lunedì 24 novembre 2008

La Gelbe Haus, un restauro possibile



















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Ma torniamo all’architettura.

Raggiungere Monaco di Baviera da Milano – per l’annuale festa bavarese della birra – è facile, in auto ci voglio poche ore di viaggio e si possono fare sostanzialmente due strade: passare per il valico del Brennero o attraversare la Svizzera.
Con la musica di Davide Bernasconi, al secolo Van de Sfros nello stereo, di buon mattino raggiungiamo e doppiamo Como, doppiamo in tutti i sensi dato che mi accorgo di avere lasciato a casa la carta di identità, quindi passiamo la frontiera a Chiasso, poi Lugano, Bellinzona e lasciati il Ticino e le architetture lombarde e borromaiche, attraverso il traforo del San Bernardino arriviamo nella tedesca svizzera coirese.
È la terra di un grande architetto grigionese, un uomo schivo e forse un poco scontroso, un uomo certamente duro, un montanaro, Peter Zumthor. È la terra di molti bravi architetti – è impressionante quanto sia cambiata, quanto si sia modernizzata la Svizzera, e l’architettura Svizzera in particolare, negli ultimi vent’anni –. È la terra di Valerio Olgiati.

Qualche anno fa in uno dei viaggi verso Barcellona, a casa dell’amico Marco Lecis, vidi un numero monografico della rivista 2G dedicato all’opera di Valerio Olgiati. Subito mi impressionò la copertina. Un casone bianco, durissimo, quasi congelato in un tempo lontano, diverso da quello in cui è stata scattata la foto: è la Gelbe Haus, la casa gialla.
Quella casa, che si trova a Flims, un piccolo paese di montagna a 10 km da Chur, Coira, era per il vero l’unica cosa molto interessante di quel numero, una sorta di manifesto, una di quelle opere che lasciano il segno, che scuotono e che fanno pensare, il resto non aveva la stessa forza.

Arriviamo a Flims verso metà mattinata. È un paese tranquillo, i negozi sono distribuiti lungo l’unica strada che costeggia la montagna, sulla strada negozi di souvenir svizzeri, negozi di artigiani del legno, della pelle, ecc, alberghi, alcuni fienili in legno, gente a passeggio, le montagne dietro le case, la valle aperta e verde sotto.
Gli Olgiati, Valerio e il padre Rudolf, pure architetto, sono di Flims, la Casa Gialla era di proprietà della parrocchia ed esisteva un accordo tra Rudolf e la parrocchia stessa per ristrutturare la casa. Alla morte di Rudolf la parrocchia decise di convertire la casa in uno spazio espositivo. Dato che la complessa distribuzione interna della casa non era adatta per i nuovi scopi alla quale la casa sarebbe stata destinata, Olgiati prese una decisione drastica: svuotò completamente l’interno e lo ricostruì in legno, al posto delle piccole stanze dei grandi spazi liberi e finestrati, mentre all'esterno mantenne forte e ben visibile l’ordine secondo il quale furono disegnate le bucature, e tutto fu come congelato.
Non si può dire che sia una bella casa, certamente non fa così impressione come sulla copertina della rivista, saranno la bella giornata, il vento, l'idea della Germania e dell'oktoberfest, le alpi appena imbiancate sopra le verdi colline, i rustici in legno che confinano e cercano di armonizzarsi scontrandosi con il bianco dell’edificio, ma quel casone della foto in realtà diventa un grazioso edificio, ben calibrato, una casa moderna, fuori dal tempo, in un paesino di montagna. Certamente l’operazione di Olgiati è un’operazione drastica e drammatica: egli elimina gli orpelli, le decorazioni, le aggiunte, le persiane, gli sporti di gronda, il portico di ingresso. Olgiati non si preoccupa e anzi ci invita a non preoccuparci dei colori, delle decorazioni, ci invita a occuparci della struttura della casa, del suo comporsi per grandi muri bucati da piccole finestre regolari, e per far ciò congela completamente la facciata, la ingessa, e la porta con un solo gesto fuori dal tempo. La Gelge Haus di colpo non è più una casa di fine ottocento inizi novecento, una casa antica ben ristrutturata, la Gelbe Haus è un’opera fuori dal tempo, un manuale da studiare e da leggere e da capire.
















1 commento:

Anonimo ha detto...

Piu' che calibrato, quel cubo non e' che un geometrico, asettico restauro di un luogo che e' stata viva dimora ed e' divenuta un luogo pubblico deserto.
Piu' che una struttura, in foto appare una copertura stabile senza fondamenta, senza alcuna memoria, "immorale", fuori dal tempo e dalla realta'.
Eppure saranno stati "la valle aperta, la bella giornata, il vento, l'idea della Germania e dell'oktoberfest, le alpi appena imbiancate sopra le verdi colline",
la luce intensa e fredda dell'edificio contro il calore dei rustici in legno, quella sensazione di leggerezza che ti da l'aria di montagna, ma alla fine quello stupido cubo cosi discretamente solo e apparentemente insensato, distaccato,
nella sua semplicita', armonia, luce, e' sembrato molto bello anche a me.