lunedì 17 settembre 2007

Verso un confronto: la costruzione della pianura

Solo guardando la pianura dall’alto, o astraendosi e leggendola mediante una carta, ci si può accorgere del rapporto tra gli insediamenti della pianura e quella grande opera di ingegneria che è la pianura stessa, fatta di fiumi e laghi ma soprattutto di campi riquadrati dall’uomo, di canali artificiali, di villaggi. Solo attraverso una carta topografica si può capire come la pianura sia stata disegnata e strutturata secondo delle regole, e come molti edifici, o villaggi, che si sono costruiti nella pianura cerchino di rapportarsi tra loro proprio attraverso quelle regole.
La pianura è una sorta di grande macchina, di grande opera di ingegneria che annulla le singolarità e le particolarità. Essa è costruita pensata e realizzata per riorganizzare la vita dell’uomo e per realizzarne i desideri e i bisogni: i romani la disegnarono, la coltivarono e la trasformarono secondo la regola della suddivisione in centuriae, modificandone completamente l’assetto. Dall’area emiliana sino al milanese, dove centuriae e corsi naturali dei fiumi incrociavano le vie di comunicazione più importanti, la via Emilia, la Postumia, il Sempione, si formarono punti di sosta, piccoli insediamenti, che nel tempo divennero, grangie, castellazzi, cascinali, villaggi.

Con i suoi campi, i canali e le sue corti, quelle rurali e quelle urbane, le sue fabbriche, i suoi centri commerciali, la pianura può essere intesa quindi come un’opera dell’uomo. È per questo che approcciandosi al problema di un progetto nella pianura milanese, nel nostro territorio, non si può prescindere dallo studio della sua storia, della storia delle sue corti e da quel ripetersi ostinato di tipologie, schemi, misure, che sono da un lato legate alla cultura materica e insieme sono direttamente legate a un modello architettonico ben preciso e studiato nelle sue forme e nelle sue possibilità. L’architettura rurale non è così solo architettura povera, frutto dell’esperienza dell’uomo, ma è ripetizione di un modello architettonico, di uno schema probabilmente elaborato nella Milano sforzesca di Leonardo, Bramante e del Moro, e poi affinato tra il Settecento e l’Ottocento. La semplicità e il rigore delle nostre corti e delle nostre pianure è il risultato di un lungo travaglio, e di un instancabile ripetersi delle medesime forme nel tempo.

A fronte delle mille forme con cui oggi l’Architettura cerca di mostrarsi, nelle nuove costruzioni come nei progetti di arredo urbano, che insistono sempre con crescente e irresponsabile retorica sulla rottura e sulla discontinuità delle forme del passato, credo che progettisti, amministratori e istituzioni dovrebbero confrontarti, e insieme provare a fare uno sforzo comune perché i progetti possano ripartire dalla semplicità delle forme della storia, della tipoligia e degli schemi che compongono e strutturano i nostri territori, nel loro intenso e complesso rapporto con il passato. Come confrontarsi lo devono diregli amministratori di enti locali e comuni; certo che i "classici" spazi della politica vanno ripensati, resi più accessibili e appetibili, visto che non hanno prodotto quasi mai, negli ultimi cinquant'anni, soprattutto in Italia, un confronto sereno, aperto e soprattutto proficuo.

1 commento:

sheepmaster ha detto...

"oggi gli architetti bramano di costruire degli edifici bellissimi, irragguingibili, perfetti...io li chiamo "orchidee" tralasciando un "dettaglio" infinitesimale siamo un sistema planetario e tutti abbiamo/avremo il problema di avere un tetto sopra la testa...come può "funzionare" un giardino con 7.000.000.000 [settemiliardi] di orchidee - PAOLO SOLERI
[Paolo Soleri - Wikipedia]
[Arcosanti - la sua utopia]