giovedì 6 marzo 2008
Late modern generation
Noi generazione del tardo moderno governati da una generazione che non ha capito. Noi generazione di mezzo che non riuscirà ne a governare i cambiamenti decisi da altri, ne a esser protagonista di quei cambiamenti, perché altri lo saranno. Noi generazione che ha vissuto, che sta vivendo negli anni della gioventù una grande rivoluzione, tecnologica e industriale, e come sempre succede nelle grandi trasformazioni generazione che sbaglia spesso e che soffre questo cambiamento – quanti litigi per sms, per telefonate sbagliate, per email lette per errore, ecc, quanti rapporti finiti –. Noi generazione parte di una cultura diversa da quella di soli 30 o 40 anni fa – non parliamo neppure di quanto diversa dagli anni ’50 o ’60 del novecento –. Noi generazione che si conosce in chat e che si ricostruisce a chilometri di distanza, via schermo, o via sms, gli odori i sapori le emozioni dell’altro/a a proprio uso e consumo.
Noi generazione che è cresciuta sino ai vent’anni telefonando dalla cabina del telefono, o non telefonando, girando il mondo con i primi walkman, e non con sofisticatissimi lettori mp3, che ha usato il vic20, il 64, il 128, poi il pc, pentium uno, due, tre. Noi generazione che ha sempre disegnato a mano e che ora usa solo il pc. Generazione dell’ipod, del myspace, dei mille blog. Generazione che si esprime in modi molto molto differenti e che usa strumenti molto molto differenti dalla generazione che ci governa. Generazione che non ha una filosofia comune se non quella della paura del diverso. Generazione di trent’enni ancora in casa perché senza soldi; generazione più povera, economicamente, ma spesso più colta della generazione che ci ha preceduto. Generazione che ha visto crollare il muro di Berlino, che non ha nel suo DNA la distinzione bipolare del mondo, tra cattolici o laici, tra comunisti e democristiani, tra dirigenti e operai, tra ricchi e poveri, ma solo tra modern e late modern.
«Tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta abbiamo vissuto una grande trasformazione. Una rivoluzione tecnologico-culturale paragonabile alla grande rivoluzione industriale. Una trasformazione che ha spazzato via queste divisioni del mondo»[1] e tra queste probabilmente la differenza tra destra e sinistra intesa in modo classico. Ma quanto la generazione che ci governa, soprattutto in Italia, sia essa quella politica – nazionale, regionale, comunale –, sia essa quella dei professori universitari, sia essa quella delle lobby professionali, ha capito questi cambiamenti, quanto questa generazione avverte ed è consapevole di essere stata sorpassata? La classe politica credo per niente, come credo per niente la classe dei professori universitari, classi che hanno conquistato con grande fatica il loro posto, “conquistato dopo dure lotte” – parole che sentiamo dirci continuamente –, lotta che però noi non abbiamo nel nostro DNA, e posto che non lasceranno mai, ma che gli si scioglierà e che gli si distruggerà sotto i piedi senza che nemmeno loro se ne accorgeranno, senza lotte.
Cambieranno le cose? Forse si, certamente non sarà la mia generazione a cambiare le cose, ma quella che sta nascendo. Noi nel frattempo non ascoltiamo musica classica suonata da un hi-fi, ma qualsiasi genere e tipo di musica in mp3, noi non scriviamo su riviste intellettuali e colte ma su blog liberi, magari sperando che qualcuno ci ascolti, o semplicemente che qualcuno si renda conto di quello che gli sta succedendo attorno.
[1] MASSIMO CACCIARI, Nei programmi la differenza, le ideologie non esistono più, intervista, di Carlo Brambilla, da La Repubblica del 6 marzo 2008, p.15.
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2 commenti:
"Siamo un'intera generazione che pompa benzina. Che serve ai tavoli. O schiavi coi coletti bianchi. La pubblicita' ci fa inseguire le macchine e i vestiti. Fare lavori che odiamo per comprare cazzate che non ci servono. Siamo i figli di mezzo della storia: non abbiamo la grande guerra ne' la grande depressione. La nostra grande guerra é quella spirituale . La nostra grande depressione é la nostra vita. Siamo cresciuti con la televisione che ci ha convinto che un giorno saremmo diventati miliardari, miti del cinema, rock stars. Ma non é cosi. E lentamente lo stiamo imparando. E ne abbiamo veramente le palle piene" [Fight Club di Chuck Palahniuk]
Caro prof,
forse è proprio qui in queste ultime parole il bandolo della matassa.
Siamo davvero interessati a cambiare o ad essere protagonisti di quello che accade intorno?
Io credo siamo più concentrati a guarire dal nostro mal di vivere.
Cinici e individualisti. E persi.
Ognuno di noi nel suo piccolo porta avanti la sua guerra,
forse diversa e meno atroce da quella che hanno affrontato i nostri nonni, ma allo stesso modo difficile e drammatica.
In questo "villaggio globale" siamo paradossalmente soli e non sappiamo comunicare, perchè nessuno ci ha preparati...siamo come disarmati.
Siamo si piu colti di quelli che ci hanno preceduto
e a volte anche piu consapevoli,
ma paradossalmente meno valorosi e molto piu egoisti,
e ci forniamo di una chat per dire quello che pensiamo o per illuderci di conoscere gli altri.
Non ci confrontiamo, non abbiamo il coraggio di gridare i nostri pensieri e di scontrarci,
non abbiamo rispetto delle nostre ragioni, o forse non vogliamo correre il rischio di perdere, non ci conviene o solo non ci interessa.
Noi abbiamo solo un disperato bisogno di essere ascoltati.
Piu' che una generazione di mezzo mi sembra una generazione di moderati, spaventati cosi come eccitati dalla globalizzazione,
e per questo con troppa ansia in petto (altro mal di vivere) e poco senso pratico.
Con tutti i mezzi che abbiamo potremmo scalare montagne, non è un sogno, è poi la realtà di paesi cosi vicini a noi...
dove il progresso è fatto di persone e non di cose.
Noi spesso ci limitiamo a guardare e aspettare...o solo a pensare agli affari nostri.
Forse perchè siamo stati privati del diritto di guadagnarci quello che vogliamo come vogliamo, senza compromessi e senza vie preferenziali,
ma per quello che valiamo.
Ognuno dice la sua per conto suo e se puo far qualcosa lo fa solo per i propri interessi, per riscattarsi.
Ma mica andiamo via dalle nostre case con una valigia di cartone in cerca di fortuna come hanno fatto i nostri nonni, quello no...
Non ne vediamo il motivo, è molto piu semplice aspettare "quelli che cambieranno le cose".
Ma allora saremo noi in grado di educarli "quelli"?
Noi siamo liberi eppure ci sentiamo soffocare.
Allora in questo mondo nuovo, dove gli orizzonti si allargano ma tutto ci è come ignoto,
come potremo insegnare loro ad usare la libertà senza che ricadano nell'ombra del disperato istinto di appagare se stessi?...
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