giovedì 1 aprile 2010
Una rivoluzione possibile: il modello UPN
Mi piacerebbe che queste ultime tre riflessioni post elettorali venissero lette insieme, come legate da un filo conduttore, la necessità di riformare un sistema. Insieme lungi da me pensare di avere le soluzioni in tasca, in ogni caso penso che un blog può essere anche il luogo delle esperienze personali e, perché no, il mezzo per condividerle, se queste possono servire ad alimentare una discussione, o a scaternarla.
Vorrei così, un po’ per ringraziare chi mi ha aiutato in questi ultimi due anni, un po’ per autocelebrazione, non del sottoscritto ma dell’associazione di cui parlerò, cioè per gasare la squadra in vista dell’estate imminente e delle cose quindi che con quella squadra organizziamo, e infine per provare a dare qualche risposta, portare ai lettori e frequentatori di questo spazio un esempio di come sia possibile attuare una piccola rivoluzione in poco tempo.
Nel piccolo borgo in cui vivo nel 1994 con un amico fondammo una società sportiva, frutto dell’unione di due squadre che piantavano le loro radici nella tradizione sportiva degli oratori milanesi, la piccola squadra di Calcio e quella di pallacanestro. Qualche anno dopo, credo nel 1996, in seguito all’arrivo di Don Alberto Cereda e all’unione della parrocchia di Garbatola con quella di S.Ilario, il paese vicino, alla polisportiva garbatolese unì la ancor più salda tradizione calcistica santilariese – di S.Ilario era il campione degli anni ’70 scomparso precocemente Luciano Re Cecconi –. Dopo il grande lavoro di Don Alberto, anche in vista della sua partenza dopo esser stato giovane atleta e allenatore due anni fa fui nominato presidente della società sportiva, che nel frattempo era stata rinominata in UPN. Già dai primi giorni si capì che quello poteva essere un momento di passaggio verso una nuova gestione, un momento che poteva essere difficile e portatore di cambiamenti. Nessuno però poteva pensare che quel momento sarebbe stato l’inizio di una rivoluzione. Non una rivoluzione nel senso delle cose fatte, quelle sarebbero e sono continuate come prima, i campionati si fanno come prima, gli allenamenti si fanno come prima, le vittorie e le sconfitte sono le stesse di prima, ma una rivoluzione culturale, una rivoluzione del modo di pensare alla società sportiva, una rivoluzione del cuore.
Innanzitutto cominciamo dal principio, dalle basi. La cosa più difficile e macchinosa fu quella di creare la squadra! Non si poteva cancellare il passato, per poi trovarsi da soli in mezzo al deserto, bisognava tenere i vecchi – nel nostro caso anche giovani – ed esperti dirigenti, o allenatori, e insieme bisognava fare pulizia e inserire nei punti giusti, nei punti chiave, anche inventati ad hoc, cioè in base alle capacità di ciascuno, le persone giuste. Due rappresentanti per ogni sport rappresentato nella polisportiva, più due consiglieri direttamente nominati dal presidente, in tutto una squadra di dodici persone. Fatta la squadra, dopo non poche difficoltà, bisognava strutturarci e sistemarci burocraticamente: atto costitutivo, statuto, codice fiscale, iscrizioni a tutti i registri che mancavano, conto in banca, bilanci da sistemare, coordinamento tra le varie anime della società, ecc. Ci è voluto un anno, un anno difficile, in cui molti si sono sacrificati, ma alla fine del 2008 le cose erano pronte per la rivoluzione.
Sistemata l’associazione dal punto di vista burocratico, una prima operazione concreta è stata quella di censire la stessa, per conoscerla capillarmente, per capire “lo stato dell’associazione”: quanti atleti, di che età, quanti dirigenti, quanti allenatori, quando si allenano e quando giocano – per potere essere ogni tanto presente –, ecc. In secondo luogo ho iniziato a partecipare, da osservatore, alle lezioni di danza, alle partite del calcio, ai tornei di pallavolo, ecc. In terzo luogo bisognava avviare una serie di incontri con le varie anime dell’associazione: incontri in cui si sono prima ascoltati i bisogni, le necessità e i problemi di ciascuno, quindi si è iniziata a impartire una certa linea programmatica. Una delle cose più importanti era, per me, far sentire come propria, di ciascun tesserato, dirigente o atleta, un’associazione, e mentre il segretario si occupava di sistemare i conti e le parti burocratiche, e il vicepresidente di mantenere i rapporti con le parrocchie, io decisi di assumere il “dicastero” della propaganda! Lo so che evoca brutti ricordi, e apposta ho usato quel triste termine, perché se letto in chiave democratica e liberale la propaganda è l’unico modo, che almeno io conosco, per arrivare alla gente, e se è il caso per poterle chiedere sacrifici. Credo infatti che per prima cosa bisogna coinvolgere il più possibile la gente, farla sentire parte di una cosa più grande, farla sognare e soprattutto farla lavorare divertendosi! L’avevo sperimentato negli anni delle scuole superiori, quando divenuto rappresentante degli studenti, il secondo anno con l’appoggio di una solida dirigenza organizzammo feste, giornate sportive, manifestazioni, ecc. E allora per prima cosa abbiamo distribuito felpe marchiate UPN, magliette marchiate UPN, allestito banchetti al mercato, alle manifestazioni comunali, partecipato a giochi estivi – abbiamo vinto la coppa, di Zibello, al torneo di calcio balilla umano organizzato dal Comune mentre le nostre ragazze distribuivano cartoline e materiale divulgativo UPN –, organizzato feste, proiettato filmati, ecc.
Parallelamente siamo l’unica associazione sportiva dilettantistica nervianese, o una delle poche, che presenta in assemblea pubblica ai propri iscritti il bilancio e l’attività estiva. Non solo feste e divertimento ma anche lavoro serio. Un’associazione è come un mosaico: ognuno ha un suo ruolo e un suo compito.
Il mese scorso un’insegnante di danza mi ha portato un disegno di una bambina dell’asilo. Il disegno rappresentava la bambina stessa con le sue amiche e compagne di danza e in mezzo a loro un cartello con scritto: forza UPN. Badate che nessuno ha mai parlato ai ragazzi, figuratevi ai bambini o alle bambine dell’asilo di UPN, non c’è tifoseria, ecc, e nonostante questo loro stesse si sono auto inserite in un qualcosa che sentono loro, qualcosa di più di un’associazione, una famiglia, una comunità. E allora proprio quest’estate in occasione delle attività estive che organizzeremo – bar estivo, il ciringuito, tornei di beach volley e basket, serate danzanti e serate rock dal vivo, ecc – lanceremo il nuovo motto, preso in prestito dall’FC Barcelona, che è una sintesi tra senso di appartenenza a una comunità e propaganda schietta: UPN, più di un club!
Ovviamente questo mio è solo un esempio, ma ve ne sono molti altri simili. Perché, quindi, mentre in questo nostro profondo nord le associazioni galoppano a grande velocità nel nuovo millennio, i partiti, anche i partiti maggiori, ormai ridotti a piccole associazioni, tendono invece a fatica a inseguire quello che queste associazioni fanno piuttosto che essere loro stessi un modello di riferimento? Io ho delle risposte personali, risposte che partono cioè dalle persone, da una classe dirigente stanca e spesso lontana dalla realtà che li circonda, non cattive persone ma cattivi dirigenti in un momento di grandi cambiamenti, che il berlusconismo, in Italia, non ha fatto altro che accelerare.
Tutto quello che si è fatto e tutto quello che si farà ancora non sarebbe stato possibile grazie a un gruppo di persone serie, precise e affidabili che comunitariamente ringrazio a una a una!
ps. scusate ma ogni tanto si può anche dire che si sono fatte e si fanno delle cose buone, poi in un momento come questo è tempo di reagire!
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