicazione del nemeton sia da collocarsi nella zona dove ora sorge piazza della Scala. La fondazione della città, o sarebbe meglio dire l’inaugurazione del nuovo recinto sacro, verosimilmente dovrebbe essere avvenuta nella data più propizia: l’inizio dell’anno secondo il calendario celtico, la festa di Samain la TRINVXTION SAMONI SINDVOS.
La festa di TRINVXTION SAMONI SINDVOS era la più importante presso le popolazioni di cultura celtica. La notte della levata della stella Antares[1] separava l’anno vecchio dall’anno nuovo, è il capodanno celtico. La festa, inoltre, doveva soddisfare alcuni vincoli lunari essendo celebrata nel sedicesimo, diciassettesimo e diciottesimo giorno del mese di Samonios, come stabilisce il Calendario di Coligny, e quindi due, tre e quattro giorni dopo l’ultimo quarto di luna, un periodo favorevole per iniziare qualsiasi attività.
Oggi 23 ottobre 2009 è festa, è il capodanno insubre. Buon capodanno …[2]
[1] Antares (detta anche Alpha Scorpii o Calbalacrab) è una supergigante rossa situata nellacostellazione dello Scorpione. È anche nota come cuore dello Scorpione, data la sua posizione nella costellazione e il suo colore. Il suo colore distintivo ne ha fatto un oggetto di grande interesse per molti popoli nella storia. È una stella di dimensioni enormi e il suo diametro è circa 500 volte più grande di quello del nostro Sole.
[2] Da oggi a domenica presso il castello Sforzesco di Milano si festeggia il capodanno Celtico, tra musica, stand gastronomici e rievocazioni storiche.
venerdì 9 ottobre 2009
Obama vince il Nobel per la Pace
Ma come mai non l'hanno dato a Berlusconi?
lunedì 5 ottobre 2009
Lodo Mondadori: Berlusconi corresponsabile
''corresponsabile della vicenda corruttiva'' alla base della
sentenza con cui la Mondadori fu assegnata a Fininvest. Lo
scrive il giudice Raimondo Mesiano nelle 140 pagine di
motivazioni con cui condanna la holding della famiglia
Berlusconi al pagamento di 750 milioni di euro a favore della
Cir di Carlo De Benedetti. ''E' da ritenere - scrive il giudice
-, 'incidenter tantum' e ai soli fini civilistici del presente
giudizio, che Silvio Berlusconi sia corresponsabile della
vicenda corruttiva per cui si procede''. (ANSA).
giovedì 3 settembre 2009
Funerali Prof. Guido Canella
Chiesa di Santa Maria della Passione a Milano.
mercoledì 2 settembre 2009
E' morto il prof. Guido Canella
MILANO - E' morto questa notte a Milano all'eta' di 78 anni Guido Canella. Presidente uscente dell'Accademia di San Luca, nato a Bucarest il 19 gennaio 1931, si e' laureato alla Facolta' di architettura del Politecnico di Milano, dove e' stato ordinario di Composizione architettonica. A varie riprese ha insegnato anche all'Istituto Universitario di Architettura di Venezia. (RCD)
venerdì 28 agosto 2009
Gara di Mountain Bike - Festa Garbatola
MTB IN I BUSCH DE LA GARBATOLA
DOMENICA 30 AGOSTO
RITROVO: ORE 16.00 - Oratorio di Garbatola (Frazione di Nerviano)
ISCRIZIONI: si ricevono fino a 15’ prima della partenza
PARTENZA: ORE 17.30 in via Gorizia, ingresso Oratorio
PERCORSO: 1 GIRO DA 5 KM PER I BAMBINI 4 GIRI PER GLI ADULTI
Alla 5^ edizione , è un evento abbinato alla Festa Granda di Garbatola 29.08 -08.09.2008
iscrizione 3 euro con piccolo riconoscimento, 5 euro con maglietta
POSSIBILITA’ DI FARE LA DOCCIA
A fine gara accurato servizio gastronomico con sala ristorante, con specialità della tradizione lombarda, e ballo liscio.
per info: http://www.garbatola.it - info@garbatola.it - tel. 340.8918499 (fabio)
ps. nei prossimi giorni sul blog trovere giorno per giorno gli appuntamenti con la Festa Granda di Garbatola
martedì 25 agosto 2009
La donna mediterranea
Premetto che non voglio passare per razzista leghista o simili stereotipi italiani; chi mi conosce sa che amo la multiculturalità, amo le città aperte, ma salde nella propria memoria, come Barcelona, Berlino, ecc.
Ma iniziamo dalla percezione che si ha all’estero dell’Italia. Un paese bello, strano, ricco, e soprattutto amministrato da gente incapace e ricca di contraddizioni. Un paese dove la Chiesa ha ancora un grande potere, interviene con forza in molte decisioni politiche, ma non interviene direttamente in casi come quello scoppiato quest’estate sulle feste sarde del presidente del consiglio. Un paese spesso descritto in modo ironico proprio usando le frasi ridicole dei suoi leader: «la guerra a las fuerzas del mal [...]. Para ello se comprometiò a movilizar al “Ejército del Bien”» [1]. Un paese assediato da conflitti interni che lo uccidono, la mafia, la camorra, ecc.
Poi ovviamente ci sono i luoghi comuni, la pasta, la musica popolare – ovviamente non i Subsonica ma Toto Cutugno e l’italiano vero –, ecc.
In questi giorni mi è capitato di vedere un bel servizio della televisione spagnola sulle donne e il mediterraneo, sulle donne del mediterraneo.
Il servizio poneva l’accento sulle contiguità e le somiglianze tra le culture mediterranee e in particolare sulla somiglianza, non fisica ma anche culturale, delle donne marocchine, tunisine, spagnole e italiane. La donna italiana intervistata, una cantante siciliana, descriveva la condizione della donna meridionale, spesso chiusa in una realtà dorata, descriveva la condizione delle donne di mafia. Le donne mediterranee, diceva il servizio, si somigliano molto.
Non voglio passare come al solito per quello che vuole sempre dire il contrario, anzi dico che ho condiviso molto il servizio, tuttavia alcune cose mi sarebbe piaciuto puntualizzarle.
La relazione tra donne e potere, tra donne e famiglia, non è così facilmente classificabile in uno stato che presenta al suo interno, pur essendo molto piccolo, così tante differenze e contraddizioni; o meglio è assolutamente vero che in Italia si sono verificate nei secoli condizioni storiche talmente complesse da generare poi condizioni sociali molto diverse tra le varie regioni-stato di cui era composta la penisola italica, non solo tra nord e sud, ma anche tra stato e stato.
Se Palermo, Napoli, Roma, anche Genova, sono certamente mediterranee, possiamo dire lo stesso di Venezia o Trieste? Sono città mediterranee o adriatiche? C’è una differenza tra l’Adriatico veneziano e l’Adriatico pugliese?[2]. E le città della pianura Padana, aperte verso l’adriatico, lontanissimo, e circondate da montagne, possono essere considerate città mediterranee?
(continua)
[2] Non dimentichiamo che ci fu un Doge nel XVI secolo che voleva trasferire la capitale all’inizio del “golfo adriatico”. Trasferire Venezia a Istanbul, cioè trasferire le strutture politiche e amministrative veneziane, voleva dire ridurre l’isolamento veneziano, che iniziava a compromettere la potenza della Serenissima Repubblica, ma voleva anche dire esporla a troppi pericoli e non venne mai spostata.
lunedì 24 agosto 2009
Notizia Ansa - Università: Politecnio conferma corso ma professori senza paga
l'universita' lo riconferma ma ai docenti a contratto che da due
anni lo coordinano viene chiesto di far lezione gratis. Accade
al Politecnico di Milano, facolta' di Architettura civile, e a
denunciare il caso sono i due professori-architetti invitati a
insegnare ''per la gloria''. Lo fanno in una lettera indirizzata
al Capo dello Stato e al ministro dell'Istruzione.''L'anno
scorso il corso e' stato retribuito, quest'anno per il medesimo
corso, come da normativa vigente, e' stato emesso un bando
pubblico che non prevedeva una remunerazione'', replica il
rettore del Politecnico Giulio Ballio
lunedì 10 agosto 2009
Milano e il Ducale, il Ducale e Milano (part. 2)
È chiaro a tutti che quella sulle bandiere regionali, come quella delle ronde, come quella delle lingue e altre trovate del genere, in quest’italietta estiva sono appunto trovate che partono da temi serissimi ma che poi vengono utilizzate purtroppo come boutade agostane per distrarre gli italiani da altre questioni che normalmente avrebbero portato alla fine politica di un uomo – possibile che il presidente del consiglio l’abbia passata liscia anche questa volta? Non venite a raccontarmi della separazione tra la vita privata e quella pubblica –. È altresì vero che questa nostra triste classe politica spesso ha anche trasformato in disegni di legge, e peggio in legge, questi mal di pancia estivi di alcuni nostri leader; quindi forse ha un suo senso occuparsi di temi così strani, importanti ma secondari, anche prima che inizi il vero e proprio iter legislativo.
Innanzitutto la questione dei confini territoriali delle Regioni. Perché le Regioni italiane abbiano gli attuali confini rimane un mistero: alcune sono il frutto dell’accorpamento di zone un tempo divise, come la Lombardia, le Marche, l’Abruzzo, l’Emilia Romagna, altre invece facevano parte di stati più grandi, come il Friuli e il Veneto, la Valle d’Aosta e il Piemonte, l’Umbria, il Lazio e parte delle Marche, la Campania, la Puglia, ecc.
Prendo a esempio il caso che conosco meglio: la Lombardia.
A dire Lombardia si fa presto ma, «quand’anche non si voglia assumere il termine in tutta la sua estensione medioevale, ci sarebbe da fare posto a Bergamo, a Cremona, a Mantova ecc., nomi dietro i quali ciascuno vede subito profilarsi situazioni e vicende da studiare, almeno sino a un certo discrimine, come proprie di ambienti dotati di caratteristiche distinte» [1], quando si dice Lombardia – non me ne vogliano gli amici bergamaschi, bresciani, comaschi, ecc., «si dice Milano: l’estensione geografica della Lombardia, infatti, dopo il trattato di Utrecht [2] è assai inferiore ai confini dell’attuale regione amministrativa» [3], a oriente, verso la Repubblica di San Marco, la Lombardia si arrestava alle sponde dell’Adda, mentre a settentrione il Canton Ticino, da sempre territorio milanese, entra a far parte della confederazione elvetica solo nel XVI secolo.
Vi è poi la questione dei confini culturali. La Lombardia, potremmo dire il milanese, è sempre stata terra di confine, terra bifronte «una parte verso la Toscana, l’altra verso la Francia» [4]: l’economia e gli scambi commerciali con il mondo d’oltralpe, con l’Impero, la Francia e la Germania, e l’umanesimo verso la Toscana – almeno da Petrarca in poi –. Ovviamente questo aspetto è presente anche nei territori della bergamasca e del bresciano, ma in forma molto minore e diversa, questi infatti sono, almeno dal XVI secolo, più attratti da Venezia: in letteratura il bergamasco Arlecchino va a lavorare nella capitale Venezia, non a Milano; la Loggia di Brescia e altre architetture bresciane, penso a Sirmione, Desenzano, Salò, ecc, come quelle di Zara e Spalato, richiamano direttamente Venezia e i caratteri formali delle città venete, non certamente quelle milanesi.
Perché quindi ostinarsi a chiamare Lombardia un territorio così variegato? Perché soprattutto dovremmo innamorarci di una bandiera – la rosa camuna bianca su fondo verde, simbolo che tutto sommato è anche tra i migliori rispetto quelli delle altre regioni – che non sentiamo nostra ne culturalmente ne storicamente se non per averla sul tesserino sanitario o per vederla sulle macchine della polizia locale? Qualcuno risponderà sommariamente che in Baviera, in Catalogna, ecc., le bandiere regionali sono parificate, o quasi, a quella nazionale; già ma quelle bandiere non sono state inventate di corsa vent’anni fa, sono radicate nella storia come il Ducale milanese, o il Leone di San Marco, o il giglio borbonico, non certo come il picchio delle Marche, la rosa della Lombardia, o il non so cosa della Campania.
Perché cari politici italiani, di destra e di sinistra, di finta destra e di finta sinistra, non la smettete quindi di affrontare temi così importanti e difficili, temi che non siete in grado di affrontare, e non iniziate a prendere più sul serio invece altri temi, altrettanto importanti, drammaticamente importanti, come un presidente che va a troie e un mare di troie che pur di arrivare al successo o a una presunta felicità dimenticano lo studio, la fatica, la vita vera e cercano di farsi un presidente?
Buone vacanze.
[1] DANTE ISELLA, La cultura letteraria lombarda, in idem, I lombardi in rivolta. Da Carlo Maria Maggi, a Carlo Emilio Gadda, Einaudi, Torino, 1984, p. 4.
[2] Il Trattato di Utrecht comprende una serie di trattati di pace firmati a Utrecht nel marzo e aprile del 1713, per cercare di porre fine alla guerra di successione spagnola, cioè la guerra che si scatenò tra le potenze del Sacro Romano Impero, la Francia e l’Inghilterra morto Carlo II re di Spagna per contendersi la corona.
Dopo il trattato i francesi continuarono la guerra contro l'imperatore Carlo VI e il Sacro Romano Impero fino al 1714 con i Trattati di Rastatt e di Baden, mentre il Sacro Romano Impero e la Spagna, ora divenuta borbonica, rimasero in guerra fino al 1720.
[2] DANTE ISELLA, La cultura letteraria lombarda.., p. 4.
[3] Ibid., p. 5.
giovedì 6 agosto 2009
Milano e il Ducale, il Ducale e Milano
In un estate che ormai scivola via tra un presidente che va a troie e troie che vanno in cerca del loro presidente, ecco che un gruppo di varesotti che si spaccia portavoce di un popolo, quelli che a Roma chiamano i Lumbard, che di Lumbard o che di heimat lumbard ormai hanno ben poco, ti tirano fuori l’annosa, direi ormai secolare, questione della bandiera italiana e delle bandiere nazionali.
Premesso che non amo particolarmente la nostra bandiera nazionale, devo riconoscere che se letta in amicale contrapposizione con il tricolore transalpino, se letta cioè con un occhio di riguardo a quel gemellaggio franco italiano ora dimenticato, o per sempre cancellato, a causa di un campo verde segnato di bianco, lungo circa 100 metri, e di ventidue uomini che giocano al forbal, allora quel simbolo trova di colpo una grande forza. Il Tricolore italiano è oggi infatti simbolo di libertà e ha alle sue spalle una lunga storia fatta di lotte, di grandi uomini e purtroppo di grandi assassini che hanno ucciso migliaia, milioni, di giovani mandati allo sbaraglio nelle guerre più assurde.
Il 15 maggio 1796 «il generale Bonaparte entrò in Milano, a capo di quella giovane armata che aveva varcato allora il ponte di Lodi e appreso al mondo che dopo tanti secoli Cesare e Alessandro avevano un successore. I prodigi di ardimento e di genio a cui l’Italia assistette nel giro di qualche mese ridestarono un popolo addormentato», così inizia la Certosa di Parma di Stendhal [1]. «Ma per chi, quel mattino del maggio 1796, si trovò sul corso di Porta Romana a veder entrare in città quell’accozzaglia di briganti condotta alla vittoria da un pallido generale ventisettenne, quell’ingresso non rimase uno dei soliti spettacoli a cui la folla era chiamata, di tanto in tanto, a fungere da contorno, pronta a scomparire subito dopo, nella laboriosa ubbedienza, come tutti gli altri elementi di una coreografia posticcia: fu la ventata dell’eccezione, l’improvviso balenare di un’avventura da vivere come un altro destino» [2]. Quello fu l’inizio del tricolore, del tricolore e della sua storia di rivoluzione. La rivoluzione borghese dei giovani parigini entrati a Milano, le assurde lotte indipendentistiche, savoiarde, le vite di milioni di giovani mandati al macello nelle guerre mondiali, la Resistenza, tutte storie di lotta, di passione e di rivoluzione, tutte storie accumunate da quel vecchio tricolore franco-italico. Solo se letto in questa chiave il tricolore adottato dalla Repubblica Cisalpina, quando l’Italia ancora non esisteva e la Lombardia di oggi neppure, ha un grandissimo valore, rivoluzionario e progressista.
Premesso questo, è di questi giorni la notizia che i moderni Lumbard seguaci del Bossi vogliono equiparare, mi pare di avere capito così, il tricolore alle moderne bandiere regionali. «Ma davvero i cuori degli italiani vibrano così tanto al garrire dei vessilli regionali da giustificare la loro promozione nella Carta?» [3]. Tranne la bandiera del Veneto, copia mal riuscita del nobile simbolo della Serenissima Repubblica di Venezia, o tranne quella di stampo savoiardo del Piemonte, o ancora quella della Sardegna, che cosa proviamo di fronte a quelle bandiere? Cosa prova un marchigiano di fronte quella M e quel picchio stilizzati, frettolosamente adottati nel 1995, o cosa prova un laziale di fronte quell’intricato groviglio di simboli, o ancora un emiliano e un romagnolo – che già sono stati forzatamente messi insieme dalla legge moderna – cosa provano di fronte quella brutta bandiera? E infine cosa prova un milanese di fronte alla rosa camuna?
Certamente quello del regionalismo, o delle lingue preunitarie, nazionali, o dell’unità dello stato italiano, sono temi difficili che non si possono banalizzare o semplificare, o peggio ridicolizzare, come sempre si è tentato di fare. Tomasi di Lampedusa, Isella, Trilussa, sono oggi dimenticati e le lingue nazionali sono state banalizzate e declassate dal fascismo alla stregua di dialetti. Ma torniamo alla bandiera. Prendiamo ad esempio la moderna Lombardia. Essa è il risultato almeno dell’unione di uno stato, quello Milanese, e di una parte di stato, quello veneziano. Il confine è da sempre, o quasi sempre, l’Adda. Milano ha da secoli due bandiere. Una di lotta e una di rappresentanza: quella di lotta, la croce di San Giorgio, condivisa con altre città cattoliche, penso a Barcellona, Genova, ecc, è oggi divenuta il simbolo di una squadra di calcio, la F.C. Internazionale; quella di rappresentanza, il Ducale con il suo biscione azzurro e l’aquila imperiale su fondo giallo – a ricordare il legame non con Roma e il papa ma con il Sacro e Romano Imperatore germanico – vengono venduti tra una salamella e un fazzoletto verde alle feste padane della Lega Nord, ma sarebbe meglio chiamarle feste prealpine, perché della cultura fluviale padana hanno ben poco.
Perché in questo stato senza memoria troppo preso da altre vicende, spesso a sfondo erotico, il Ducale, l’antica, unica e ultima bandiera dello Stato di Milano è declassato a oggetto di culto per giovani militanti e la rosa camuna, che credo sia una stilizzazione di un’incisione rupestre della Val Camonica (Brescia), di recente già territorio della Repubblica Serenissima, è invece innalzata a simbolo regionale, ora anche nazionale?
(continua)
[1] Stendhal (pseudonimo di Henri-Marie Beyle) fu scrittore francese nato a Grenoble, il 23 gennaio 1783 e morto a Parigi, 23 marzo 1842. Tra le sue opere è certamente da ricordare Roma, Napoli e Firenze, (titolo originario Rome, Naples et Florence), un diario di viaggio scritto durante il periodo di congedo che ebbe in Italia alla caduta dell'imperatore (era ufficiale di cavalleria prussiano a Berlino). Stendhal soggiornò a Milano per sette anni e la descrisse in quel libro in modo sapiente, al pari, forse meglio, di Manzoni.
[2] DANTE ISELLA, Milano Capitale nelle vedute di G. Gallinari, in idem, I lombardi in rivolta. Da Carlo Maria Maggi, a Carlo Emilio Gadda, Einaudi, Torino, 1984, p. 107.
[3] ALESSANDRO LONGO, Tra Petaso e rosa camusa quell’Italia dei campanili a caccia di simboli e jingle, in La Repubblica, 6 agosto 2009, p. 3.
martedì 4 agosto 2009
Globale e Locale
È una malattia l’attaccamento alla propria terra?
In un’intervista pubblicata sul libro No Global, Franco Gesualdi, credo a ragione, sosteneva che la scoperta recente, dopo il crollo del sistema dei blocchi contrapposti, di potere produrre a basso prezzo in altre zone del mondo, prima l’est, poi il sud del mondo, in realtà dove «non ci sono vincoli legislativi a tutela dei lavoratori, come avviene nei Paesi occidentali, e senza realtà sindacali forti»[1] ha portato negli ultimi anni a un impressionante accelerazione del fenomeno della globalizzazione. Se a questo ci si aggiunge l’odierna incredibile facilità con cui ci spostiamo, impensabile fino a qualche anno fa, o l’impressionante progresso delle metodologie di comunicazione, si comprende benissimo come sia cambiato negli ultimi vent’anni il nostro pianeta. Un cambiamento radicale. Un cambiamento che però spesso sconcerta, destabilizza e sradica. Un cambiamento che ha avuto, e che sta avendo, le sue gravi conseguenze non solo economiche ma anche sociali. Una nuova realtà che spesso ci lascia come spaesati abitanti di comunità che non hanno quasi più un’anima.
Si dorme in paesi che quasi non si conoscono. Si esce di casa presto, si lavora in grandi metropoli, in cui ci si ferma sino all’ora dell’aperitivo, per poi far ritorno alle nostre case, sempre più individuali, cioè sempre meno multifamiliari e collettive, noi sempre più individualisti.
Io, e come me molti altri giovani, non ci sto e anzi credo che il compito di questa nostra strana generazione – quella late modern generation di cui ho scritto qualche tempo fa – non sarà quello di ricostruire la nazione, o quel che ne resta, dal punto di vista politico ed economico, quello spetterà ad un’altra generazione, la prossima, ma quello di ricostruire una cultura nuova, una cultura che parta non dalla globalizzazione ma dalla comunità locale. Ovviamente non lo dico con ottuso spirito di chiusura e proprio contro questo spirito, anticipando una possibile tragedia – lo spirito leghista è già abbastanza tragico, ma vedo che purtroppo ci sono gravi margini di peggioramento –, credo che dovremmo ripartire dalla comunità locale, capirla e sentirci radicati in essa, per poi confrontarci con i vicini, senza paure, senza veli, senza pregiudizi, per integrarci e per progettare un mondo nuovo.
Se quella precedente è stata la generazione che ha cancellato, trasformandole in favole per turisti – laddove si è deciso che alcune comunità meritavano di essere classificate come turistiche –, le tradizioni, le lingue locali, gli usi e i costumi, in favore di un globalismo spesso vuoto e senz’anima, un gigante dai piedi d’argilla, la nostra deve essere la generazione della memoria.
Occuparsi di una vecchia chiesina scomparsa, o cercare di rivitalizzare un paese dormitorio, o ancora provare a giocare con le proprie tradizioni e la propria cultura rilanciandola anche attraverso feste, cene e concerti, credo sia un atto dovuto.
Ci sono serate, come quella di oggi, in cui il temporale verso il tramonto, correndo stanco dal Piemonte alla Bergamasca, ha appena lasciato l’alto milanese. L’odore dell’acqua è ancora forte, i campi sono verdi e una leggera brezza soffia da nord ovest. In queste sere succede che il sole torna a far capolino dopo qualche ora e lo fa scendendo veloce dietro il Monte Rosa e verso la Francia. Gh’è ‘l su che’l guarda indrè – c’è il sole che guarda indietro, che ti saluta – diceva mia nonna. Il temporale è appena passato, si intravede il sereno, ma le nuvole ancora incombono grigie e pesanti, come solo in Scozia o in pianura Padana, sulle nostre teste. È un momento straordinario, fatto di sogno e di realtà. È un momento di speranza. È una di quelle sere in cui capisco che dopo anni di distruzione di un territorio è giunta l’ora di prendersene cura. Sono sere in cui si capisce che dopo anni in cui si sono accantonati lingua, cultura, tradizioni, è tempo di riprenderle, non in senso nostalgico, di un passato migliore ormai perso, ma in senso, realista, progressista e innovatore. Sono sere in cui si capisce che l’attaccamento a queste terre è una malattia.
[1] AA.VV., No Global. Gli inganni della globalizzazione sulla povertà, sull’ambiente e sul debito, a cura di D.Demichelis, A. Ferrai, M. Masto, L. Scalettari, Zelig Editore, Milano, 2001, p. 65.
venerdì 31 luglio 2009
Conferenza stampa Festa Granda 2009
e la Parrocchia S.Francesco di Garbatola
comunicano che
mercoledì 5 agosto 2009
alle ore 19.00 a Nerviano
presso il “Ristorante la Guardia”
S.S. 33 Sempione angolo via XX Settembre
(al termine apertivo)
si terrà
la conferenza stampa
di presentazione
dell’edizione 2009 della
Festa Granda di Garbatola
con
Dott.sa Paola Rimoldi
direttrice artistica
Dott.sa Stefania Gemme
responsabile personale
Arch. Fabio Pravettoni
coordinatore
e con la partecipazione di
Enrico Cozzi
Sindaco del Comune di Nerviano
Alfredo Franceschini
Assessore alla Cultura del Comune di Nerviano
mercoledì 22 luglio 2009
Il carattere dei lombardi e le loro moderne pagode
Arrivando in Nerviano da Milano o da Legnano, insomma dall'antica strada del Sempione, si incontrano una serie di capannoni con molta gente tutt’attorno e un via vai frenetico di camion e automobili, poi alcune brutte villette, poi altre meno brutte, poi di colpo la strada si fa stretta e la città diversa.
Passeggiando per le vie di Nerviano una delle cose più evidenti è la differenza di carattere tra la parte centrale, costruita secondo regole e sistemi storici consolidati, e lo sviluppo degli ultimi anni. Ma che differenza c'è tra la città fatta di cascine, chiusa e severa, dai muri dritti e senza fronzoli, e quella post moderna delle casette, sparpagliate un po' a caso sul territorio, fatte di tetti e sottotetti, balconi e tettucci, persiane in legno e muri gialli, Biancaneve e sette nani? È la differenza tra una corte lombarda e una pagoda; è la differenza che passa tra il carattere profondo e antico del luogo e quel pro fondo senso di sradicamento e di perdita della memoria che si avverte in questi ultimi decenni, una sorta di spaesamento che è anche spesso sfociato in radicalismi ottusi e folcloristici.
Il carattere dei lombardi è chiuso, severo, austero, dritto, come i nostri padri o i nostri nonni, e insieme intimo, accogliente, se volete caldo, ma di un calore tutto particolare, tutto lombardo appunto. È il carattere dei milanesi, troppo diverso dal carattere mediterraneo, così estroverso e brillante, ma al tempo stesso tanto simile nella sua segreta riservatezza interiore. Qual è invece il carattere di queste nostre moderne villette gialle? Cos'è rimasto di quell'antico carattere milanese nelle centinaia di villette che sembrano pagode dai mille tettucci, che da qualche anno affollano Garbatola, Sant'Ilario, Cantone e Nerviano?
Volevo salutarvi prima delle vacanze. Mi scuso per la lontananza e l'assenza è stato, e in parte lo è ancora, un periodo molto difficile, intenso e complesso. Spero di tornare presto a scrivere a raccontare storie a commentarle, insomma a costruire qualcosa con tutti voi. Buone vacanze.
venerdì 26 giugno 2009
S-banda'
Questa sera, tempo permettendo, inizia S-banda', concorso giovani rock band del profondo nord ovest milanese. In tre serate si esibiranno 10 gruppi di giovani e giovanissimi.
VEN. 26 GIUGNO - SAB. 27 GIUGNO - SAB. 4 LUGLIO
a GARBATOLA di Nerviano, via Gorizia 3
apertura servizio gastronomico dalle ore 19.00, inizio concerti ore 20.00.
Come raggiungerci:
- da Milano con la SS.33 del Sempione. Al km 20 circa, dopo Rho e prima di Nerviano, all'altezza del Ristorante La Guardia, girare a destra e proseguire per 1 km;
- da Milano, Varese, Como, autostrada uscita Lainate, proseguire su sp. 109 direzione Nerviano. Alla SS.33 sinistra direzione Milano quindi all'altezza del Ristorante La Guardia, girare a sinistra e proseguire per 1 km.
Ricordiamo che è attivo il sito www.garbatola.it
venerdì 12 giugno 2009
La Cascina Garbatola: appunti di storia di un antico borgo
Il rapporto tra monumenti, rovine e vita quotidiana è una questione che sembra improponibile oggi, anche se l’incuria e il degrado del nostro patrimonio sono sotto gli occhi di tutti, e quando si tenta di ripensare la città, sembra che sia un problema di secondo piano rispetto i grandi temi della mobilità metropolitana, o dell’infrastrutturizzazione del territorio. In realtà in paesi come i nostri, paesi e borghi antichi strutturati su vie ancora più antiche credo che il rapporto tra antico e moderno, tra storia ed esigenze contemporanee, non sia solo un problema per storici o nostalgici, ma sia un problema di tutti – si pensi per esempio il rapporto tra vie, corti, piccole piazze e la notevole quantità di auto che ogni giorno assediano l’area metropolitana milanese –. Nerviano, con le sue frazioni, è certamente un borgo molto antico, basta pensare che queste terre, data l’abbondanza di acqua e la fertilità del terreno, erano già abitate in epoca pre-romana.
Notizie certe si hanno a partire dalla fine del sec. IV, quando con il verificarsi di nuove condizioni politico sociali e il riconoscimento del cristianesimo vennero a costituirsi i centri plebani, centri cioè dove dei presbiteri delegati dal vescovo amministravano il battesimo e celebravano le S.Messe. Divennero capi di Pieve quei borghi che erano già stati in epoca celtica – insubre – o protoromana distretti amministrativi, o militari, di notevole importanza sociale, o bellica. Secondo il disegno del vescovo Ambrogio le pievi milanesi si collocarono tutt’attorno alla città a una distanza quasi costante lungo tre anelli concentrici: a circa cinque miglia romane dal centro della città si trovano le pievi di Bruzzano, Cesano, Mezzate, San Donato, Segrate, Trenno; a dieci-dodici quelle di Desio, Gorgonzola, Settale, Decimo, Rosate, Casorate, Corbetta, Nerviano; a venti Galliano, Missaglia, Pontirolo, Dairago, Olgiate Olona.
Nerviano, per la sua posizione, tra il Sempione e l’Olona, per la presenza di un mercato romano divenne da subito uno tra i centri più importanti, e fu per molti secoli, fino ai giorni nostri, Capo di Pieve.
La prima volta tuttavia in cui compare il nome di Nerviano è una bolla papale, di papa Alessandro III, del 1169, in questa, come nella seconda del 1171, il papa convalida la sentenza dell’arcivescovo Galdino e conferma i diritti della chiesa di Nerviano, lo ius decimationeis, sui terreni dei villaggi della pieve, proibendo ad altri di farlo (neminem debere facem mittere in messem dienam), specialmente in Villanova dove solo il prevosto, contro le pretese di un monastero di Caronno, può esercitare i diritti parrocchiali. Garbatola non è nominata nella bolla papale, ma la presenza della Villa-Nova fa pensare, data la vicinanza, all’esistenza di una Villa-Vecchia – la cascina Garbatola? – magari costruita su uno di quegli antichissimi assi che tagliavano il Sempione – le odierne via XX Settembre e via Gorizia – a distanze costanti e ripetute, probabilmente secondo un disegno romano di ristrutturazione del territorio insubre.
Le prime notizie certe su Garbatola sono però della fine del ‘500 quando a cominciare dal cardinale Carlo Borromeo tutti i vescovi milanesi visiteranno la pieve nervianese e anche la Cassina Garbatola: i due Borromeo, Carlo e Federico, il cardinal Stampa, il Pozzobonelli, vedono e descrivono precisamente la Cascina Garbatola e il suo piccolo oratorio, una chiesina per i contadini che abitavano il borgo, dedicato ai santi Biagio e Francesco.
Garbatola era anche Comune: nei registri dell’estimo del Ducato di Milano del 1558 e nei successivi aggiornamenti del XVII secolo Garbatola risulta infatti che il Comune di Garbatola è compreso nella pieve di Nerviano, e dalle risposte ai 45 quesiti della giunta del censimento del 1751 emerge che il comune contava circa 290 anime ed era amministrato dal console, tutore dell’ordine pubblico. Il Comune di Garbatola, al termine di una vicenda durata sette anni, fu soppresso e unito al Comune di Nerviano nel 1869 per decreto del neonato Regno d’Italia.
mercoledì 3 giugno 2009
martedì 19 maggio 2009
venerdì 8 maggio 2009
Auguri mamma Auguri Fabio!
Dove sei
come stai
non ci sei
ma dove vai
io sono qui
come te
con questa paura di amare
Due minuti, due ore
un'eternità
due lati del mare
di questa città
dove tutti han bisogno d'amore
proprio come noi due
martedì 5 maggio 2009
Concorso musicale giovani Band
FUORI DI FESTA presenta S-BANDA', concorso musicale per gruppi emergenti.
Dal 3 al 6 settembre 2009 si terrà FUORI DI FESTA, tradizionale Festa Rock in Piazza organizzata nella piazza don Musazzi di Garbatola (Nerviano - MI) dai giovani della comunità.
Durante il pomeriggio di domenica 6 si svolgerà S-BANDA', concorso musicale dedicato ai giovani gruppi, i cui membri hanno un'età media massima di 30 anni.
Il gruppo vincitore potrà incidere per alcune ore presso una sala di registrazione ed esibirsi la domenica sera come gruppo spalla.
La partecipazione è gratuita (cauzione di 100€ che verrà restituita durante le selezioni) e il modulo di iscrizione è scaricabile dal sito www.garbatola.it
Le selezioni si svolgeranno a luglio: in alcune serate le band si esibiranno in una sorta di audizione-concerto e verranno scelti i finalisti di domenica 6 settembre.
Per info:
info@garbatola.it
339-8628650 Paola
348-1028428 Andrea
lunedì 27 aprile 2009
Condoni, condoni, condoni
Sottotitolo: lo scarso Senso Civico Nervianese
Eh già ci risiamo. Italia Italia paese del mare, del sole, del buon vino, delle belle donne – dicono – e dei condoni. Da destra a sinistra la musica è sempre quella, e se uno non paga, evade, costruisce abusivamente, beh non si deve preoccupare tanto prima o poi le cose si sistemano – tanto in questa italietta triste finiscono dentro solo tossici o extracomunitari pericolosissimi, mai e poi mai chi evade –.
E a Nerviano, governo di centro-sinistra, pare che la musica non cambi, anzi: c’è un palazzone abusivo, o semi abusivo, uno scempio tangentopolesco, non vi preoccupate lo condoniamo – e il progettista è lo stesso assessore che all’urbanistica al tempo di tangentopoli!!! –, cioè condoniamo il cambiamento di destinazione d’uso; ma ancora un’associazione sportiva non paga il dovuto da anni all’Amministrazione mentre le altre si? non c’è problema arriva il condono.
COMUNE DI NERVIANO (Provincia di Milano): DELIBERAZIONE N. 29/G.C. DEL 24/2/2009
“Vista l’istanza in data 20.02.2009, registrata al prot n. 5323, con la quale l’Associazione sportiva USD Nervianese 1919, sez. Pallacanestro, ha chiesto la concessione di un contributo straordinario di € 10.083,52 al fine di sanare la situazione debitoria in essere nei confronti del Comune di Nerviano, derivante dal mancato pagamento delle tariffe per l’utilizzo delle palestre comunali negli anni 2005, 2006, 2007, 2008;
Valutata la situazione di difficoltà economica in cui versa l’Associazione in parola, risultante dalla rendicontazione dell’attività svolta negli anni 2007 e 2008, presentata con nota prot. n. 1506 del 19.01.2009;
Considerata l’attività svolta dall’Associazione meritevole di sostegno in quanto finalizzata alla pratica dello sport, nonché alla formazione educativa e sportiva dei giovani del territorio, in sintonia con i principi dettati dallo statuto e dal succitato regolamento comunale;
Ritenuto di accogliere tale richiesta al fine consentire all’Associazione di cui sopra di ripianare i debiti pregressi maturati fino all’anno 2008 nell’utilizzo delle palestre comunali […]”.
E gli altri? E tutte le altre associazioni sportive che hanno pagato regolarmente i dovuti contributi?
Sapete qual è poi il colmo? che la sopracitata associazione, militante in serie C quindi assolutamente meritevole di rispetto – oltre che gestita da amici con i quali collaboro attivamente –, viene pure aiutata in sede di distribuzione degli orari delle palestre, a discapito delle altre associazioni che pagano regolarmente il dovuto, dall’amministrazione stessa alle quali essa non paga le ore che usufruisce. Fantastico.
Grazie a nome di tutte le associazioni che regolarmente pagano quello che l’Amministrazione chiede – giusto o sbagliato che sia –.
Ps. Badate bene non ne faccio una colpa all’US Nervianese Basket, ognuno attua le politiche che vuole, certamente ne faccio una colpa all’attuale amministrazione. Sono e rimarrò sempre contro i condoni, chi sbaglia paga.
fig. 01: un manifesto del vecchio PDS...le cose cambiano (o se ne dicono tante...)
sabato 25 aprile 2009
martedì 21 aprile 2009
Salviamo i Carigg
Ricevo e pubblico volentieri due articoli già pubblicati dall'associazione econazionalista Duma Nunch. Il tema delle aree verdi tra un borgo e l'altro è ormai un tema di fondamentale importanza per la sopravvivenza dei nostri stessi paesi, del nostro territorio, della nostra civiltà (sempre che ce ne sia ancora una), più ancora dei piccoli parchi gioco, più ancora delle aree per correre o andare in bicicletta, più ancora delle aree standard a parcheggio, è una questione di memoria è una questione di sopravvivenza.
L’area dei Carigg è una grande area verde che si estende per circa 5 kmq tra i comuni di Briosco, Renate e Veduggio, lambendo anche il territorio di Besana nei pressi della Cascina Naresso.
In origine - parliamo di migliaia di anni fa - i Carigg erano un grande lago, come quelli di Pusiano ed Oggiono. Essendo l’invaso meno profondo, progressivamente venne riempito dai depositi provenienti dai versanti e dal trasporto dei corsi d’acqua.
La riduzione degli apporti idrici e lo svuotamento per un progressivo abbassamento della soglia del suo emissario principale - la Bevera - hanno portato alla trasformazione dei Carigg da lago a torbiera. Il Cherubini, nel suo memorabile Vocabolario milanese-italiano del 1843, così scrive alla parola Carècc: “Voce dell’Alto Milanese. Giuncaja. Giuncheto. Luogo pieno di giunchi o carici o caretti che si dicano; il Carectum dei Latini. Fra Renate e Bruscò in Brianza è un Carècc vastissimo”.
Oggi il lago dei Carigg è diventato una vera e propria oasi naturale nella Brianza cementificata: anello di congiunzione tra il Parco Valle del Lambro e il Parco Agricolo della Valletta.
Centinaia di persone passeggiano lungo i sentieri recuperati dai volontari in questi anni, bikers attraversano contenti i ponticelli sul Fossarone e sulla Bevera, e innumerevoli specie di uccelli popolano quel che resta dei canneti.
Non vogliamo che la speculazione edilizia cancelli questo lembo di Brianza rimasto miracolosamente intatto, sotto lo sguardo severo del Resegone e la vigile sorveglianza del bianco mausoleo dei Visconti. Non servono soldi pubblici da spendere, né enti inutili da inventare: basta la volontà di conservare quello che Dio ci ha dato in affido...
(Paolo Pirola)
Ambienti d’acqua, siepi, incolti e altri ecosistemi, molti dei quali sempre meno diffusi: il paesaggio dei Carigg è un mosaico molto articolato. Sono i territori che gli appassionati naturalisti, nella fattispecie quelli che girano con il binocolo, amano molto. La varietà di ambienti, anche in uno spazio non estesissimo, attira tante specie. Ai Carigg troviamo ecosistemi che, a livello europeo, stanno sempre più scomparendo. Si tratta dei sistemi delle siepi, degli incolti, dei prati: situazioni collegate ad una agricoltura del passato che offre spazio a una grande varietà biologica. Un tempo erano molto diffusi; oggi i metodi di coltivazione su basi industriali e il sempre più sfrenato utilizzo delle aree verdi marginali - le famose aree “da valorizzare” - per costruire nuovi quartieri residenziali li stanno via via cancellando. Non è un caso che tra le specie di uccelli che più soffrono nel nostro continente vi siano proprio quelle legate alle zone agricole e agli ambiti ad esse immediatamente collegate. I Carigg rappresentano un residuo della campagna di una volta, ma non solo. Ad arricchire il tutto contribuisce anche la presenza dell’acqua.
Negli anni diversi appassionati hanno svolto uscite da queste parti, compilando una lista di specie molto interessante. Qui girano tante specie di rapaci, tra i quali l’albanella reale e il lodolaio. Cinque specie di aironi frequentano il sito durante l’anno, sia in periodi di nidificazione che nel corso di spostamenti e migrazioni. Ma sono loro, i passeriformi, gli uccelli piccoli, i protagonisti principali. Gli zigoli, ad esempio, o diverse specie di fringillidi trovano in questo angolo di Brianza cibo e rifugio. Ci sono poi i passeriformi delle siepi e del canneto: su tutti il beccamoschino, molto poco diffuso dalle nostre parti, cannaiola e cannaiola verdognola, beccafico e capinera. Gli spazi incolti, tesori da proteggere, offrono spazio ad una specie sempre più in diminuzione: il bellissimo saltimpalo, per il quale può essere deleteria anche la sparizione di paletti e staccionate. Girando con il binocolo potremo incontrare i colori del martin pescatore, del gruccione e dell’upupa, o cercare la sempre meno comune tortora. O, nel periodo di migrazione, cercare nel crepuscolo il verso del misterioso succiacapre.
(Matteo Barattieri)