giovedì 27 novembre 2008
Delle opere inquiete
Caro amico/a, rispondo con un post perché mi sono accorto che il mio commento era troppo lungo.
Intanto grazie. Poi due precisazioni: la prima è che la decisione di far diventare la Casa Gialla un luogo pubblico che sia deserto (a detta tua), o meno, non è stata certamente una scelta dell'architetto ma della proprietà; la seconda è che spesso si additano gli architetti per colpe non loro.
A Milano c'è un quartiere simbolo del rapporto-scontro tra architettura e problematicità sociale è il quartiere Gallaratese di Rossi e Aymonino. Fu occupato, violentato, fu uno dei posti più difficili di Milano, ora è uno dei posti meglio tenuti. La differenza? L'architettura? no, i soldi, il tenore di vita e il prestigio sociale, o meno, di chi lo ha abitato e di chi lo abita ora (anche se ti assicuro che Rossi era felice prima e non so se sarebbe stato felice ora). Questo per dire che spesso ci sono problemi che esulano dal mestiere dell'architetto e che riguardano di più le scelte pianificatorie dei nostri amministratori o i servizi sociali.
Ma torniamo alla Gelbe Haus. Ci sono sempre molte possibilità di intendere l'architettura, sia la progettazione che il restauro: c'è una via apparentemente più semplice, più immediata, spesso vernacolare, è la strada che va per la maggiore nella nostra cara pianura Padana o nelle valli Alpine italiane in questi anni, e c'è poi una via più difficile, meno rettilinea, ricca di tranelli, molto meno immediata e certamente in Italia economicamente più svantaggiosa. La prima è la via delle casette con gli archetti, delle persiane in legno, del tetto e dei mille tettucci con le tegole anticate, del praticello con bambi e i settenani, è la strada immediata delle "calde" casette tipiche, del legno super decorato, dei cottage; la seconda è la via del Gallaratese, della Gelbe Haus, e di molti altri progetti più difficili e inquieti. I primi non fanno parte della storia dell'architettura (forse di quella dei fumetti) ma di un modo economicamente più veloce, agile, di costruire, vendere e quindi di vivere. I secondi invece spesso, proprio per la forza del loro pensiero, che sia giusto o sbagliato, per il loro essere meno accomodanti, per il loro slegarsi da un meccanismo tutto mediatico, tecnologico e spettacolare, entrano a far parte di una grande storia, legata alla storia del pensiero e dell'uomo, la storia dell'architettura.
Ci fu un momento anche in Italia in cui le cose andarono diversamente. Nei primi anni del dopoguerra (cito uno dei tanti esempi di quello straordinario periodo) attorno alla figura di Adriano Olivetti si radunarono architetti, registi, filosofi, pensatori, intellettuali, anche amministratori per discutere, scrivere, pensare e progettare. In quegli anni si iniziò a pensare a un modo di vivere diverso. Di quegli anni sono due straordinari piani urbanistici: il Quartiere Ina Casa di Cesate (Mi) e il Borgo della Martella (Matera). Non sono dei villaggi caldi e accomodanti, come quelli degli anni '80 '90 o come quelli degli immobiliaristi moderni, sono villaggi duri, scontrosi, spesso apparentemente mal tenuti, abitati da gente che usciva dai Sassi o dalle Cassine, con gli asini e le galline a dormire con loro, prima e dopo. Eppure quei villaggi erano e sono un tentativo di dare una risposta seria, pensata, scomoda ma reale a un grande problema, un problema che prima di allora in Italia non era mai stato affrontato.
Francamente non credo che la Gelbe Haus sia l'opera più importante del secolo, certamente credo sia un'opera da vedere, da leggere e saper leggere, e da studiare proprio per le inquietudini che ci lascia quando anche per sbaglio ci imbattiamo in lei.
Foto 1: La Gelbe Haus. Foto di Fabio Pravettoni, settembre 2008.
Foto 2: Un'opera più tranquilla, qualcuno direbbe calda, o accomodante. Pozza di Fassa, ottobre 2008.
lunedì 24 novembre 2008
La Gelbe Haus, un restauro possibile
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Ma torniamo all’architettura.
Raggiungere Monaco di Baviera da Milano – per l’annuale festa bavarese della birra – è facile, in auto ci voglio poche ore di viaggio e si possono fare sostanzialmente due strade: passare per il valico del Brennero o attraversare la Svizzera.
Con la musica di Davide Bernasconi, al secolo Van de Sfros nello stereo, di buon mattino raggiungiamo e doppiamo Como, doppiamo in tutti i sensi dato che mi accorgo di avere lasciato a casa la carta di identità, quindi passiamo la frontiera a Chiasso, poi Lugano, Bellinzona e lasciati il Ticino e le architetture lombarde e borromaiche, attraverso il traforo del San Bernardino arriviamo nella tedesca svizzera coirese.
È la terra di un grande architetto grigionese, un uomo schivo e forse un poco scontroso, un uomo certamente duro, un montanaro, Peter Zumthor. È la terra di molti bravi architetti – è impressionante quanto sia cambiata, quanto si sia modernizzata la Svizzera, e l’architettura Svizzera in particolare, negli ultimi vent’anni –. È la terra di Valerio Olgiati.
Qualche anno fa in uno dei viaggi verso Barcellona, a casa dell’amico Marco Lecis, vidi un numero monografico della rivista 2G dedicato all’opera di Valerio Olgiati. Subito mi impressionò la copertina. Un casone bianco, durissimo, quasi congelato in un tempo lontano, diverso da quello in cui è stata scattata la foto: è la Gelbe Haus, la casa gialla.
Quella casa, che si trova a Flims, un piccolo paese di montagna a 10 km da Chur, Coira, era per il vero l’unica cosa molto interessante di quel numero, una sorta di manifesto, una di quelle opere che lasciano il segno, che scuotono e che fanno pensare, il resto non aveva la stessa forza.
Arriviamo a Flims verso metà mattinata. È un paese tranquillo, i negozi sono distribuiti lungo l’unica strada che costeggia la montagna, sulla strada negozi di souvenir svizzeri, negozi di artigiani del legno, della pelle, ecc, alberghi, alcuni fienili in legno, gente a passeggio, le montagne dietro le case, la valle aperta e verde sotto.
Gli Olgiati, Valerio e il padre Rudolf, pure architetto, sono di Flims, la Casa Gialla era di proprietà della parrocchia ed esisteva un accordo tra Rudolf e la parrocchia stessa per ristrutturare la casa. Alla morte di Rudolf la parrocchia decise di convertire la casa in uno spazio espositivo. Dato che la complessa distribuzione interna della casa non era adatta per i nuovi scopi alla quale la casa sarebbe stata destinata, Olgiati prese una decisione drastica: svuotò completamente l’interno e lo ricostruì in legno, al posto delle piccole stanze dei grandi spazi liberi e finestrati, mentre all'esterno mantenne forte e ben visibile l’ordine secondo il quale furono disegnate le bucature, e tutto fu come congelato.
Non si può dire che sia una bella casa, certamente non fa così impressione come sulla copertina della rivista, saranno la bella giornata, il vento, l'idea della Germania e dell'oktoberfest, le alpi appena imbiancate sopra le verdi colline, i rustici in legno che confinano e cercano di armonizzarsi scontrandosi con il bianco dell’edificio, ma quel casone della foto in realtà diventa un grazioso edificio, ben calibrato, una casa moderna, fuori dal tempo, in un paesino di montagna. Certamente l’operazione di Olgiati è un’operazione drastica e drammatica: egli elimina gli orpelli, le decorazioni, le aggiunte, le persiane, gli sporti di gronda, il portico di ingresso. Olgiati non si preoccupa e anzi ci invita a non preoccuparci dei colori, delle decorazioni, ci invita a occuparci della struttura della casa, del suo comporsi per grandi muri bucati da piccole finestre regolari, e per far ciò congela completamente la facciata, la ingessa, e la porta con un solo gesto fuori dal tempo. La Gelge Haus di colpo non è più una casa di fine ottocento inizi novecento, una casa antica ben ristrutturata, la Gelbe Haus è un’opera fuori dal tempo, un manuale da studiare e da leggere e da capire.
mercoledì 19 novembre 2008
Trasformare la città o non trasformarla
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Qualche giorno fa, per l’esattezza il 23 ottobre, ho presentato al Comune di Nerviano con prot. 31242 la mia candidatura come componente della commissione paesaggio e territorio, la stessa commissione di cui sono membro attivo, e per fortuna anche rispettato, nonostante alcune posizioni radicali contro l’architettura brutalista e speculativa della nostra provincia.
Con buona pace di chi sosteneva, qualche mese fa, che scrivevo di Nerviano e su Nerviano per avere incarichi comunali – attenzione, il gettone della commissione credo sia intorno ai 25 € e sinceramente, anche a Parabiago, non vale la pena rispetto i mal di stomaco che rimangono per tutto il giorno quando si vedono progetti tipo quelli che vengono quotidianamente presentati nei nostri comuni –, o perché avevo chissà quale mira politica e progettuale, e non, semplicemente, perché amo l’architettura e spesso utilizzo, per formazione accademica, dei casi studio dai quali partire, e il Comune in cui abito è sicuramente uno dei casi studio per me più interessanti e controversi, beh con buona pace di chi sosteneva ciò non sono stato nominato, anzi, sono stato l’unico escluso – per la verità siamo stati esclusi in due, entrambi laureati nel 2001, ma dire sono stato l’unico escluso suona meglio –.
Ma non voglio scrivere di questo, né commentare le motivazioni della giunta comunale – motivazioni pubbliche, delibera 140 G.C. del 11.11.2008 –, sarebbe facile ma anche inutile, come sarebbe facile, ma insisto inutile, continuare a dire che non si possono scartare sempre i giovani – ormai non più così giovani per la verità – perché non hanno curriculum, è veramente assurdo, una cosa tutta italiana. Troppo facile dire largo ai giovani, a parole, e poi nei fatti scartarli perché non hanno curriculum sufficiente in politica e nella professione. Basta. Ma come faranno questi giovani 30-40 enni ad avere un curriculum pubblico, attenzione non si parla ovviamente di curricula accademici che quelli ci sono, se tutti gli enti pubblici, amici e nemici, continuano a dare lavori a destra e a sinistra ma sempre a gente che ha lavorato negli anni ’80, poi negli anni ’90, e ora in questo primo decennio di nuovo millennio – queste parole non sono solo mie, ricordo un mio ex capo ufficio, un ingegnerone anche bravo ma soprattutto capo di Forza Italia a Garbagnate, ridere e sorridere mentre parlando con lui di concorsi mi diceva “tanto voi giovani non avrete mai la possibilità di vincere, io lavoravo prima e lavorerò ancora”… beh, così è –.
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Volevo raccontarvi invece un aneddoto che Sindaco, l’amico Pio Petrosino e alcuni consiglieri comunali, tra cui il capogruppo di maggioranza Cantafio, ricorderanno bene perché erano presenti. Lo scorso anno con i professori Antonio Esposito e Daniele Vitale abbiamo tenuto di questi tempi un bell’incontro-dibattito all’inaugurazione della mostra dei lavori dei ragazzi che seguivo con Antonio nel corso di progettazione architettonica II, alla facoltà di Architettura Civile di Milano. Un bell’incontro, con interventi degli studenti, dei professori che avevano seguito il corso e con il solito intervento molto sapiente, intelligente e calibrato del prof. Vitale sulla costruzione del territorio, sulla costruzione della pianura, sulla cultura architettonica, ecc. Poco prima di finire, e poi fare un giro per il recuperato monastero degli Olivetani, sede del Municipio, con professori e Sindaco, dal pubblico si alza una mano. È un vecchio, non nel senso di anziano, architetto nervianese. In un italiano milanese molto divertente – io pure parlo milanese… – l’architetto sosteneva che la scuola italiana era tutta da rifare, che era troppo teorica e che bisognava invece insegnare i ragazzi la vita vera, anche quella comunale, le code, le pratiche, ecc, e che tutti gli studenti che vanno da lui non sanno niente e devono ricominciare da capo. Fu un intervento molto duro ma anche divertente, almeno quanto la sua felliniana uscita di scena.
Spesso anche a Parabiago sento parlare i miei colleghi e i tecnici comunali di “auspicabile apertura all’università”, di far fare lavori ai ragazzi, ecc. Ma quando quell’apertura c’è che fine fanno poi quei lavori? Che fine fa il rapporto tra università e palazzo? In che modo poi il Comune coltiva il rapporto con l’università? Dicendo “senza evidenziare particolare esperienza in campo paesaggistico” e promuovendo quell’architetto nervianese che diceva che l’università era tutta da rifare?
Buon lavoro alla commissione e speriamo che riesca ad arginare il fenomeno delle villette a sclera – faccio mia una felice battuta dell’ex assessore Petrosino, questa volta “ex assessore” perché all’epoca della battuta era assessore, battuta detta a contorno della giornata di presentazione della mostra, dopo l’intervento dell’architetto nervianese – in favore di un riammodernamento dell’architettura nervianese. Dai commissari!, forza, non abbiate paura, siamo nel 2008 e nel resto d’Europa tutti stanno camminando mentre noi siamo al palo…
Ps. Se dopo aver letto la delibera di Giunta cercherete l’arch. Colombo Marco sul web, come ho fatto io, troverete un architetto, mio coetaneo ma che non conosco e che sembra bravo. Ecco, non è l’altrettanto bravo, credo, ma non lo conosco, architetto omonimo che sarà in commissione a Nerviano.
PPs. Cari amministratori, cari amici, guardate che queste cose sembrano poco gravi e limitate a un campo "accademico" e architettonico in realtà sono cose importanti, che possono cambiare un paese. Mettere un agronomo, a capo di una commissione tutta architettonica, lo dico perché mensilmente a Parabiago sono chiamato a guardare progetti che spesso tentano di stravolgere la città, è pericoloso, non per la bontà o meno della persona - certamente valida - ma per l'idea stessa che sottende il non volere trasformare, riammodernare un paese, un paese stanco, un paese conservatore che ha invece bisogno di cambiamenti!!! E non si può continuare a delegare tutto al nuovo PGT. Monza e Banderali sono bravissimi, lo dico sinceramente, e faranno un piano intelligente e lungimirante, ma non si esaurisce tutto lì. Davvero amici urbanisti, ditelo anche voi...
Nelle foto. Interventi dei Wolf Architektur, Austria.
domenica 16 novembre 2008
Basta veleni in valle Olona
Ricevo dall'ass. Econazionalista Domà Nunch e volentieri ripubblico:
PRESIDIO NO-KATAOIL
Sabato 29 novembre 2008 – ore 10 – CAIRATE [VA]
in fondovalle, via per Lonate
Per la QUALITA’ DELLA VITA , prima del PROFITTO DEI PRIVATI, pretendiamo:
• Stop alla cementificazione della Valle Olona.
• Stop alle strade inutili (Pedemontana, Varesina Bis) che aumentano il traffico e distruggono i nostri boschi e campagne.
• Stop a nuove concessioni industriali nel fondovalle.
• Istituzione del Parco Regionale della Valle Olona.
PRESIDIO NO-KATAOIL
Sabato 29 novembre 2008 – ore 10 – CAIRATE [VA]
in fondovalle, via per Lonate
Per la QUALITA’ DELLA VITA , prima del PROFITTO DEI PRIVATI, pretendiamo:
• Stop alla cementificazione della Valle Olona.
• Stop alle strade inutili (Pedemontana, Varesina Bis) che aumentano il traffico e distruggono i nostri boschi e campagne.
• Stop a nuove concessioni industriali nel fondovalle.
• Istituzione del Parco Regionale della Valle Olona.
martedì 11 novembre 2008
20,000 Thank You
Twenty thousand and more times "Thank You" to the visitors over this year! I hope this can become a place to discuss and for thinking over, to stop by and start conceiving, together. Thank You.
E un ringraziamento e un abbraccio speciali a una persona splendida che mi è sempre stata vicina, mi ha convinto ad aprire questo spazio e a proseguire caparbiamente nel lavoro. Grazie
E un ringraziamento e un abbraccio speciali a una persona splendida che mi è sempre stata vicina, mi ha convinto ad aprire questo spazio e a proseguire caparbiamente nel lavoro. Grazie
lunedì 10 novembre 2008
Libertà e conformismo
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Sono di ritorno dalla Commissione Paesaggio e Territorio del Comune di Parabiago, in teoria una commissione che dovrebbe esprimere pareri in merito l’architettura dei progetti presentatici, in realtà una commissione priva di potere, una commissione il cui parare non è per nulla vincolante. Insomma un esercizio.
Come quasi tutti i progetti che ho avuto modo di vedere in questo anno di attività devo di dire che il livello medio generale è davvero molto ma molto basso. Bassissima la qualità grafica, che per il vero nelle ultime commissioni, probabilmente anche a causa nostra, sta migliorando, e infima la qualità architettonica, tranne qualche rarissimo caso. Non un riferimento ad architetture che siano altre rispetto le architetture contemporanee che si vedono sorgere ogni dove nella nostra tristissima provincia, non un riferimento ad architetture del recente passato moderno, non un riferimento ad architetture contemporanee che si costruiscono in tutta Europa.
Da noi è di casa il carino, il grazioso, da noi sono di casa i tetti con i grandi sporti di gronda, le finte colonne, i timpani. Verrebbe da chiedersi: da noi è di moda l’architettura classica? no, da noi è di moda il carino e contro il carino e il grazioso in architettura continuerò a combattere, almeno quanto contro il moralismo, il perbenismo e il conformismo in politica come nella vita sociale, e per questo, come ha giustamente osservato il mio grande amico Don Alberto, mi attende un futuro forse un poco solitario.
Già perché l’Italia di questi anni è la patria del finto, del conforme, la patria delle libertà? non credo, il conformismo non è libertà. Sono gli anni della speculazione selvaggia, non gli anni della ricerca insistente, gli anni delle villette estruse e trasformate in palazzi di 3 o 4 piani. Sono gli anni del finto classico che non poggia su nessuna delle regole su cui si è fondato per secoli il classicismo. Sono anni in cui per quieto vivere passano nelle commissioni progetti che nessuno ma dico nessuno prenderebbe neppure in considerazione in una qualsiasi aula scolastica di un qualsiasi corso di un qualsiasi paese di una qualsiasi facoltà di architettura. Sono gli anni del moralismo, gli anni in cui non si sbaglia o si addita chi prova, chi ricerca, e poi magari sbaglia – chissà perché invece a me quello che ci prova e sbaglia mi sta più simpatico di quello che non sbaglia mai ma non cerca nulla… –, e per non sbagliare si crescono ragazzi/automi senza spina dorsale, ragazzi che facciamo protestare una volta ogni tanto come per farli sfogare – a proposito dov’è finita la protesta negli atenei? 2500 concorsi da ricercatore che hanno nomi e cognomi, possibilità chiuse per anni a ricercatori senza papà e la protesta? Sciolta come neve al sole –.
Ci sorprendiamo? No. O almeno non più di tanto. Da noi la televisione è monopolizzata dai politici superstar, opinionisti principe che fanno salire l’odience – o almeno così dicono i vari Vespa, Costanzo, Mentana, ecc –, essi sanno tutto: dal calcio all’economia, dall’avanspettacolo alla politica estera, dalle politiche sulla scuola alle politiche pianificatorie e urbanistiche, sanno tutto di storia, filosofia, architettura, economia, costume, società, i politici italiani sanno tutto. E in un paese che non progetta questa strana e italianissima tendenza per caduta verticale colpisce tutte le amministrazioni: le regioni, o meglio gli amministratori regionali – super presenti ovunque chiamati e super osannati da speaker e giornalisti pronti a tutto per un loro cenno di apprezzamento, vedi la sei giorni di Milano di ieri –, provinciali e comunali; la cultura italiana e la società italiana sono in mano a una classe politica autoreferenziale, spesso autorappresentativa e autoelettiva – solo il PD ha fatto e sta facendo, ma bisogna capire quanto andrà avanti a farlo, un salto di qualità in questo senso con delle primarie aperte, si fa per dire, a tutti –.
In un paese così mi capita sempre più spesso di esprimere pareri differenti e contrari, pareri scomodi?, non so, sicuramente scomodanti, almeno quanto inutili e autolesionistici. E allora oggi ho espresso un parere fortemente negativo su un’architettura che gli altri inizialmente quasi approvavano, “ma perché sei così contrario [mi obbiettavano, perché fa schifo? Dicevo io], da noi si costruisce così…”, “ ma insomma, in fondo in fondo che te ne frega, anche per noi è brutta ma perché devi essere così contrario? Tanto è già tutto brutto quello che c’è una cosa in più o in meno” [aggiungo io, perché farsi dei nemici inutilmente. Risposta: per la libertà che in questi anni grandi amici mi hanno insegnato ad apprezzare e ricercare].
Ma perché abbiamo perso la capacità di ragionare, di sperare, di progettare? Perché i nostri territori devono rimanere nelle mani di politici incompetenti e spesso accomodanti e commissari super accomodanti o accomodati, in mano a speculatori senza scrupoli e quasi sempre, non sempre, senza cultura architettonica? Perché piuttosto di guardare le brutte architetture vicine, o spesso limitrofe, non guardiamo alle belle architetture siano esse non lontane – basta andare nel canton ticino, a Mendrisio, a Lugano, Bellinzona, ecc – o a quelle lontane qualche centinaio di chilometro. Perché non possiamo pensare a una pista di atletica interna a un quartiere o a una strada che sia anche pista di atletica e di ciclismo, come in Belgio, perché non possiamo anche noi pensare a quartieri diversi, perché anche noi non possiamo avere scuole adeguate, interventi pubblici sapienti costati fatica e non qualche decina di giorni – ha rabbrividito pure l’architetto capo dell’ufficio tecnico di Parabiago quando gli ho detto che a Nerviano presenteranno rilievo e progetto in quindici giorni (vedi post precedente) –, piazze progettate rispettando la storia e il carattere dei luoghi e al significato degli stessi, quartieri pubblici come se ne facevano anni fa o come oggi se ne fanno in tutt’Europa? Perché?
In foto. Progetto per un quartiere con pista di atletica/strada al suo interno. Belgio.
domenica 9 novembre 2008
Verso la super progettazione
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Come spesso succede parto da un caso recentemente successo nel mio villaggio per cercare di descrivere cosa succede in molte, moltissime, troppe, borgate di questa nostra italietta, borgate siano esse amministrate da amministratori di destra, di sinistra, di centro, bianchi, rossi, gialli, vermigli. Il caso che vi sottopongo è uno dei tanti casi di questa nazione che proprio non riesce a riorganizzarsi e ripartire, e che tanto avrebbe bisogno di una vera e propria rivoluzione culturale.
Da almeno 10 anni si sa che la Scuola Materna del piccolo paese in cui vivo è da ristrutturare – lavori da milioni di euro nonostante l’insignificatezza dell’opera e della borgata –. Da ormai 5 anni, credo, tali lavori sono inseriti all’interno dei vari programmi triennali per le opere pubbliche che le varie amministrazioni che si succedono approvano. Per anni non si è fatto niente e di concorsi, di progettazione o di idee, e di progetti nemmeno l’ombra. E così, vivacchiando, si è arrivati al 2008 e nulla ancora è stato fatto.
Nel frattempo, proprio in questo fine 2008, il super pagato assessore ai LL.PP. – dati pubblici del giornalino comunale, più pagato del Sindaco, ben 19 mila euro –, viene spostato alla polizia municipale e un nuovo assessore ben più attivo, almeno pare, arriva a palazzo.
Mi pare, ma proprio non ne sono sicuro – voci di palazzo tutte da dimostrare – che il vecchio governo di centro sinistra stanziò dei fondi in favore della risistemazione delle scuole per progetti presentati entro la fine del 2008. E così il nuovo assessore, dopo due anni di inattività apparente del vecchio, indice subito un concorso e dati i tempi ristrettissimi, siamo a settembre-ottobre 2008, l’amministrazione impone ritmi e tempi frenetici ai candidati progettisti, da vera e propria fabbrica dei progetti.
Ora il concorso è stato esperito, ed è stato vinto dai super attivi, quanto poco conosciuti – ma questo in Italia, paese dalla cultura architettonica pari a quella di un paese del terzo mondo non sorprende più di tanto –, Ardenti e Arata, sconosciuti ma immagino molto bravi, certamente velocissimi. Infatti al progetto di ristrutturazione, un progetto che come ho detto prima si poteva affrontare con molta calma, non dico in dieci anni, ma almeno in qualche mese, lo studio Ardenti e Arata dedicherà ben 15 giorni – sabati e domenica compresi –. Due settimane per studiare le esigenze della popolazione, studiare la storia del luogo e del manufatto, fare il rilievo – che non c’è –, fare plastici, fare prove, controprove, pensarci, non dormirci per un po’ e finalmente arrivare al progetto finale.
Ps. Come ho già avuto modo di dire l’esperienza recente nervianese e soprattutto quella garbatolese in materia di edilizia scolastica non è delle migliori. Speriamo che questa volta andrà meglio. Si inaugura il super progettista e la super progettazione.
Foto 1. Una realizzazione dello studio Ardenti e Arata
mercoledì 5 novembre 2008
OBAMA!!!!
http://tv.repubblica.it/speciali/elezioni-usa-2008/tutto-il-discorso-di-obama/25985?video
PS. ... e noi abbiamo consiglieri comunali da 25 anni, parlamentari da 50 anni, premier di 70 anni, presidenti di 80 ecc, e tutti gridano largo ai giovani ma nessuno cede il passo, anzi ...
PS. ... e noi abbiamo consiglieri comunali da 25 anni, parlamentari da 50 anni, premier di 70 anni, presidenti di 80 ecc, e tutti gridano largo ai giovani ma nessuno cede il passo, anzi ...
martedì 4 novembre 2008
Concorsi concorsi concorsi
Negli anni appena successivi a Tangentopoli nel 1994 i così detti governi di unità nazionale introdussero la legge n.109, detta anche legge Merloni: una legge che doveva regolarizzare il sistema degli appalti e dell’affidamento dei lavori, una legge che apparentemente cambò in modo sostanziale quel sistema, una legge che sta influendo pesantemente, purtroppo negativamente, sull’architettura italiana.
La legge Merloni introduceva, tra le altre cose, il sistema dei concorsi. A loro volta i concorsi possono essere suddivisi tra loro, genericamente, in concorsi di idee, concorsi di progettazione e concorsi ad affidamento. Dall’introduzione della Merloni gli enti pubblici non poterono più affidare lavori a destra e sinistra senza un regolare concorso. Fin qui quindi una buona legge.
Peccato che in Italia di concorsi di idee o di progettazione, concorsi cioè dove il professionista è chiamato a redigere un lavoro, lavoro che poi verrà giudicato da una commissione qualificata e garantita da rappresentanti degli ordini professionali, anche dopo l’introduzione della 109/94 non se ne sono fatti moltissimi. Il 90% circa – dicono i forum sui concorsi – delle opere pubbliche italiane vengono affidate a curriculum. Ma scusate chi pensate che può possere un curriculum vincente se non chi lavorava anche prima dell'introduzione della legge con il vecchio sistema clientelare? Come fanno quindi un giovane architetto o un giovane ingegnere italiani a costruirsi un loro proprio curriculum – attenzione si parla, ovviamente, non di curriculum scientifici e accademici, e nemmeno di curriculum fatto di grandi partecipazioni e collaborazioni, si parla di lavori dove si è stati burocraticamente responsabili – se i lavori continuano a essere affidati a chi ha lavorato negli anni ’70-’80-’90, cioè negli anni nei quali vigeva il sistema clientelare contro il quale la legge è nata?
Ho trovato per caso questo intervento di qualche anno fa su un forum dedicato ai concorsi e ne riporto una parte. Spero stimoli il dibattito su un problema che tocca direttamente tutti i comuni e gli enti di questa nostra Italia.
Concorsi, architettura, Legge Merloni
«Tempo addietro si parlava di architettura, dei suoi aspetti culturali, dei linguaggi, del movimento moderno, del suo superamento, delle tendenze ecc..
Il punto qui non è tanto il dibattito in sé ed i fermenti che caratterizzavano 20 o 30 anni fa il mondo dell'architettura, quanto il fatto che quel dibattito e quei fermenti presupponevano l'esistenza dell'architettura: questa era un dato di fatto che nessuno si sognava di mettere in discussione.
Il dibattito riguardava il "come" fare architettura, ed in seconda battuta "per chi" e "perché". È da notare come l'ultimo movimento culturale significativo in Italia sia stato il post-moderno.
L'introduzione della Legge Merloni, non in quanto a corpo normativo volto a regolamentare l'appalto di Opere Pubbliche (necessità riconosciuta pressoché da tutti), ma per una serie di sue specificità, ha prodotto un vero e proprio trauma nel mondo dell'architettura italiano. Di fatto ha spostato l'intero asse di interesse e dibattito dal "come, per chi e perché" al "se, cosa e perché".
La Merloni, relativamente alla progettazione, ha operato su tre fattori chiave: l'assimilazione delle più svariate categorie di opere all'interno dell'unica grande famiglia delle Opere Pubbliche, il curriculum professionale ed i requisiti economici ed organizzativi dei candidati. In questo quadro due sono gli elementi che saltano all’occhio: i limiti, pressoché invalicabili per la maggior parte di architetti e studi professionali, posti al cosiddetto "libero mercato" e la relegazione del progetto all'ultimo posto della sequenza procedurale.
Di fatto si è realizzato un mercato ristretto, accessibile a quei professionisti e studi professionali dotati di curriculum ventennali in Opere Pubbliche (cioè, in pratica, gli stessi della "prima repubblica") ed alle potenti società di ingegneria, dotate di relazioni e mezzi capaci di acquisire "nomi" e relative referenze: i giovani esclusi al 100%.
[…]
Il colpo di grazia all'architettura viene inflitto, paradossalmente, con i concorsi. La Merloni, tra le procedure, contempla anche i concorsi, ma, e nemmeno tanto velatamente, come procedura eccezionale, e dunque come tutte le eccezioni, serve unicamente a confermare la regola».
Paolo Perotti, 05 dicembre 2002
La legge Merloni introduceva, tra le altre cose, il sistema dei concorsi. A loro volta i concorsi possono essere suddivisi tra loro, genericamente, in concorsi di idee, concorsi di progettazione e concorsi ad affidamento. Dall’introduzione della Merloni gli enti pubblici non poterono più affidare lavori a destra e sinistra senza un regolare concorso. Fin qui quindi una buona legge.
Peccato che in Italia di concorsi di idee o di progettazione, concorsi cioè dove il professionista è chiamato a redigere un lavoro, lavoro che poi verrà giudicato da una commissione qualificata e garantita da rappresentanti degli ordini professionali, anche dopo l’introduzione della 109/94 non se ne sono fatti moltissimi. Il 90% circa – dicono i forum sui concorsi – delle opere pubbliche italiane vengono affidate a curriculum. Ma scusate chi pensate che può possere un curriculum vincente se non chi lavorava anche prima dell'introduzione della legge con il vecchio sistema clientelare? Come fanno quindi un giovane architetto o un giovane ingegnere italiani a costruirsi un loro proprio curriculum – attenzione si parla, ovviamente, non di curriculum scientifici e accademici, e nemmeno di curriculum fatto di grandi partecipazioni e collaborazioni, si parla di lavori dove si è stati burocraticamente responsabili – se i lavori continuano a essere affidati a chi ha lavorato negli anni ’70-’80-’90, cioè negli anni nei quali vigeva il sistema clientelare contro il quale la legge è nata?
Ho trovato per caso questo intervento di qualche anno fa su un forum dedicato ai concorsi e ne riporto una parte. Spero stimoli il dibattito su un problema che tocca direttamente tutti i comuni e gli enti di questa nostra Italia.
Concorsi, architettura, Legge Merloni
«Tempo addietro si parlava di architettura, dei suoi aspetti culturali, dei linguaggi, del movimento moderno, del suo superamento, delle tendenze ecc..
Il punto qui non è tanto il dibattito in sé ed i fermenti che caratterizzavano 20 o 30 anni fa il mondo dell'architettura, quanto il fatto che quel dibattito e quei fermenti presupponevano l'esistenza dell'architettura: questa era un dato di fatto che nessuno si sognava di mettere in discussione.
Il dibattito riguardava il "come" fare architettura, ed in seconda battuta "per chi" e "perché". È da notare come l'ultimo movimento culturale significativo in Italia sia stato il post-moderno.
L'introduzione della Legge Merloni, non in quanto a corpo normativo volto a regolamentare l'appalto di Opere Pubbliche (necessità riconosciuta pressoché da tutti), ma per una serie di sue specificità, ha prodotto un vero e proprio trauma nel mondo dell'architettura italiano. Di fatto ha spostato l'intero asse di interesse e dibattito dal "come, per chi e perché" al "se, cosa e perché".
La Merloni, relativamente alla progettazione, ha operato su tre fattori chiave: l'assimilazione delle più svariate categorie di opere all'interno dell'unica grande famiglia delle Opere Pubbliche, il curriculum professionale ed i requisiti economici ed organizzativi dei candidati. In questo quadro due sono gli elementi che saltano all’occhio: i limiti, pressoché invalicabili per la maggior parte di architetti e studi professionali, posti al cosiddetto "libero mercato" e la relegazione del progetto all'ultimo posto della sequenza procedurale.
Di fatto si è realizzato un mercato ristretto, accessibile a quei professionisti e studi professionali dotati di curriculum ventennali in Opere Pubbliche (cioè, in pratica, gli stessi della "prima repubblica") ed alle potenti società di ingegneria, dotate di relazioni e mezzi capaci di acquisire "nomi" e relative referenze: i giovani esclusi al 100%.
[…]
Il colpo di grazia all'architettura viene inflitto, paradossalmente, con i concorsi. La Merloni, tra le procedure, contempla anche i concorsi, ma, e nemmeno tanto velatamente, come procedura eccezionale, e dunque come tutte le eccezioni, serve unicamente a confermare la regola».
Paolo Perotti, 05 dicembre 2002
lunedì 3 novembre 2008
2500 volte grazie
Anche a ottobre sfondiamo quota 2500 visite. Grazie a voi tutti dell'aiuto, del contributo, o della semplice visita, speriamo che continui a essere un luogo di dibattito o semplicemente di incontro.
domenica 2 novembre 2008
Giornata della memoria degli Insubri
Non sono leghista e non lo sarò mai, la Lega, almeno per quello che è diventata negli ultimi anni racchiude in se tutto il contrario del pensiero delle persone del nord, nonè la testa del nord è la pancia. Da un po' di anni cavalca le paure della gente cercando di individuare nel diverso il capro espiatorio di ogni cosa mal gestita, salvo poi, quasi sempre, non riuscire a gestire niente una volta chiamati a farlo. Ha tagliato i pochi rami buoni e fruttuosi per mantenere i rami secchi, ha centralizzato il potere su Varese e dintorni, ma il Veneto continua a votare più di prima. No, il leghismo non c'entra niente con la cultura del nord. Il leghismo è la pancia del nord.
Per questo non ho problemi a pubblicare spesso redazionali che a prima vista potrebbero sembrare leghisti. Per me non lo sono. La cultura insubre, a me piace più dire la cultura milanese, è di tutti, siano essi di destra o di sinistra, e anzi credo che la sinistra italiana dovrebbe recuperare moltissimo del tempo perduto soprattutto al nord per colpa di una dirigenza romana spesso lontanissima dai problemi della gente.
Ricevo dall'associazione Domà Nunch un editoriale di Lorenzo Banfi che qui di seguito, con una certa dose di sana ironia, ma non solo, pubblico.
Come sempre, la festa di Samonios è un prezioso momento di riflessione su tutto ciò che sta accadendo e, soprattutto, su ciò che noi siamo o siamo diventati.
Spegnere i fuochi per lasciare che l'irrazionale, il non conosciuto, entrino in noi per un tempo limitato, ma ci consentano di fare i conti con la totalità del nostro essere, sia quello controllato e ragionevole della luce del Sole, sia quello notturno, imprevisto, oscuro; questo è il capodanno.
Ma si tratta anche di una festa comunitaria, che noi di Domà Nunch, come sempre, celebreremo con lo spegnimento delle luci, e staremo insieme, nell'attesa che i due mondi, quello luminoso e dalle forme definite e quello oscuro, popolato dall'indefinito e dal non visibile, vengano in contatto.
Ricapitoleremo la nostra attività, valutando situazioni e progressi, preparandoci per il nuovo anno rinvigoriti e nella speranza che sempre nuove forze ci raggiungano nella dura battaglia che da anni combattiamo, quella per la rinascita della nostra Terra d'Insubria e della nostra Nazione.
E, in seno a questa lotta, molto stiamo facendo per presidiare alcuni di quelli che per noi sono punti chiave della nostra identità: la lingua e la storia.
Per questo, stanno prendendo il via i progetti didattici della Scòla Insubra, ma molto dovremo lavorare per conseguire quello che è il nostro obiettivo, cioè l'insegnamento della nostra lingua nelle scuole insieme alle nostre tradizioni, alla nostra storia... E questo è un carattere che fortemente ci differenzia dalle sedicenti formazioni ecologiste che tutti ben conosciamo: il considerare la comunità umana come parte integrante dell'ecosistema e per ciò stesso da tutelare e difendere.
La nostra Storia, elemento essenziale della nostra identità. Ma, prima ancora che nelle scuole, è nella vita di tutti i giorni che dobbiamo essere testimoni della nostra appartenenza alla nostra Nazione, alla nostra Terra. E questo possiamo farlo ricordando, durante l'anno, le date che scandiscono momenti importanti dell'epopea Insubre.
A partire dal primo giorno dell'anno, il Primo di Novembre, che oltre a coincidere con i giorni dei festeggiamenti di Samonios, evoca un momento triste della nostra storia, ma comunque un momento da ricordare: la morte del Duca Francesco II e la fine dell'indipendenza del Ducato di Milano, l'entità politica che per la prima volta, dall'assorbimento dell'Impero Insubre nel mondo romano, aveva riunificato i popoli che lo avevano composto.
È per questo che abbiamo definito il Primo Novembre, Giorno della Memoria degli Insubri, per non dimenticare quella data infausta che segna l'avvento della lunga notte della nostra Nazione, perché proprio ricordando, si fa in modo che il giorno possa tornare.
Ecco che una delle prime cose che faremo, nel prossimo anno, sarà quella di pubblicare sul Dragh Bloeu un calendario insubre, con le date più significative per la nostra storia e per la nostra cultura.
Per non dimenticare, per ricordare, sempre chi siamo.
Abbraccio voi tutti Fratelli e Sorelle d'Insubria, nell'augurarvi un buon nuovo anno e un sempre maggiore impegno nella lotta per la nostra Insubria.
Per questo non ho problemi a pubblicare spesso redazionali che a prima vista potrebbero sembrare leghisti. Per me non lo sono. La cultura insubre, a me piace più dire la cultura milanese, è di tutti, siano essi di destra o di sinistra, e anzi credo che la sinistra italiana dovrebbe recuperare moltissimo del tempo perduto soprattutto al nord per colpa di una dirigenza romana spesso lontanissima dai problemi della gente.
Ricevo dall'associazione Domà Nunch un editoriale di Lorenzo Banfi che qui di seguito, con una certa dose di sana ironia, ma non solo, pubblico.
Come sempre, la festa di Samonios è un prezioso momento di riflessione su tutto ciò che sta accadendo e, soprattutto, su ciò che noi siamo o siamo diventati.
Spegnere i fuochi per lasciare che l'irrazionale, il non conosciuto, entrino in noi per un tempo limitato, ma ci consentano di fare i conti con la totalità del nostro essere, sia quello controllato e ragionevole della luce del Sole, sia quello notturno, imprevisto, oscuro; questo è il capodanno.
Ma si tratta anche di una festa comunitaria, che noi di Domà Nunch, come sempre, celebreremo con lo spegnimento delle luci, e staremo insieme, nell'attesa che i due mondi, quello luminoso e dalle forme definite e quello oscuro, popolato dall'indefinito e dal non visibile, vengano in contatto.
Ricapitoleremo la nostra attività, valutando situazioni e progressi, preparandoci per il nuovo anno rinvigoriti e nella speranza che sempre nuove forze ci raggiungano nella dura battaglia che da anni combattiamo, quella per la rinascita della nostra Terra d'Insubria e della nostra Nazione.
E, in seno a questa lotta, molto stiamo facendo per presidiare alcuni di quelli che per noi sono punti chiave della nostra identità: la lingua e la storia.
Per questo, stanno prendendo il via i progetti didattici della Scòla Insubra, ma molto dovremo lavorare per conseguire quello che è il nostro obiettivo, cioè l'insegnamento della nostra lingua nelle scuole insieme alle nostre tradizioni, alla nostra storia... E questo è un carattere che fortemente ci differenzia dalle sedicenti formazioni ecologiste che tutti ben conosciamo: il considerare la comunità umana come parte integrante dell'ecosistema e per ciò stesso da tutelare e difendere.
La nostra Storia, elemento essenziale della nostra identità. Ma, prima ancora che nelle scuole, è nella vita di tutti i giorni che dobbiamo essere testimoni della nostra appartenenza alla nostra Nazione, alla nostra Terra. E questo possiamo farlo ricordando, durante l'anno, le date che scandiscono momenti importanti dell'epopea Insubre.
A partire dal primo giorno dell'anno, il Primo di Novembre, che oltre a coincidere con i giorni dei festeggiamenti di Samonios, evoca un momento triste della nostra storia, ma comunque un momento da ricordare: la morte del Duca Francesco II e la fine dell'indipendenza del Ducato di Milano, l'entità politica che per la prima volta, dall'assorbimento dell'Impero Insubre nel mondo romano, aveva riunificato i popoli che lo avevano composto.
È per questo che abbiamo definito il Primo Novembre, Giorno della Memoria degli Insubri, per non dimenticare quella data infausta che segna l'avvento della lunga notte della nostra Nazione, perché proprio ricordando, si fa in modo che il giorno possa tornare.
Ecco che una delle prime cose che faremo, nel prossimo anno, sarà quella di pubblicare sul Dragh Bloeu un calendario insubre, con le date più significative per la nostra storia e per la nostra cultura.
Per non dimenticare, per ricordare, sempre chi siamo.
Abbraccio voi tutti Fratelli e Sorelle d'Insubria, nell'augurarvi un buon nuovo anno e un sempre maggiore impegno nella lotta per la nostra Insubria.
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