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Certamente un limite del marxismo, afferma Rosselli, fu la sua applicazione, reale e concreta, non nel paese più progredito economicamente, gli Stati Uniti, come suggerivano le tesi di Marx, ma nel paese più arretrato, la Russia: «le stesse esperienze della guerra e del dopoguerra hanno capovolto le previsioni marxiste. La rivoluzione sociale è scoppiata nel paese più arretrato, la Russia; mentre il paese più progredito, gli Stati Uniti, superava la crisi col minimo di scosse». Inoltre il marxismo solo pochissimi anni dopo la sua rivelazione poteva dirsi già sorpassato proprio perché il Marx economiasta non fece in tempo a vedere e studiare la forma più progredita del capitalismo, tecnicizzato e teorizzato, quello che si stava affermando con Ford negli Usa all’inizio del XX secolo. Marx infatti scrive il Capitale e il Manifesto in un’Europa che si sta velocemente rinnovando, che sta velocemente abbandonando la sua struttura medioevale, ma in ogni caso un’Europa molto diversa da quella del XX secolo che vive Rosselli. «In una riflessione tra Marx e un filatore di cotoni o un produttore di caldaie di Birmingham, Marx avrebbe riportato indubbiamente la palma. [...] ma immaginate oggi un marxista ortodosso alle prese con Ford e sentirete come tutte le sue rivendicazioni e requisitorie nell’ordine produttivo si spuntino contro le realizzazioni di Ford».
Ovviamente Rosselli, da grande intellettuale qual’era, si sofferma sull’«ordine produttivo» delle tesi marxiste, per Rosselli, infatti, esse, e lo sottolinea più volte, sono sorpassate sul piano economico e produttivo, non sul piano morale. E così Rosselli non esita «a dichiarare che la rivoluzione socialista sarà tale, in ultima analisi, solo in quanto la trasformazione della organizzazione sociale si accompagnerà ad una rivoluzione morale, cioè alla conquista, perpetuamente rinnovatesi, di una umanità qualitativamente migliore, più buona, più giusta, più spirituale».
Il socialismo, quindi, «colto nel suo aspetto essenziale, è l’attuazione progressiva della idea di libertà e di giustizia tra gli uomini». Il socialismo deve per Rosselli tendere a farsi sempre più liberale e il liberalismo a sostanziarsi di lotta proletaria. «Il socialismo non è che lo sviluppo logico, sino alle sue estreme conseguenze, del principio di libertà. [...] il socialismo è liberalismo in azione, è libertà che si fa per la povera gente».E per ottenere questo, in una società come quella italiana che non aveva ancora avuto lotte per la libertà, ma che di lì a poco l’avrebbe avuta, bisognava, e bisogna ancora, riorganizzare «il movimento socialista su basi affini a quelle del partito del lavoro britannico: far centro cioè sul movimento operaio, tendente per legge fisiologica all’unità [...] e accompagnar quello con una costellazione di gruppi politici, di associazioni culturali, di organismi cooperativi, mutualistici, ecc. Concepire cioè il partito di domani con uno spirito ben più largo e generoso di quello che ieri non fosse, come sintesi federativa di tutte le forze che si battono per la causa del lavoro sulla base di un programma costruito di lavoro». Di qui, ma non solo, l’attualità del socialismo liberale. «I partiti quando salgono al potere non debbono governare per sé, ma per tutti».
I testi virgolettati sono tratti da CARLO ROSSELLI, Socialismo liberale, con introduzione e saggi critici di Norberto Bobbio, a cura di John Rosselli, Einaudi, Torino 1997.
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