lunedì 10 settembre 2007
Un pensiero tra rovina e città moderna
Il rapporto tra monumenti, rovine e vita quotidiana è una questione che sembra «improponibile oggi, anche se l’incuria e il degrado del nostro patrimonio monumentale sono sotto gli occhi di tutti»[1]. Il moltiplicarsi degli scavi e delle scoperte archeologiche, e la crescente importanza della dimensione sotterranea della città, hanno prodotto un sistema diffuso di cicatrici e di ferite: irrisolti spazi di risulta della città moderna, a testimoniare il grave dissidio tra sistemazione architettonica, esigenze di scientificità della conservazione e proseguimento delle campagne di scavo.
Dove proseguire gli scavi? È possibile intendere lo scavo non solo come strumento per cercare nelle viscere dei luoghi la diretta testimonianza di un passato ormai sepolto, ma anche come momento evocativo della città antica e fondativo di quella contemporanea? Esiste infine un rapporto diretto tra gli edifici e il passato che i luoghi in cui sorgono nascondono: «quel passato nel quale inevitabilmente ci imbattiamo quando inizia il primo lavoro richiesto dalla costruzione, cioè lo scavo che precede il processo di fondazione»[2]?
L’instaurarsi di una logica dell’emergenza in occasione di qualsiasi ritrovamento antico, ha finito col disseminare la città contemporanea di un gran numero di ruderi e strutture informi di difficile identificazione, spesso circoscritti da recinzioni e sbarramenti. Riallacciare il rapporto tra composizione architettonica e archeologia urbana, non significa limitarsi «a perseguire compiti come quelli della protezione e dell’ambientamento dei ruderi, ma, al contrario, farsi protagonisti di una “azione sovversiva”. Smontando le apparenti coerenze, isolando i singoli frammenti e riconoscendone l’appartenenza alle diverse sezioni della città stratificata il progetto può identificare le cose e i diversi sistemi formali a cui fanno riferimento»[3].
Cosa intendere quindi per rovina? Rovina può essere un piccolo oratorio abbandonato e trasformato, o una corte assediata da palazzi e villette, rovina è il sedime della strada antica che persiste alle trasformazioni della città; non necessariamente per rovina dobbiamo intendere il grande manufatto classico caduto, appunto, in rovina. Da qui deriva la ferma volontà di riscoprire il senso del passato nella città contemporanea: quel passato che ha perso il suo carattere originario e fondativo, ma che è custodito all’interno della città, quel passato dal quale imparare per costruire la città nuova.
[1] Giorgio Grassi, Teatro Romano di Brescia. Progetto di restituzione e riabilitazione, Documenti di Architettura, Electa, Milano, 2003, p. 7.
[2] Rafael Moneo, La solitudine degli edifici e altri scritti, Vol. II, Sugli architetti e il loro lavoro, Umberto Allemandi & C., Torino, 2004, p. 95.
[3] Angelo Torricelli, Memoria e immanenza dell’antico nel progetto urbano, in Aa.Vv., Archeologia urbana e progetto di architettura, seminario di studi tenutosi a Roma, dal 1 al 2 dicembre 2000, a cura di Maria Margarita Segarra Lagunes, Gangemi Editore, Roma, 2002, pp. 217-236, la citazione da p. 218.
Dove proseguire gli scavi? È possibile intendere lo scavo non solo come strumento per cercare nelle viscere dei luoghi la diretta testimonianza di un passato ormai sepolto, ma anche come momento evocativo della città antica e fondativo di quella contemporanea? Esiste infine un rapporto diretto tra gli edifici e il passato che i luoghi in cui sorgono nascondono: «quel passato nel quale inevitabilmente ci imbattiamo quando inizia il primo lavoro richiesto dalla costruzione, cioè lo scavo che precede il processo di fondazione»[2]?
L’instaurarsi di una logica dell’emergenza in occasione di qualsiasi ritrovamento antico, ha finito col disseminare la città contemporanea di un gran numero di ruderi e strutture informi di difficile identificazione, spesso circoscritti da recinzioni e sbarramenti. Riallacciare il rapporto tra composizione architettonica e archeologia urbana, non significa limitarsi «a perseguire compiti come quelli della protezione e dell’ambientamento dei ruderi, ma, al contrario, farsi protagonisti di una “azione sovversiva”. Smontando le apparenti coerenze, isolando i singoli frammenti e riconoscendone l’appartenenza alle diverse sezioni della città stratificata il progetto può identificare le cose e i diversi sistemi formali a cui fanno riferimento»[3].
Cosa intendere quindi per rovina? Rovina può essere un piccolo oratorio abbandonato e trasformato, o una corte assediata da palazzi e villette, rovina è il sedime della strada antica che persiste alle trasformazioni della città; non necessariamente per rovina dobbiamo intendere il grande manufatto classico caduto, appunto, in rovina. Da qui deriva la ferma volontà di riscoprire il senso del passato nella città contemporanea: quel passato che ha perso il suo carattere originario e fondativo, ma che è custodito all’interno della città, quel passato dal quale imparare per costruire la città nuova.
[1] Giorgio Grassi, Teatro Romano di Brescia. Progetto di restituzione e riabilitazione, Documenti di Architettura, Electa, Milano, 2003, p. 7.
[2] Rafael Moneo, La solitudine degli edifici e altri scritti, Vol. II, Sugli architetti e il loro lavoro, Umberto Allemandi & C., Torino, 2004, p. 95.
[3] Angelo Torricelli, Memoria e immanenza dell’antico nel progetto urbano, in Aa.Vv., Archeologia urbana e progetto di architettura, seminario di studi tenutosi a Roma, dal 1 al 2 dicembre 2000, a cura di Maria Margarita Segarra Lagunes, Gangemi Editore, Roma, 2002, pp. 217-236, la citazione da p. 218.
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