giovedì 25 settembre 2008

Questioni federali - L'identità dialogante

Da un lato ci sono quelli che non hanno paura dell’altro, dall’altro quelli che con quella paura ci convivono quotidianamente. Paradossalmente i primi si fanno paladini dell’unità nazionale, i secondi accentuano la loro paura cercando di chiudersi in realtà sempre più piccole e circoscritte – federali o semplicemente circoscritte? –.
Questo dualismo non si esaurisce nelle questioni federali o di ordinamento statale: da un lato infatti vi sono quelli che pensano che i problemi si risolvano senza aiuti esterni, senza confrontarsi con esempi esterni, una sorta di pensiero dominante autarchico; dall’altro vi è la ricerca – spesso snobbata in Italia, tanto che ormai la norma prevede che chi vuole fare ricerca debba andare all’estero per trovare le condizioni adatte – che per sua natura si fonda sul confronto tra realtà omogenee e omologhe, o tra casi diversi diversi. Quel che è certo è che oggi mancano un pensiero e una critica condivisi[1], e forse anche per questo in Italia oggi ci si divide su tutto.

Negli ultimi due scritti ho provato a dire qualche cosa sulla struttura federale dell’antico Ducato di Milano, certamente una struttura se si vuole contorta e imperfetta, comunque probabilmente una struttura più intelligente di quella attuale: basta pensare che i rappresentanti del popolo che compongono i vari organismi che strutturano lo Stato, Parlamento, Consiglio Regionale, Consiglio Provinciale e Consiglio Comunale, si eleggono con quattro metodi differenti e spesso non hanno rapporti tra loro. Se uno straniero mi chiedesse che rapporto c’è tra Provincia e Regione non saprei cosa rispondere. È evidente che alcuni rapporti esistono, ma non sono rapporti diretti, non abbiamo in questo senso quell’antica struttura federale di cui ho parlato negli ultimi due scritti.

Come coniugare quindi i due pensieri, l’identità di ogni singola comunità e la necessità del dialogo e del confronto? Una risposta credo molto intelligente non l’ha data un filosofo - anche se forse in realtà lo è - o un politico ma il parroco della mia parrocchia Don Alberto Cereda da anni impegnato in una sorta di grande e difficilissimo esercizio – e ci è quasi riuscito – il tentativo cioè di unire due comunità diversissime che sono sempre, e dico sempre, state divise, divise e diverse – mi sono sempre chiesto se chi governa queste situazioni in curia ogni tanto prova a consultare gli stupendi archivi diocesani in loro possesso, anche solo per capire la storia delle diverse comunità prima di intervenire drasticamente, ma è un altro discorso –. Don Alberto sostiene, credo a ragione, come oggi per qualsiasi comunità, a qualsiasi livello, sia indispensabile dialogare con gli altri, confrontarsi con gli altri. Deve necessariamente formarsi un nuovo pensiero, quello dell’identità dialogante.
Solo dialogando e aprendosi all’altro si può mantenere ferma e riconoscibile la propria identità diversa. E così confrontarsi non vuol dire annullarsi, dimenticare se stessi, ma anzi vuol dire esaltare il proprio essere nel rapporto con l’altro, con il tanto temuto diverso; solo nel confronto-scontro con l’altro si possono mantenere forti e salde le proprie radici.
Spesso a ragione si sostiene che l’uomo per sua natura tende ad aggregarsi, ciononostante si sente davvero bene solo in realtà a misura d’uomo appunto, in realtà ristrette, la Regione, la Provincia, la città , il borgo, il clan, ma questo processo può essere pericoloso e più ingenerare situazioni razziste e reazioni violente contro il diverso: solo nel confronto con l’altro, solo confrontandosi e studiando realtà simili e apparentemente diverse, solo cercando e ricercando anche altrove tutte le soluzioni possibili, si potrà mantenere viva la propria memoria, la propria identità, il sentirsi parte di una comunità diversa.
Il territorio tra Milano, Pavia, Como, Lecco, il Lago Maggiore, Varese, il Canton Ticino, insomma se volete l’antico Ducato di Milano ad esempio, non esiste in quanto tale, non esiste più politicamente, ma esiste culturalmente ha radici salde, esiste quindi nel rapporto con l’altro e solo confrontandolo, quindi, con altre realtà vicine e lontane, penso alla Catalogna o alla Baviera, per fare due esempi diversi e opposti ma simili, si potrà tornare a parlare di territorio Milanese, e solo allora, nel dialogo e nell’accettazione reciproca, si potrà tornare a sventolare le sue/nostre bandiere.

[1] Pensate alla cultura architettonica: in Italia non esiste da anni. Non esiste più un pensiero condiviso in accademia, ma spesso si vaga tra le mode, e soprattutto non esiste un pensiero nel paese: le città si trasformano senza un pensiero e senza un progetto, nessuno o quasi nessuno consulta riviste di architettura, nessuno o quasi nessuno conosce opere di architettura contemporanea o nomi di architetti contemporane (tolti Piano e Fuksas che per motivi politici sono spesso in TV), non esistono programmi televisivi e rubriche che si occupino di architettura.

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