domenica 30 settembre 2007
Un pensiero per il Parco del Roccolo 2
(continua)
Il secondo giorno entriamo da Villapia.
Lascio la macchina nei pressi del canale Villoresi, in uno dei suoi punti più belli, dove dal Canale si dirama il secondario che porta acqua a Vanzago, Pregnana, Cornaredo, Bareggio. Proseguiamo in bicicletta per qualche chilometro lungo l’alzaia del Villoresi poi, lungo uno scolmatore, entriamo in territorio casorezzese, nel cuore del Roccolo.
Ogni tanto compaiono cartelli, il più delle volte ruggini o divelti, ogni tanto si incontrano persone a cavallo, in bicicletta, altri ancora che corrono e il mio amico Maurizio, presidente dell’atletica Casorezzo, dice che moltissimi podisti ogni giorno si allenano lungo quei sentieri e per questo gli piacerebbe che si costruisse un percorso guidato e segnalato.
Certo il percorso segnalato sarebbe un primo passo, ma percorrendo da dentro il Parco del Roccolo ci si accorge che qualcosa non funziona, o non ha funzionato negli anni. Non sono un esperto di pianificazione territoriale, sono un progettista, ma ci vuole poco a capire che qualcosa non va. Solo pochi comuni sentono loro propria la questione del parco? solo pochi comuni stanziano soldi per il parco? cattiva gestione – non tanto per i soldi, che nelle amministrazioni mancano sempre, ma nella programmazione o nella capacità progettuale, penso... –? Non so. Il fatto è che nella pancia del parco il Parco rimane l’unico grande assente.
Progettare un parco, mi dice un’amica, esperta nella pianificazione e dei parchi, è un lavoro da architetto, è come progettare una città, bisogna capire quali sono i percorsi principali, quali quelli secondari, capire dove fare i punti di sosta, i servizi, anche quelli igienici, dove realizzare punti di ristoro. Ricordo che qualche anno fa su un forum nervianese lanciammo l’idea di progettare dei ciringuiti da sistemare sul territorio e anche nel parco: cioè dei piccoli bar, estivi probabilmente, e smontabili l’inverno, magari da far gestire a giovani disoccupati, piccoli punti di aggregazione dove potersi bere un birra o una granita, durante le afose giornate estive. Bisogna poi studiare una segnaletica comune per tutto il parco, progettare futuri ampliamenti del parco stesso– penso all’area nervianese a nord del sempione, tra le frazioni del Comune –, promuovere realmente il parco nelle scuole e sul territorio.
Insomma pensare un parco è come pensare una città, con le sue vie, la segnaletica, i suoi punti di aggregazione, le piazze, e, perché no, i monumenti. Amministrare un parco è come amministrare una città, e quando i soldi scarseggiano e la gente sembra presa da altri mille pensieri, è il momento di inventarsi qualcosa e di organizzare un dibattito serio per capire come salvare un parco che lentamente sta morendo.
Il secondo giorno entriamo da Villapia.
Lascio la macchina nei pressi del canale Villoresi, in uno dei suoi punti più belli, dove dal Canale si dirama il secondario che porta acqua a Vanzago, Pregnana, Cornaredo, Bareggio. Proseguiamo in bicicletta per qualche chilometro lungo l’alzaia del Villoresi poi, lungo uno scolmatore, entriamo in territorio casorezzese, nel cuore del Roccolo.
Ogni tanto compaiono cartelli, il più delle volte ruggini o divelti, ogni tanto si incontrano persone a cavallo, in bicicletta, altri ancora che corrono e il mio amico Maurizio, presidente dell’atletica Casorezzo, dice che moltissimi podisti ogni giorno si allenano lungo quei sentieri e per questo gli piacerebbe che si costruisse un percorso guidato e segnalato.
Certo il percorso segnalato sarebbe un primo passo, ma percorrendo da dentro il Parco del Roccolo ci si accorge che qualcosa non funziona, o non ha funzionato negli anni. Non sono un esperto di pianificazione territoriale, sono un progettista, ma ci vuole poco a capire che qualcosa non va. Solo pochi comuni sentono loro propria la questione del parco? solo pochi comuni stanziano soldi per il parco? cattiva gestione – non tanto per i soldi, che nelle amministrazioni mancano sempre, ma nella programmazione o nella capacità progettuale, penso... –? Non so. Il fatto è che nella pancia del parco il Parco rimane l’unico grande assente.
Progettare un parco, mi dice un’amica, esperta nella pianificazione e dei parchi, è un lavoro da architetto, è come progettare una città, bisogna capire quali sono i percorsi principali, quali quelli secondari, capire dove fare i punti di sosta, i servizi, anche quelli igienici, dove realizzare punti di ristoro. Ricordo che qualche anno fa su un forum nervianese lanciammo l’idea di progettare dei ciringuiti da sistemare sul territorio e anche nel parco: cioè dei piccoli bar, estivi probabilmente, e smontabili l’inverno, magari da far gestire a giovani disoccupati, piccoli punti di aggregazione dove potersi bere un birra o una granita, durante le afose giornate estive. Bisogna poi studiare una segnaletica comune per tutto il parco, progettare futuri ampliamenti del parco stesso– penso all’area nervianese a nord del sempione, tra le frazioni del Comune –, promuovere realmente il parco nelle scuole e sul territorio.
Insomma pensare un parco è come pensare una città, con le sue vie, la segnaletica, i suoi punti di aggregazione, le piazze, e, perché no, i monumenti. Amministrare un parco è come amministrare una città, e quando i soldi scarseggiano e la gente sembra presa da altri mille pensieri, è il momento di inventarsi qualcosa e di organizzare un dibattito serio per capire come salvare un parco che lentamente sta morendo.
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