giovedì 27 novembre 2008
Delle opere inquiete
Caro amico/a, rispondo con un post perché mi sono accorto che il mio commento era troppo lungo.
Intanto grazie. Poi due precisazioni: la prima è che la decisione di far diventare la Casa Gialla un luogo pubblico che sia deserto (a detta tua), o meno, non è stata certamente una scelta dell'architetto ma della proprietà; la seconda è che spesso si additano gli architetti per colpe non loro.
A Milano c'è un quartiere simbolo del rapporto-scontro tra architettura e problematicità sociale è il quartiere Gallaratese di Rossi e Aymonino. Fu occupato, violentato, fu uno dei posti più difficili di Milano, ora è uno dei posti meglio tenuti. La differenza? L'architettura? no, i soldi, il tenore di vita e il prestigio sociale, o meno, di chi lo ha abitato e di chi lo abita ora (anche se ti assicuro che Rossi era felice prima e non so se sarebbe stato felice ora). Questo per dire che spesso ci sono problemi che esulano dal mestiere dell'architetto e che riguardano di più le scelte pianificatorie dei nostri amministratori o i servizi sociali.
Ma torniamo alla Gelbe Haus. Ci sono sempre molte possibilità di intendere l'architettura, sia la progettazione che il restauro: c'è una via apparentemente più semplice, più immediata, spesso vernacolare, è la strada che va per la maggiore nella nostra cara pianura Padana o nelle valli Alpine italiane in questi anni, e c'è poi una via più difficile, meno rettilinea, ricca di tranelli, molto meno immediata e certamente in Italia economicamente più svantaggiosa. La prima è la via delle casette con gli archetti, delle persiane in legno, del tetto e dei mille tettucci con le tegole anticate, del praticello con bambi e i settenani, è la strada immediata delle "calde" casette tipiche, del legno super decorato, dei cottage; la seconda è la via del Gallaratese, della Gelbe Haus, e di molti altri progetti più difficili e inquieti. I primi non fanno parte della storia dell'architettura (forse di quella dei fumetti) ma di un modo economicamente più veloce, agile, di costruire, vendere e quindi di vivere. I secondi invece spesso, proprio per la forza del loro pensiero, che sia giusto o sbagliato, per il loro essere meno accomodanti, per il loro slegarsi da un meccanismo tutto mediatico, tecnologico e spettacolare, entrano a far parte di una grande storia, legata alla storia del pensiero e dell'uomo, la storia dell'architettura.
Ci fu un momento anche in Italia in cui le cose andarono diversamente. Nei primi anni del dopoguerra (cito uno dei tanti esempi di quello straordinario periodo) attorno alla figura di Adriano Olivetti si radunarono architetti, registi, filosofi, pensatori, intellettuali, anche amministratori per discutere, scrivere, pensare e progettare. In quegli anni si iniziò a pensare a un modo di vivere diverso. Di quegli anni sono due straordinari piani urbanistici: il Quartiere Ina Casa di Cesate (Mi) e il Borgo della Martella (Matera). Non sono dei villaggi caldi e accomodanti, come quelli degli anni '80 '90 o come quelli degli immobiliaristi moderni, sono villaggi duri, scontrosi, spesso apparentemente mal tenuti, abitati da gente che usciva dai Sassi o dalle Cassine, con gli asini e le galline a dormire con loro, prima e dopo. Eppure quei villaggi erano e sono un tentativo di dare una risposta seria, pensata, scomoda ma reale a un grande problema, un problema che prima di allora in Italia non era mai stato affrontato.
Francamente non credo che la Gelbe Haus sia l'opera più importante del secolo, certamente credo sia un'opera da vedere, da leggere e saper leggere, e da studiare proprio per le inquietudini che ci lascia quando anche per sbaglio ci imbattiamo in lei.
Foto 1: La Gelbe Haus. Foto di Fabio Pravettoni, settembre 2008.
Foto 2: Un'opera più tranquilla, qualcuno direbbe calda, o accomodante. Pozza di Fassa, ottobre 2008.
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