domenica 9 settembre 2007
Tra antico e moderno, tra rovina e progetto
Lukacs in Breve storia della letteratura tedesca osserva: «[…] il fascismo hitleriano si è abbattuto sulla cultura tedesca come una tempesta annientatrice. Che cosa ne sia stato distrutto, fino a che punto lo sviluppo culturale della Germania sia stato ricacciato indietro da Hitler, si potrà valutare in modo completo solo quando ricomincerà […] la ricostruzione spirituale, morale e culturale della Germania». (György Lukács). Fino a che punto anche il nostro fascismo può avere cancellato la nostra memoria?
Ricordo che mia nonna non conosceva nulla dell’antica chiesina, non ricordava nulla del vecchio borgo. Ricordava benissimo invece la ginnastica fattale praticare da “giovane italiana”, gli inni, le sfilate, la guerra, la fame.
Il caso dell’antico Oratorio de santi Biagio e Francesco non è un caso importantissimo, dalle nobili origini, e non vuole porre Garbatola al centro di chissà quale vicenda, è solo un caso studio, un caso emblematico di un modo diverso di approcciare la storia e di ricostruire la memoria. Dopo anni in cui si è cercato di ricostruire una storia fatta di «[…] damigelle e di frusciare di merletti […]», o di nomi altisonanti, come l’imperatore Nerva o l’imperatore Federico I, è ora il momento di provare a ricostruire una storia reale, non una storia che serva a ricordare i bei tempi passati, ma a risistemare le cose nella nostra memoria collettiva.
Il netto prevalere del valore storico della rovina, del suo valore di testimonianza sul piano storico-architettonico, rispetto quello artistico, cioè sul valore del manufatto visto come opera d’arte ci aiuta nel costruire una storia realista e insieme introduce la questione del progetto: la rovina intesa cioè come punto di partenza e come punto di arrivo. E così solo pensando al valore progettuale della rovina che potremo intendere la ricchezza che in realtà essa custodisce.
La presenza della rovina antica, cioè di un edificio reale, o di ciò che ne resta, di colpo può diventare la pietra di paragone per un nuovo progetto sul manufatto e sulla città. Progetto che può quasi demandare all’edificio antico le risposte che noi moderni non siamo più in grado di, senza per questo dover fingere a tutti i costi che queste risposte gli appartengono. «E così il vecchio diventa una parte inseparabile del nuovo: complementare, proprio per il suo essere una versione sperimentata della virtualità espressa dalla forma imperfetta del nuovo» (Giorgio Grassi).
Ricordo che mia nonna non conosceva nulla dell’antica chiesina, non ricordava nulla del vecchio borgo. Ricordava benissimo invece la ginnastica fattale praticare da “giovane italiana”, gli inni, le sfilate, la guerra, la fame.
Il caso dell’antico Oratorio de santi Biagio e Francesco non è un caso importantissimo, dalle nobili origini, e non vuole porre Garbatola al centro di chissà quale vicenda, è solo un caso studio, un caso emblematico di un modo diverso di approcciare la storia e di ricostruire la memoria. Dopo anni in cui si è cercato di ricostruire una storia fatta di «[…] damigelle e di frusciare di merletti […]», o di nomi altisonanti, come l’imperatore Nerva o l’imperatore Federico I, è ora il momento di provare a ricostruire una storia reale, non una storia che serva a ricordare i bei tempi passati, ma a risistemare le cose nella nostra memoria collettiva.
Il netto prevalere del valore storico della rovina, del suo valore di testimonianza sul piano storico-architettonico, rispetto quello artistico, cioè sul valore del manufatto visto come opera d’arte ci aiuta nel costruire una storia realista e insieme introduce la questione del progetto: la rovina intesa cioè come punto di partenza e come punto di arrivo. E così solo pensando al valore progettuale della rovina che potremo intendere la ricchezza che in realtà essa custodisce.
La presenza della rovina antica, cioè di un edificio reale, o di ciò che ne resta, di colpo può diventare la pietra di paragone per un nuovo progetto sul manufatto e sulla città. Progetto che può quasi demandare all’edificio antico le risposte che noi moderni non siamo più in grado di, senza per questo dover fingere a tutti i costi che queste risposte gli appartengono. «E così il vecchio diventa una parte inseparabile del nuovo: complementare, proprio per il suo essere una versione sperimentata della virtualità espressa dalla forma imperfetta del nuovo» (Giorgio Grassi).
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