domenica 11 dicembre 2011

Degrado a Garbatola. Un paese sotto assedio



“[…] Oltre agli ambienti fatiscenti e pericolanti, mi lascia perplesso la mentalità piuttosto addormentata della gente, pur essendo tanto vicini alla Città. Anche l’Amministrazione Comunale si disinteressa della frazione […]. Un insediamento umano di 1600 abitanti con strade senza luce elettrica, non asfaltate, senza posta, con un armadietto farmaceutico, con la banca aperta due mattine è un fatto difficile da capire. Molti giovani hanno sbagliato l’indirizzo di studio, scegliendo una strada che certamente non offre sbocchi lavorativi […]. Anche in loro sussiste una specie di complesso di inferiorità, di pessimismo, per cui ritengono che in paese non posso cambiare nulla. Mancando le strutture e in un ambiente dalle acque stagnanti la droga è di casa. Parecchi sono i tossicodipendenti e non mancano gli spacciatori”.
(Garbatola, 1984)

Cari amici dopo tanto tempo torno a scrivere su questo blog. L’avevo lasciato alle scorse elezioni municipali, quando insieme a un gruppo di pazzi abbiamo provato a dire qualcosa, a svegliare dal torpore i nostri concittadini. Mi sono fermato qualche mese e ora sono deciso più che mai a riprendere e a continuare.
Ricomincio da dove ci siamo lasciati, cioè dalla quotidianità di un paesello di periferia, nella galassia Altomilanese, a pochi chilometri da quello che mai sarà l’Expo 2015 e a pochi chilometri da Milano. Proverò come al solito, perché è il mio lavoro oltre che la mia passione, a mettere sul tavolo un problema e poi a cercare di capire se una soluzione possibile può passare dall’architettura, dall’urbanistica, dalla progettazione.
Così ho scelto di aprire con le parole di un sacerdote che si trovò quasi per caso nel 1984 a gestire una soluzione difficile come quella attuale. Purtroppo ancora oggi, dopo quasi trent’anni, quelle parole risuonano e rimbombano più vive che mai.
Due anni fa denunciai ai carabinieri delle stazioni vicine di Parabiago e Lainate, e alle relative amministrazioni comunali, la presenza costante di spacciatori nei boschi che circondano Garbatola. Si sa dove sono, a che ora sono presenti, chi sono gli avventori. Basta andare a fare jogging, o a camminare, nei campi limitrofi al paese e facilmente si riesce a ricreare una mappa precisa dello spaccio e del consumo. Di recente, poi, tutta una serie impressionante di furti sta assediando il borgo e quasi tutte le villette del paese sono state “visitate”. Si muovono al buio, dalle 18 in avanti, saltano da un muro all’altro senza passare dalle strade, scavalcando i confini delle villette stesse.

Un fatto nuovo? Purtroppo no, e basta rileggere le parole di quel sacerdote santo per capirlo. Per qualche anno, per un paio di decenni, la situazione è decisamente migliorata, ora di nuovo il buio. Cosa fare? Bisogna davvero chiudersi in casa, reagire con la forza, sprangare gli usci e le finestre e magari armarsi o c’è un altro modo? Ci porterebbe davvero lontano la reazione americana, da far west, al problema?
Alla metà degli anni ’80 la soluzione fu sociale (fu la Chiesa a caricarsi sulle spalle le mancanze dell'Amministrazione) e architettonica. La parrocchia demolì i vecchi ambienti e costruì un nuovo oratorio, un nuovo campo da basket, un nuovo salone teatro, quindi organizzò tornei, feste e centri estivi, e la situazione migliorò.
A distanza di trent’anni, tuttavia, ci siamo di nuovo. Il centro del paese si è svuotato, i negozi hanno chiuso quasi tutti, le corti prima abitate da vecchie signore ora sono vuote e fatiscenti. L’unica pizzeria d’asporto fa fatica a restare aperta perché gli abitanti sono pochi e dalle 18.00 in avanti quasi nessuno esce di casa. Il martedì, poi, quando è chiuso il bar, beh sembra di essere nel far west. Solo gatti e gente che si muove nell'ombra. Gli abitanti si muovono solo in auto, i marciapiedi non esistono. La piazza è la stessa di quegli anni, non è mai stata pedonalizzata, ed è invecchiata e quindi è più fatiscente di prima. Quanto ho scritto di quella piazza in questi anni e che risultati abbiamo ottenuto? Un concorso al quale ovviamente ho partecipato, con un gruppo di amici del paese, e con l’ex sindaco (anche proprio per dare un segnale importate di condivisione – dato che per anni abbiamo militato su sponde politiche opposte), per cercare da dentro di dare una risposta e al quale sono arrivato ultimo per “scarsa conoscenza del territorio”!!! Ma vi rendete conto? “Mancando le strutture e in un ambiente dalle acque stagnanti la droga è di casa”. Forza svegliamoci, reagiamo, scriviamo, urliamo il nostro sdegno!

(continua)

venerdì 8 aprile 2011

Una proposta per la viabilità



Di seguito trovate un piccolo pensiero sulla viabilità dei nostri paesi, in generale, con ovviamente con qualche richiamo alla viabilità nervianese. In tempo di elezioni e di proclami chissa' che alcune cose si possano condividere davvero.

Prima di parlare di viabilità in modo più o meno creativo, rivoluzionario, innovativo, sempre che si possa parlare di innovazione in campo viabilistico, bisogna avere presente un concetto fondamentale: i nostri paesi hanno una struttura centrale antica che da secoli è pressoché congelata, una struttura che almeno a partire dal XVI secolo è rimasta sempre la stessa. Basta infatti consultare velocemente le carte storiche del ‘500, del ‘600 o del ‘700 per comprendere come il sistema viario centrale, non solo il disegno planimetrico delle vie, ma anche il calibro delle strade siano rimasti sostanzialmente gli stessi. È evidente quindi come una struttura viaria concepita per i contadini e gli artigiani che abitavano il borgo, per qualche carretto, qualche animale e per il passaggio di una o due carrozze al giorno non possa reggere oggi l’assedio di centinaia e centinaia di automobili, furgoncini, suv, camion, ogni ora.
Troppo spesso nei nostri paesi stante la mancanza di piste ciclabili, di marciapiedi, o generalmente di una moderna cultura ciclopedonale, si ricorre all’uso all’automobile per ogni cosa: per spostarsi da casa verso i servizi ai cittadini, da casa al bar, a scuola, alla palestra, ecc, e quel che è gravissimo è che lo si fa anche per percorsi inferiori ai 500 m! Questo fenomeno è ancora più grave ed evidente nelle frazioni, dove troppo spesso per andare da Villanova a Garbatola (meno di 500 m) o per andare in chiesa la domenica si ricorre all’uso dell’auto. È evidente quindi che i problemi legati alla viabilità di un paese grande ma antico e fragile come Nerviano, se si vuole contemporanemante mantenere la memoria del centro storico e insieme garantire scorrevolezza nelle zone periferiche sono problemi di nuovo da e prendere in considerazione separatamente: da un lato quindi è il problema strutturale del sistema di circolazione interno ai borghi antichi, dall’altro quello delle infrastrutture di circolazione esterna.

Nel primo caso noi pensiamo che si debba progressivamente approdare a una cultura ciclopedonale matura, incentivando l’uso della bicicletta, la riduzione del traffico veicolare è sempre infatti direttamente proporzionale all’agevolazione del transito di biciclette e di pedoni. Bisognerà quindi lavorare in simbiosi e in collaborazione con le scuole e con le associazioni presenti sul territorio, insegnando la cultura della bicicletta, disegnando piste ciclabili, mettendo in sicurezza le strade, realizzando depositi appositi per le biciclette alle fermate degli autobus (completamente assenti), nei pressi dei cimiteri (da potenziare), presso le scuole e le sedi municipali. Per disincentivare l’uso dell’automobile, nei sistemi viabilistici centrali, non è necessario impedire del tutto il transito veicolare, si potrebbero da un lato sperimentare un nuovo sistema di vie a senso unico, come nelle frazioni, e insieme provare a realizzare la zona 30 km/h, come negli altri paesi europei, integrando percorsi pedonali e ciclabili, che lo stesso PGT vigente prevede, e approdare per gradi a una situazione diversa, più matura (come a Ferrara, modello italiano per eccellenza, o in molti paesi e città virtuosi). Nel caso invece della circolazione esterna certamente molte cose sono previste dal PGT si tratta pertanto di operare muovendosi su una doppia linea di governo: da un lato cercando di attuare le previsioni di PGT, che porteranno a decongestionare alcune situazioni al collasso, come avviare le sperimentazioni dei sensi unici in via Roma e viale Villoresi, o decongestionare il sistema di via Giovanni XXIII o via XX Settembre, tra le più congestionate, dall’altro bisogna cercare soluzioni alternative, come la trasformazione di strade poderali in mini tangenziali (ancora esistenti soprattutto a Garbatola e S.Ilario).

In generale crediamo che la questione viabilistica, posti alcuni paletti come quelli sopradescritti, paletti entro i quali è indispensabile muoversi, sia una di quelle questioni da affrontare insieme alla cittadinanza, cercando il più ampio consenso possibile attraverso assemblee pubbliche, ma anche attraverso sondaggi, questionari aperti e chiusi, indagini conoscitive personali, ecc.

lunedì 4 aprile 2011

Una proposta per gli uffici tecnici



Da più punti di vista quello che tutti, cittadini, imprese, associazioni, chiedono alle pubbliche amministrazioni è snellire le procedure. In un mondo così diverso da quello del primo dopoguerra, nell’era della comunicazione veloce di internet al posto di fax e raccomandate, dei talk show al posto dei comizi, del telefonino portatile che ti raggiunge ovunque al posto del telefono fisso al bar del paese e della cabina a gettoni, mentre cioè tutto cambia e i rapporti si velocizzano all’impossibile, con il problema della tenuta degli stessi ma ne parleremo un’altra volta, il rapporto tra i cittadini e le amministrazioni pubbliche è sempre quello e il processo di snellimento invocato da tutti i politici si scontra sempre inesorabilmente con le altre mille leggi precedenti mai abrogate, con il retropensiero di alcuni tecnici, con la prassi amministrativa, ecc. E allora capita che le comunicazioni – non mi riferisco a Nerviano o solo a Nerviano – tra tecnici e Comune siano legate alla presenza di un fax: o un tecnico ha un fax – praticamente inutilizzato tutto l’anno – altrimenti le comunicazioni ufficiali non possono arrivare altro che non via posta – con conseguente spreco di soldi tempo ecc –. E la posta certificata? Non ci hanno obbligato ad avercela entro una data fissata altrimenti non avremmo potuto... Niente, quasi sempre la risposta è quella: “mi spiace non l’abbiamo...”.

In questi giorni – per fortuna sono riuscito a prendermi due giorni di vacanza – ho pensato a come potere snellire, in seguito a una quasi impossibile vittoria elettorale del gruppo con cui ho accettato di collaborare, l’apparato e i servizi tecnici edili comunali.
Intanto è fondamentale la presenza di un assessore che sappia prendersi responsabilità – Nerviano in questi ultimi 5 anni non ha avuto un assessore all’edilizia! –, una figura che sappia dialogare con i tecnici non lasciando loro troppe responsabilità, altrimenti si rischia giustamente di cadere nell’applicazione pedissequa della norma, ed essendoci mille norme spesso contrastanti capirete che si rischia l’attuale paralisi. Poi in secondo luogo si potrebbero cancellare alcuni regolamenti, come il regolamento locale di igiene; mi chiedo esiste già un regolamento che è quello regionale, quello lombardo è già iper restrittivo, che senso ha allora farne un altro comunale ancora più restrittivo? Magenta non ne ha uno, Monza non ne ha uno, per citare due casi che ho conosciuto recentemente, entrambe si riferiscono a quello regionale. Si potrebbero togliere anche altre piccole norme, sia per le zone di espansione che per le aree storiche: l’uomo è fatto per la legge o la legge per l’uomo? A fronte di questa semplificazione bisognerebbe, per contro, dare molto più peso a Commissioni Architettoniche, commissioni in cui il peso del tecnico comunale dev'essere praticamente nullo e dove si dovrebbero giudicare solo la composizione e l’estetica dei progetti. Proprio ieri tornando dall’Alto Adige notavamo la differenza tra quella provincia e quella di Trento: nella prima edifici moderni, con tetto o senza tetto, con portici o senza portici, ma sempre edifici moderni, nella seconda spesso si cade in approcci vernacolari e tradizionalistoidi. Perchè? Anche da noi è così: il moderno non esiste, di post moderno non ne parliamo, di nuove tendenze nemmeno l’ombra. E allora perché non avviare una fase diversa, perché non dare grossi incentivi e deroghe, di superficie, volumetria, ecc – ecco magari non di altezza, così i fan del normare tutto sono contenti –, a chi produce un costruisce in modo moderno – e che sia moderno o meno lo potrebbe giudicare quella commissione di esterni, di dottori, di ricercatori, posto che poi lo vedrebbero tutti – e per contro invece cercando di fermare chi invece persiste in una logica antistorica? Nerviano non sarebbe più un paesone più o meno tranquillo del nord milanese, ma un bel paesone antico sulle rive del fiume Olona con una sua forte spinta innovatrice al di fuori dal suo centro.

Vi è infine poi un’ultima questione legata allo snellimento delle pratiche. Io penso che i tecnici comunali debbano essere completamente, o quasi, deresponsabilizzati e che tutta la responsabilità del costruito debba ricadere sui progettisti. Quest’idea tra l’altro sta’ proprio alla base della nuove e vecchie norme, dia, scia, ecc: l’architetto assevera, consegnando in comune un progetto, che entro 30 giorni si darà inizio ai lavori come indicato nel progetto. Cosa succede oggi a Nerviano? Succede che il controllo preventivo è totale. La dichiarazione di inizio attività è praticamente una richiesta di permesso, il tecnico o i tecnici la guardano, la sviscerano, spessissimo la fermano preventivamente, poi solo quando amministrativamente e normativamente, e loro giustamente non hanno responsabilità sul processo, allora si concede che si possa costruire. Controlli successivi? Zero.
Perché invece non favorire e spingere fortemente verso un’inversione di tendenza: perché non snellire tutto e non controllare preventivamente quasi nulla – ho detto quasi – e non istituire il controllo in cantiere da parte dei tecnici come prassi? Il lunedì, il mercoledì e il venerdì mattino potrebbero essere dedicati al ricevere i tecnici – un giorno in più dei miseri due di oggi, e magari previo appuntamento telematico –, poi il martedì e il giovedì mattino dedicati alle visite, sopralluoghi inquisitori, in cantiere. Vi rendete conto di che portata avrebbe una rivoluzione del genere? Il lavoro del tecnico comunale in ufficio sarebbe minimo e invece sarebbe più importante il suo lavoro fuori. Sapete quanti abusi piccoli e grandi si eviterebbero! Per contro vi rendete conto di quanto si velocizzerebbe il processo edilizio e di come sarebbe tutto meno ipocrita! Un mese per un progetto, progetto che però viene seguito dal vivo anche da un tecnico comunale... Impossibile? Non penso proprio, credetemi è possibilissimo, basta volerlo...

giovedì 31 marzo 2011

Elezioni amministrative Nerviano 2011



La prima persona a cui ho voluto dirlo è un ex avversario in mille battaglie ora caro amico, una persona che stimo più di tantissimi altri amici, una persona come si diceva una volta tutta d’un pezzo, ma nel vero senso della parola, credetemi... Poi ci sono stati gli amici più vicini, e ora tutti voi.
Da un po' di giorni collaboro con loro ma solo pochi giorni fa l'ho deciso: ho deciso di aiutare un amico in una battaglia impossibile, una di quelle battaglie che vale la pena di combattere proprio perché apparentemente perdenti in partenza! Ho deciso di aiutare Francesco Pompa nella sua campagna elettorale per le elezioni amministrative del prossimo maggio dando la disponibilità a diventare, eventualmente, suo assessore tecnico ai lavori pubblici, all’edilizia e alle frazioni.
Una scelta facile? No per niente.

Cosa mi ha spinto a compiere questa scelta?
Di primo acchito direi l’amicizia e la stima, reciproca, che ho verso Francesco, ma sarebbe riduttivo rispetto i rischi che questa mia posizione porta con se. Per un professionista è certamente più facile stare nascosto, soprattutto in queste terre settentrionali dove con l’urbanistica si spostano centinaia di migliaia di euro; stare in disparte, come fanno quasi tutti, veicolare da dietro, spostare voti, indici – intesi come indici di edificabilità – tutto sarebbe più facile piuttosto che mettersi a nudo e dire io ci sto. Mettersi a nudo, infatti, vuol dire porgere il fianco a mille critiche, vuol dire crearsi mille nemici, vuol dire esser vulnerabili. Poi di colpo ho pensato alla candidatura di Boeri a Milano e ho preso coraggio. Perché no? Perché un architetto non può mettersi in prima persona? Perché stare dietro come tutti gli altri? Il candidato sindaco non avrei potuto farlo questa volta, troppo tempo rispetto il poco disponibile tra lavoro, studio, impegno sociale, ma la disponibilità ad aiutare da fuori perché no?

Vi sono poi le questioni personali, di sentimento, che mi spingono ad aiutare una lista nata nella società civile, fuori dagli attuali partiti, nata tra gente impegnata nelle società sportive, negli oratori, nelle associazioni, certamente una lista che ha ben chiaro quali sono i suoi valori e qual’è la tradizione culturale dalla quale proviene, che cioè ha al suo interno molte persone vicine alle mie idee politiche e, perché no, altri, per contro, con esperienze diverse. Una lista cioè libera!

Infine, se volete, ci sono poi questioni più di borgata, come il fatto che l’attuale amministrazione seppur vicina e molto vicina alle mie idee politiche non abbia mai, e dico mai, accolto le mie proposte, non abbia valorizzato i lavori svolti, le tesi effettuate all’università, i laboratori progettuali su Nerviano, le proposte progettuali su temi di prima importanza; poi gli attacchi personali quando fondammo i laboratori democratici cui partecipavano persone che volevano ricercare una via alternativa, sperimentale, nella galassia del centro sinistra; poi il non avere accettato una ricerca – gratuita – che ho condotto con alcuni studenti sulla piazza di Garbatola e sul borgo antico – vedi post sul concorso di piazza don Musazzi –, ricerca che ora è un libro in bozza, nel senso che questa amministrazione non ha in cinque anni trovato cinquemila euro da spendere per la sua pubblicazione, anzi ha speso i soldi che le precedenti amministrazioni avevano accantonato, ma ha trovato cinquemila euro per dieci minuti di spettacolo degli Harlem Globetrotters – e sarebbe una giunta di sinistra? –; poi gli attacchi e gli scontri tra questa amministrazione e i miei carissimi amici dell’ex Collettivo Oltre il ponte; poi la battaglia contro la legalizzazione di un reato tangentista; poi il fatto che per la prima volta un candidato sindaco sia uscito prima delle elezioni con la sua squadra di governo tutta! Insomma una serie di cose che mi hanno spinto a dire si a Francesco, a dirmi disponibile ad aiutarlo, a dire si a un progetto strano, assurdo, impossibile e per questo bellissimo!

mercoledì 9 febbraio 2011

W l'Italia del Bunga Bunga

E mentre in Italia esce Immaturi, film in parte divertente, in parte nostalgico che parla di una giovinezza passata che mai tornerà, nonostante il sogno che ognuno di noi ha dentro di rimanere giovane, di rifare il Liceo, ecc, beh in Spagna, nonostante la crisi economica, crisi che si riversa ovviamente anche sulla cultura e sulla ricerca, beh almeno in Spagna provano a fare appunto un poco di ricerca.

Non se ne può proprio più di questa Italia attaccata alle polemiche, attaccata agli scontri di partito o agli scontri politici in generale; non se ne può più di questa Italia in perenne campagna elettorale dove però non si capisce chi sta da una parte, chi sta dall’altra, chi sta con i cittadini; non se ne può più di questa Italia mediocre che crede che un architetto, un pittore, uno scultore, un regista, un musicista, debbano per forza o esser appoggiati politicamente, o capire dove andare a parare prima di fare (se no ti dicono che sei un ingenuo o uno sprovveduto). Ma possibile? Possibile che non si capisca che un architetto, soprattutto un compositore, possa provare gioia semplicemente nell’atto di progettare, nel ragionare con altri amici (non sempre architetti ovviamente) di un luogo, per poi prendere una matita e un foglio giallo e iniziare a riversare quei ragionamenti sulla carta, insomma nel comporre un progetto, almeno quanto un musicista prova gioia nel comporre un’opera, o uno sculture una scultura? Possibile che non si capisca e si voglia trovare lo scoop ovunque (per poi ovviamente dare dei pirla ai poveri compositori se lo scoop non si trova)?
È ovvio che sarebbe tanto meglio se si potesse arrivare alla fine del mese, economicamente si intente, con quei progetti, così come è altrettanto ovvio, che a fronte di cose meno interessanti, decisamente meno interessanti, più di routine (come una canzonetta per San Remo?) che si fanno per vivere, si cerca di farne altre per pura gioia, per mettersi alla prova, per Ricerca personale, o, perché no, per portare a compimento una Ricerca (pensate a provare a pensare alla gioia di un compositore musicale chiamato a lavorare, anche per un concorso fasullo, per fare l’inno del suo paese!). La cosa desolante, semmai, non è il fatto che un concorso sia finanziato o meno, che quel lavoro si farà o mai si farà, ecc, questo è connesso con al lavoro dei progettisti, la cosa desolante sta nel fatto che non si premi mai e poi mai la Ricerca.

E allora in Italia si premiano film come quello di Albanese (per altro interessante nella sua logica generale), o come abbiamo detto film come Immaturi, o altri che sondano le complesse relazioni sentimentali tra uomo e donna, tra fratelli e sorelle, tra mariti e amanti (film che trovano spazio in quasi tutti i multisala, mentre altri film, come Uomini di Dio, sono relegati in pochissime sale con pochissimi posti). Ma è ovvio, siamo l’Italia del Bunga Bunga, che cosa vogliamo pretendere se non film accomodanti, trasmissioni televisive o caciarone o di nuovo accomodanti e rilassanti, cosa possiamo pretendere se non musiche non troppo impegnate o progetti facili da capire e per giunta, ma questo non guasta mai, anche un poco conservatori?

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lunedì 7 febbraio 2011

Sul progetto della piazza di Garbatola



DUNQUE...che gli architetti, o che il singolo Architetto, siano a modo loro degli illusi, dei sognatori, dei plasmatori, perché no dei servi di un committente, beh è un dato di fatto e non bisogna essere civici osservatori per saperlo. Basti pensare, su tutti, che l'architettura, il corpo dell'architettura, nella storia è composto all'80% di progetti e solo al 20% di realizzazioni. Poi, in questo corpo di progetti, c'è un buon 50% di progetti completamente inventati, astratti, futuribili, immaginabili, solo lontamente ipotizzabili e ideali. Qualche esempio? Quante città ideali sono state disegnate nel '400 e quante construite (ed era un periodo florido, ricco)? Sforzinda, la bellissima città ideale progettata da Filarete per Francesco Sforza era una Milano ideale, non era certo un progetto reale per Milano. Ma pensiamo anche alla piazza di Leonardo da Vinci per il Castello Sforzesco, o ai progetti di Bramante per il Vaticano, ai progetti rivoluzionari di Boulle, e via via fino ai tempi nostri, e fino alla miserrima piazzetta garbatolese.
Ora il problema infatti è completamente un altro, almeno il problema affrontato in questo blog: non è un problema politico di fondi, quelli sono cazzi (oopps) di altri, qui si è parlato di architettura. Si è parlato di progetti miserabili riusciti vincitori senza cambiare nulla e di giurie non all'altezza (forse) del compito a loro assegnato. Che poi alla gente servano piste ciclabili, ospedali, scuole, palestre, o semplicemente un lavoro, quello è, di nuovo, super evidente e forse non bisogna essere così sensitivi per accorgersene, basta guardare i conti in banca della gente, le casse integrazioni, i diritti dei lavoratori che vengono continuamente cancellati (soprattutto negli ultimi anni di governo di questa destra rozza e reazionaria).

Concordo invece con gli interventi e i commenti a questo blog sulla presa per il culo che spesso è parte intrinseca dei concorsi. O meglio, se l'Amministrazione avesse detto, in questo caso ma si puo’ certamente pensare ad altri casi simili (moltissimi purtroppo), "facciamo un concorso di idee per iniziare ad affrontare un problema dal punto di vista (appunto) ideale, senza ragionare sulla fattibilità, perché noi al 100% non lo faremo (a meno che veniamo rieletti, allora si vedrà)" beh allora non mi sarei scandalizzato. Invece è passata come l'idea che questo era un progetto vero, un'assegnazione di un incarico e non un semplice invito a presentare delle proposte!
Vorrei riportare quindi la questione su quello che secondo me è il tema centrale, cioè il rapporto tra progetto e lo studio della storia di un luogo, storia con la quale secondo me un progetto ha il dovere, l’obbligo morale, di confrontarsi, e aggiungo che il progetto vincitore, come gli altri, hanno potuto usufruire, in questo caso studio, piu' o meno di un’indicazione della presenza di una chiesa antica, di un oratorio antico (spesso sbagliandosi e per quello spesso sono state riportate sulle tavole di progetto indicazioni sbagliate), grazie a una ricerca ancora in gran parte inedita, che il sottoscritto insieme ad alcuni studenti dell’Università politecnica di Milano ha condotto tre anni fa, e continua a condurre (dato che il Sindaco di Nerviano dopo avere promesso davanti a centinaia di persone che avrebbe finanziato la pubblicazione della stessa poi non l’ha mai fatto) e grazie alla proprietà che ha aperto le porte del fabbricato in questione. A questo punto possibile che il sottoscritto con altri amici siano arrivati penultimi con una motivazione basata sulla scarsa conoscenza dei luoghi? Sapete che l’allora capo ufficio ha chiesto al sottoscritto del materiale storico e cartografico da mettere a disposizione di tutti? E allora come ha fatto la giuria a dire quel progetto non conosce a sufficienza i luoghi o non è adatto (dopo anni di studio, oltre che di residenza, dato che conosco quella piazza e la frequento da circa 37 anni).

E in ultimo invece una cosa importante e fuori di polemica. Io credo davvero che il problema della piazza di Garbatola e il problema delle piazze antiche non sia il problema centrale delle città e dei suoi cittadini, ma credo altresì che sia uno dei problemi più importanti di una comunità, è un problema di identità. Riqualificare una piazza non vuol dire solo fare una cattedrale nel deserto (come si sente spesso dire), è ovvio che Milano ha bisogno di mille servizi, da quelli sociali ai trasporti pubblici ecc, ma è altrettanto ovvio che fare un progetto per il centro di Milano vuol dire confrontarsi con la sua stratigrafia, con la sua storia, vuol dire ridare senso, gioa, volto, memoria a una città, o come in questo caso a in piccolo paese. Riprogettare una piazza non vuol dire, solo, sistemare alla bene e meglio una parte ci città e renderla vivibile, con piante e panchine, ecc, vuol dire dare il la a una serie di operazioni che poi i privati dovranno iniziare a fare, vuol dire parlare al cuore dei cittadini, vuol dire capire e parlare con i nostri antenati, vuol dire compiere un atto di fede, vuol dire capire la nostra storia antica e perché no ripensarla conservandone per sempre la memoria.