lunedì 10 agosto 2009

Milano e il Ducale, il Ducale e Milano (part. 2)















È chiaro a tutti che quella sulle bandiere regionali, come quella delle ronde, come quella delle lingue e altre trovate del genere, in quest’italietta estiva sono appunto trovate che partono da temi serissimi ma che poi vengono utilizzate purtroppo come boutade agostane per distrarre gli italiani da altre questioni che normalmente avrebbero portato alla fine politica di un uomo – possibile che il presidente del consiglio l’abbia passata liscia anche questa volta? Non venite a raccontarmi della separazione tra la vita privata e quella pubblica –. È altresì vero che questa nostra triste classe politica spesso ha anche trasformato in disegni di legge, e peggio in legge, questi mal di pancia estivi di alcuni nostri leader; quindi forse ha un suo senso occuparsi di temi così strani, importanti ma secondari, anche prima che inizi il vero e proprio iter legislativo.

Innanzitutto la questione dei confini territoriali delle Regioni. Perché le Regioni italiane abbiano gli attuali confini rimane un mistero: alcune sono il frutto dell’accorpamento di zone un tempo divise, come la Lombardia, le Marche, l’Abruzzo, l’Emilia Romagna, altre invece facevano parte di stati più grandi, come il Friuli e il Veneto, la Valle d’Aosta e il Piemonte, l’Umbria, il Lazio e parte delle Marche, la Campania, la Puglia, ecc.
Prendo a esempio il caso che conosco meglio: la Lombardia.

A dire Lombardia si fa presto ma, «quand’anche non si voglia assumere il termine in tutta la sua estensione medioevale, ci sarebbe da fare posto a Bergamo, a Cremona, a Mantova ecc., nomi dietro i quali ciascuno vede subito profilarsi situazioni e vicende da studiare, almeno sino a un certo discrimine, come proprie di ambienti dotati di caratteristiche distinte» [1], quando si dice Lombardia – non me ne vogliano gli amici bergamaschi, bresciani, comaschi, ecc., «si dice Milano: l’estensione geografica della Lombardia, infatti, dopo il trattato di Utrecht [2] è assai inferiore ai confini dell’attuale regione amministrativa» [3], a oriente, verso la Repubblica di San Marco, la Lombardia si arrestava alle sponde dell’Adda, mentre a settentrione il Canton Ticino, da sempre territorio milanese, entra a far parte della confederazione elvetica solo nel XVI secolo.

Vi è poi la questione dei confini culturali. La Lombardia, potremmo dire il milanese, è sempre stata terra di confine, terra bifronte «una parte verso la Toscana, l’altra verso la Francia» [4]: l’economia e gli scambi commerciali con il mondo d’oltralpe, con l’Impero, la Francia e la Germania, e l’umanesimo verso la Toscana – almeno da Petrarca in poi –. Ovviamente questo aspetto è presente anche nei territori della bergamasca e del bresciano, ma in forma molto minore e diversa, questi infatti sono, almeno dal XVI secolo, più attratti da Venezia: in letteratura il bergamasco Arlecchino va a lavorare nella capitale Venezia, non a Milano; la Loggia di Brescia e altre architetture bresciane, penso a Sirmione, Desenzano, Salò, ecc, come quelle di Zara e Spalato, richiamano direttamente Venezia e i caratteri formali delle città venete, non certamente quelle milanesi.

Perché quindi ostinarsi a chiamare Lombardia un territorio così variegato? Perché soprattutto dovremmo innamorarci di una bandiera – la rosa camuna bianca su fondo verde, simbolo che tutto sommato è anche tra i migliori rispetto quelli delle altre regioni – che non sentiamo nostra ne culturalmente ne storicamente se non per averla sul tesserino sanitario o per vederla sulle macchine della polizia locale? Qualcuno risponderà sommariamente che in Baviera, in Catalogna, ecc., le bandiere regionali sono parificate, o quasi, a quella nazionale; già ma quelle bandiere non sono state inventate di corsa vent’anni fa, sono radicate nella storia come il Ducale milanese, o il Leone di San Marco, o il giglio borbonico, non certo come il picchio delle Marche, la rosa della Lombardia, o il non so cosa della Campania.

Perché cari politici italiani, di destra e di sinistra, di finta destra e di finta sinistra, non la smettete quindi di affrontare temi così importanti e difficili, temi che non siete in grado di affrontare, e non iniziate a prendere più sul serio invece altri temi, altrettanto importanti, drammaticamente importanti, come un presidente che va a troie e un mare di troie che pur di arrivare al successo o a una presunta felicità dimenticano lo studio, la fatica, la vita vera e cercano di farsi un presidente?
Buone vacanze.

[1] DANTE ISELLA, La cultura letteraria lombarda, in idem, I lombardi in rivolta. Da Carlo Maria Maggi, a Carlo Emilio Gadda, Einaudi, Torino, 1984, p. 4.
[2] Il Trattato di Utrecht comprende una serie di trattati di pace firmati a Utrecht nel marzo e aprile del 1713, per cercare di porre fine alla guerra di successione spagnola, cioè la guerra che si scatenò tra le potenze del Sacro Romano Impero, la Francia e l’Inghilterra morto Carlo II re di Spagna per contendersi la corona.
Dopo il trattato i francesi continuarono la guerra contro l'imperatore Carlo VI e il Sacro Romano Impero fino al 1714 con i Trattati di Rastatt e di Baden, mentre il Sacro Romano Impero e la Spagna, ora divenuta borbonica, rimasero in guerra fino al 1720.
[2]
DANTE ISELLA, La cultura letteraria lombarda.., p. 4.
[3] Ibid., p. 5.

2 commenti:

sergio ha detto...

Miiiii..... E' da tre anni che non faccio una settimana di ferie e mi affronti 'sto argomento proprio quando sono via! Allora fai apposta.
Fammi leggere, balòss.

Gio Ve ha detto...

Per completare l'interessante argomento, Vi invito a visitare la mia galleria di fotografie di luoghi di confine in tutto il mondo. Andare a http://www.pillandia.blogspot.com
Cordialità ed auguri!