sabato 3 maggio 2008

La 106 Brigata Garibaldi a Garbatola






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Sottotitolo: questioni di memoria

«Dopo due giorni il Comando mi ordina di raggiungere Milano. Lascio i miei compagni della Valle Olona: lascio gli uomini, le donne, i ragazzi, il popolo insomma, che ha combattuto la dura lotta clandestina; lascio i comandanti e i commissari della 106a. Chi sono? Così come me la ricordo la moltitudine dei volti e dei nomi: Sandro, comandante di distaccamento che usava l'officina come rifugio, salvando la vita all'ing. Silvio, Mauro, Luciano, Mosca, Renato, Sante Boselli, Scalabrino, Beccarelli, cap. Costa.
Lascio i valorosi partigiani dei distaccamenti di Lainate, di Rho, di Nerviano, di Garbagnate, di Barbaiana, di Garbatola, di Pantanedo; lascio una folla di eroi oscuri [43]»[1].

[43] Zoni Pio e Lino, Belia, Anelli, Casnaghi, Cechetta, Martinelli, Gini, Milo, Gippin, Ceriani, Comi, Zanichelli, Foglia, Carletto, Giuseppe, Remo, Cip, Anzani, Zonca, Zerbi, Giudici, Boniforti, Carugo, Carcano, Pravettoni, Grassi, Giovanni, Ronda, Marco, Puricelli, Walter, Franco, Barba, Roda, Villani, Sada Fausto, Martignoni, Bellasio, Guido, Pecora, Basega Bruno, Zaminato, Rigoli, Meazza, Zanoni: i giovanissimi, fedeli e coraggiosi Parma di 15 anni, Borroni di 16, Taminato di 17, Menegatto di 16 anni fucilato alla vigilia del 25 aprile, e Bellasio.


Con queste parole il Comandante Giovanni Pesce chiude il capitolo tredicesimo del suo libro intitolato Senza Tregua, che con il dodicesimo sono dedicati alla Valle Olona, nelle zone tra Rho e Legnano.

Una delle cose che mi mancano di più di mia nonna, Natalina Airaghi, scomparsa nel 2001, sono le lunghe nottate, passate da piccolo, con mio fratello, nel suo letto a sentire i racconti del temp de guera, o della sua maestra piemontese, o di quando da piccola andava a fare andare i telai nelle varie manifatture tutt’intorno a Garbatola, o di quei tedeschi con la faccia cattiva, o ancora di quei soldati americani che le lanciavano caramelle e sigarette, o del Duce a testa in giù in piazzale Loreto.
Una delle cose che mi mancano di più di mio nonno, Pierino Pravettoni, partigiano della 106 Brigata Garibaldi distaccamento di Garbatola, consigliere comunale della DC, consigliere del Circolo Famigliare, uomo straordinario e buono, sono tutti questi racconti, perché morì prematuramente nel 1979 a 61 anni quando io ne avevo solo 5 e non potè mai farmeli.
Rimangono le foto. Tante e belle.

Fin da bambino tra tutte le foto che mi sono rimaste impresse in modo indelebile ve n’è una, che puntualmente torna in modo quasi ossessivo, in cui tante persone sono ritratte alla fine della guerra, tra bandiere, fucili, pistole, un prete, gente comune, gente appena tornata dai campi, due giovanissimi. La foto è datata 1 maggio 1945 e, firmata da mio nonno, sul retro è intitolata 106ª Brigata Garibaldi.

Quella foto è una vera ossessione. Da quella foto è partita una ricerca sull’antico Oratorio dei Santi Biagio e Francesco di Garbatola, scomparso in quegli anni; sempre da quella foto è partita una ricerca curiosa e insistente per cercare di capire cos’era la guerra, perché quella gente comune era armata, perché mio nonno, accanto al biondo di Nerviano – almeno così diceva mia nonna –, era armato e puntava contro il fotografo. Perché quei giovani, allora ventisett’enni – sette anni in meno di me – avevano deciso di imbracciare il fucile? Certo molti lo fecero a guerra finita o quasi, certo molti lo fecero per convenienza, certo molti lo fecero per proteggere parenti ancora convintamente fascisti, certo che tutti possono essere considerati a buona ragione veri eroi, o, per dirla con il comandante Pesce, una «folla di eroi oscuri».

Poco importa se i vari Carugo, Carcano, Pravettoni, citati da Pesce, siano il Francesco Carugo o il Piero Pravettoni o l’Attilio Pravettoni o altri, quello che importa è custodire, tramandare e anche ricostruire in modo scientifico e realista la storia di quei giorni, le storie di quei giovani ormai quasi dimenticati.

Ora mia nonna non c’è più e i pochi superstiti fanno molta fatica a ricordare, a riconoscere i volti, a ricostruire le storia, ma è il compito della nostra generazione, una generazione più povera economicamente, una generazione che farà fatica a scrollarsi di dosso quella precedente, che continua a occupare tutti i posti dirigenziali, ma generazione di mezzo che ha, tra gli altri, un compito preciso: ricostruire e tramandare la memoria di quei grandi vecchi, spesso di tre o quattro generazioni precedenti la nostra, ricostruire e tramandare la memoria di quei luoghi, spesso distrutti dalle generazioni successive. Non è un compito facile.

W la Resistenza!

[1] GIOVANNI PESCE, Senza tregua. La guerra dei GAP, collana Universale Economica Feltrinelli, edizione consultata la settima, Feltrinelli, Milano, 2006, p. 277.

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