giovedì 18 marzo 2010

Monte Carasso, un esempio tra pianificazione e intervento nel centro storico



Che questo non sia un momento facile per i giovani lavoratori, e tra questi per i giovani progettisti, ma viene da dire per i giovani in generale, è un dato di fatto, così oggi, come spesso altre volte mi è capitato, un po’ per fuggire dalla monotonia del lavoro, un po’ per ricaricare le batterie e un po’ per cercare soluzioni a due progetti a cui sto lavorando, con alcuni amici architetti sono tornato in un paese del Canton Ticino, Monte Carasso, che avevamo scoperto per caso un anno e mezzo fa e che poi ho avuto occasione recentemente di studiare.

Monte Carasso è un piccolo paese a sud di Bellinzona di 2400 abitanti, più o meno come il borgo in cui abito. Era un tipico paese ticinese, fatto di case rustiche, disposte quasi casualmente lungo la strada principale, di un ampliamento più o meno sregolato, come i nostri paesi e di un centro con una chiesa e quello che resta di un antico convento.
Alla fine degli anni ’70 era appena stato approvato un piano regolatore che prevedeva la costruzione di una scuola a ridosso dell’autostrada, mentre la zona centrale nelle vicinanze dell’ex convento faceva parte di un programma di riedificazione. La nuova amministrazione appena insediatasi pensò invece di sconfessare quel piano e di inserire la nuova scuola proprio nell’ex convento. Nel 1978 fu chiamato, con l’incarico di recuperare il vecchio convento e di progettare la nuova scuola, l’architetto Luigi Snozzi. Per Snozzi fu l’occasione concreta per cercare di reinventare il centro del paese. La zona monumentale con il chiostro e la chiesa non era leggibile e ciò che mancava a Monte Carasso erano gli spazi pubblici, gli spazi gioco, cioè gli spazi per i giovani e per le famiglie. Snozzi propose di valorizzare il complesso monumentale dell’ex-convento rimettendo in luce le antiche arcate, demolendo alcune case, ripulendo l’intero impianto e soprattutto facendo una grande operazione di svuotamento del centro monumentale dalle superfettazioni. Chiesa, scuola, cimitero, casa del Comune, palestra comunale si trovarono di colpo a esser parte di un nuovo progetto, un progetto che tendeva a costruire il centro pubblico della città, una nuova agorà fatta di spazi aperti e di luoghi in cui sostare, giocare e trascorrere il tempo libero.

Dopo l’approvazione politica dei principi espressi nel progetto snozziano, si pose il problema della definizione dei nuovi strumenti urbanistici che dovevano sostituire il piano, le famigerate norme tecniche e il regolamento edilizio.
In primo luogo fu elaborato un piano particolareggiato per la “zona di protezione monumentale”, che prevedeva nuovi allineamenti e che di fatto in quel punto annullava il piano regolatore. Fu studiata una nuova normativa urbanistica, estesa ai nuclei del centro antico limitrofi alla zona monumentale, che si limitò a pochissime regole, demandando i problemi che di solito vengono affrontati nelle norme comunali, volumetrie, distanze dai confini ecc, alla bontà dei progetti e a pochissime regole. Questa nuova normativa, posti alcuni vincoli e consegnato un grande potere a una commissione di architetti, fu concepita infatti in modo da offrire una grande libertà, soprattutto insediativa. Una delle questioni principali era densificare il centro storico, dare la possibilità cioè di costruire piccoli edifici accanto agli edifici esistenti e limitare così il consumo del suolo periferico. Monte Carasso divenne di colpo un esempio di città in cui il progetto sostituì il piano, o meglio uno di quegli esempi in cui il piano si ricostruì proprio a partire da un progetto e non viceversa, come succede abitualmente. Monte Carasso divenne l’esempio di come un progetto di riqualificazione di un centro monumentale poteva trasformarsi in un vero e proprio progetto di città.

Questa riduzione delle regole non significò lassismo e deregulation sfrenata senza controllo e senza paracadute: infatti il controllo operato dalla commissione urbanistica, fatta di personalità importanti, proprio perché centrale nella costruzione della città, e non di geometri di paese (con tutto il rispetto per questi ultimi), fu grande e importante. Solo dopo cinque anni, nel 1990 si approvò il nuovo piano regolatore, con le regole costruite a partire dalla sperimentazione sul campo dei progetti approvati in quegli anni.
Mentre abitualmente la regola urbanistica viene applicata con assoluta rigidità, obbligando il progetto ad adattarsi a norme severe quanto astratte, spesso indifferenti ai luoghi e al buon progetto d’architettura, nel processo pianificatorio avviato a Monte Carasso fu così concessa al progetto architettonico la massima libertà di trasgressione, a patto che questa trasgressione fosse motivata come effettivamente qualificante.

Oggi Monte Carasso ha un centro monumentale libero, arioso, leggero e vivo e un centro storico fatto di case antiche affiancate da edifici moderni, e credo che Monte Carasso possa ancora oggi essere considerata come un modello per i nostri poveri e mal ridotti borghi. Un esempio in cui pianificazione e progetto non sono andati solo di pari passo, ma anzi un semplice progetto, se così si può dire, per un centro antico si è convertito in idea di città, sconfessando la pianificazione astratta delle norme urbanistiche, intese nel senso stretto del termine, e trainando la pianificazione successiva. Monte Carasso è ancora un modello da studiare, da vedere, da vivere.


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