venerdì 27 marzo 2009

Dall'università

Ricevo e pubblico volentieri questo commento che lo trasformo, data l'importanza del tema e la densità del problema in un post, che come al solito spero sia frutto di una comune riflessione.
Vi invito anche a guardare, meglio ad ascoltare questo (anche se ormai ha fatto il giro della rete e molti di voi lo conosceranno...). Anch'io, nel mio piccolo, arrivai a dire cose simili, o con un tono simile a Nerviano qualche anno fa, certamente non coì bene. E anche Nanni Moretti, Pancho Pardi, Dario Fo, risultato? Niente, da allora o quasi manco dalle sedi dei partiti...
http://www.youtube.com/watch?v=f3tqFf9IfgM
















Gardella: l’architettura, la città
Convegno alla Facoltà di Architettura Milano-Bovisa
Mercoledì 25 marzo 2009

Inizia il convegno: non sono presenti molte persone, ma ci sono quelle che contano.
C’è Daniele Vitale che presiede, c’è il preside Torricelli, c’è il prof. Fortis, ci sono Gardella e Canella, Boidi, Bordogna e Bonaretti…Insomma ci sono proprio tutti: tra capelli grigi e capelli tinti, l’età media cresce in modo inquietante: eccoli i grandi capi-capoccia della Facoltà!
Sembra un ritrovo tra vecchi amici, in cui mi sento irrimediabilmente fuori luogo!
Dopo le prime parole di formalità di Vitale e Torricelli, Fortis incomincia a rievocare i tempi che furono, e “novellando vien del suo buon tempo” di quando Fortis senior lo portò, ancora ragazzo, a vedere le opere di Gardella senior, e di quando suo figlio Fortis jr. fece le fotografie a Gardella per poi appenderle nella sua cameretta…
Che bel quadretto!
Terminati i convenevoli - e già compresi il clima e la scientificità del convegno - inizia la lunga serie di interventi: in primis Jacopo Gardella (Gardella jr.) con un intervento dal titolo: Continuità e discontinuità nell’architettura: pochi cenni su cose già sentite, già lette, già studiate, e già anche superate, sulla continuità e discontinuità della tradizione nella progettazione contemporanea. A seguire una serie di sterili e ipocrite invettive contro la “Nuova Classe Dirigente”.
Una domanda nasce spontanea: ma con chi ce l’ha? Chi fa parte della classe dirigente? Guardo questi Vecchi professori e mi viene una rabbia per l’ipocrisia che aleggia nell’aula!
«Eh, già…la classe dirigente di una volta non c’è più! » – sospira il nostro Gardella jr.
La classe dirigente di una volta non c’è più! E queste persone non si rendono conto che sono loro la nuova classe dirigente, la nuova classe dirigente formata da vecchi!
Legati alla famiglia, al nome, alla cadrega, borghesi milanesi.
A volte basterebbe che facessero un passo indietro, si liberassero di quell’orgoglio da “professore affermato”, e si guardassero da fuori, per vedere quanto sono ridicoli (nulla togliendo alla loro competenza ovviamente!) e accademici conservatori.
E poi si urla “largo ai giovani!”… ah ah ah …
Ma che forse non se ne rendano conto?!

ps. E' necessario chiarire alcuni dati anagrafici dei professori universitari, per comprendere meglio che quando parlo di Gardella Junior, parlo di un uomo nato nel 1935!
Questa è la realtà universitaria milanese ma non solo...
Guido Canella, 1931, Jacopo Gardella (jr.), 1935, Massimo Fortis, 1944, Daniele Vitale, 1945, Pellegrino Bonaretti, 1948, Sergio Boidi, 1948, Enrico Bordogna, 1949

Ah, poi ci sono anche i giovani (ormai cinquantenni): sì, hanno parlato anche loro al convegno, ma dopo,nel pomeriggio, tardo pomeriggio... La cosa che dà da pensare è che sono quasi tutti Storici o dottorati in storia, o ricercatori in storia dell'architettura.
E' curioso come di giovani progettisti ce ne siano davvero pochi: forse perchè la casta dei Compositori è una loggia massonica, chiusa, invalicabile, insondabile. E i giovani architetti, magari anche appassionati al progetto, hanno dovuto fare di necessità virtù e abbandonare la composizione per tentare la propria strada nella storia dell'architettura, per poi, ancora una volta, non essere presi in considerazione, ancora una volta non avere una loro autonomia, e ancora una volta essere derisi di fronte ad un pubblico composto anche da studenti: lo storico "dagli occhi velati", lo storico "che non prende posizione", in poche parole per questi signori questi giovani storici non sono capaci di fare il mestiere! Non si rendono conto forse dell'ipocrisia delle loro parole!
Mi rifaccio allora alle parole del grande Giuseppe Pagano (1896-1945)che scrisse : "Essi [i vecchi] preferiscono parlare di crisi e di decadenza e sputare in faccia ai giovani. I sessantenni hanno molta saliva, ma i giovani hanno più fede e faccia di bronzo".

7 commenti:

Anonimo ha detto...

E' necessario chiarire alcuni dati anagrafici dei professori universitari, per comprendere meglio che quando parlo di Gardella Junior, parlo di un uomo nato nel 1935!
Questa è la realtà universitaria...

Guido Canella, 1931
Jacopo Gardella (jr.),1935
Massimo Fortis, 1944
Daniele Vitale, 1945
Pellegrino Bonaretti, 1948
Sergio Boidi, 1948
Enrico Bordogna, 1949

ah, poi ci sono anche i giovani(i giovani sono ormai cinquantenni):
sì, hanno parlato anche loro al convegno, ma dopo,nel pomeriggio, tardo pomeriggio... La cosa che dà da pensare è che sono quasi tutti Storici o dottorati in storia, o ricercatori in storia dell'architettura.

E' curioso come di giovani progettisti ce ne siano davvero pochi: forse perchè la casta dei Compositori è una loggia massonica, chiusa, invalicabile, insondabile. E i giovani architetti, magari anche appassionati al progetto, hanno dovuto fare di necessità virtù e lanciarsi nel campo storico. E ancora una volta non essere presi in considerazione, ancora una volta non avere una loro autonomia, e ancora una volta essere derisi di fronte ad un pubblico composto anche da studenti: lo storico "dagli occhi velati", lo storico "che non prende posizione", in poche parole per questi signori questi giovani storici non sono capaci di fare il mestiere! Non si rendono conto forse dell'ipocrisia delle loro parole!
Mi rifaccio allora alle parole del grande Giuseppe Pagano (1896-1945)che scrisse : "Essi [i vecchi] preferiscono parlare di crisi e di decadenza e sputare in faccia ai giovani. I sessantenni hanno molta saliva, ma i giovani hanno più fede e faccia di bronzo".

Anonimo ha detto...

UAU!
Io questo post-commento lo manderei al Giornale dell'Architettura (diretto da quel "giovane" di Olmo)!

Forse quando le cariatidi dicono, "largo ai giovani", ripeto forse, si aspettano siano i giovani a farsi largo, da soli.
...uhm, come farsi largo?
Bisogna sgomitare?
A noi non piace sgomitare, ma forse (di nuovo) inconsciamente chiedono di essere presi a sediate! Con la loro amata cadrega!
Dico "inconsciamente" perchè si sà, ormai non hanno più stima neanche di loro stessi. Ci vorrebbe un uragano per mandarli via!

Fabio Pravettoni ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Fabio Pravettoni ha detto...

Però caro anonimo e carissima amica... in parte mi permetto di dissentire nel senso che non darei tutta la colpa a loro (badate bene, chi mi conosce sa come la penso su di loro, inteso come la classe dirigente! e basta poi leggere l'introduzione a questo post, o leggere "late modern generation" che ho scritto qualche mese fa, ecc), ma in parte darei la colpa anche a noi! Si, nessuna classe dirigente, mai, si è fatta da parte dicendo "prego accomodatevi" e nessuna classe dirigente lo fara' mai. Ai tempi del dottorato provammo a fare qualche sciopero o presa di posizione: bastava infatti non andare a lezione e fare la nostra ricerca liberamente, o non produrre le basi cartografiche che servivano per la didattica, o non scansire fotografie, ecc, per bloccare l'università. Secondo voi quanti di noi giovani aderì? Fossimo anche stati tutti tranne uno o due chi avrebbe poi raggiunto la tanto agognata cattedra, i sovversivi o gli altri? Siamo noi giovani (o ormai siete voi giovani) corporativi, come lo sono stati e lo sono ancora loro? No non è il nostro tempo e forse non lo sara' mai, questo è il tempo di questa vecchia generazione, il prossimo di un'altra generazione...non della nostra.

Anonimo ha detto...

Caro Fabio, con le lamentazioni non ottenne nulla neppure il profeta Geremia... io, quarantaseienne, potrei vivere sui miei rimorsi e i miei rimpianti, ma tendo a non far molto caso alla realtà anagrafica forse per un inconscio rifiuto del tempo che passa. O forse perchè intimamente ho la convinzione che la giovinezza sia uno stato mentale. D'altronde, come dice spesso un nostro comune amico, "ci vogliono tanti anni per diventare giovani". Premesso questo, è da me condiviso che le "baronie" perpetue, in tutti gli ambiti e in tutti i livelli, impediscono a menti valide e fresche di dare un contributo migliorativo in molti settori della società, dal lavoro all'università, dalla ricerca alla politica. Non che sia un teorema dimostrato che tutti i giovani possiedono le capacità per sostituire i "vecchi". Così come non è dimostrato/dimostrabile che una generazione è meglio o peggio di quella che l'ha preceduta.
Quello che penso io è che nessuno regala qualcosa. Non bisogna aspettarsi nulla perchè in questa società nulla è dovuto. E allora? Ci si deve abbandonare allo stato di fatto autoconvincendosi di essere nati troppo tardi o troppo presto? No. Semplicemente si deve perseguire un obbiettivo, con determinazione. Sai, Fabio, a volte capita di arrivarci! A volte basta crederci... Io a trent'anni ci ho creduto e ho fatto il sindaco. Adesso, ovviamente, non ci credo più. Ho però dalla mia l'alibi anagrafico di essere ormai vecchio... pur senza essere diventato saggio!

Anonimo ha detto...

L'anonimato del primo commento non era voluto, anche se il nick-name Antropofilo dirà qualcosa solo a Fabio che, per altro, dice di dissentire parzialmente, ma non dissente affatto.
Semplicemente non riteniamo di dover "sgomitare", anzi, di fare il mitico "taglia fuori".
Ci siamo tagliati fuori noi, forse perchè l'ambiente puzzava di muffa, forse per eleganza e buone maniere, forse perchè la vita e il suo senso andavano da un'altra parte.
L'uomo dei forse. Antropofilo

Fabio Pravettoni ha detto...

Caro Antropofilo avessi saputo che era tuo avrei colto la sottile ironia e soprattutto il retropensiero. Ma forse in modi diversi, io più diretto e caciarone, davvero abbiamo detto la stessa cosa. Un abbraccio