giovedì 5 marzo 2009

Del ruolo dell'architetto












Mi è stato chiesto di provare a scrivere qualcosa sul ruolo della cultura architettonica e artistica oggi in Italia.
Confesso che non è un compito che mi entusiasma per diverse ragioni. La prima che lo scritto si esaurirebbe in poche righe: oggi la cultura architettonica italiana, se mai ce n’è una, non ha nessun ruolo, né politico, né sociale. La seconda perché si corre il rischio di cadere in un pericoloso quanto devastante pessimismo generazionale, «e poi ci sono quelle volte in cui mi da fastidio che mi do fastidio da solo / ma cosa devo fare per farmi andare bene / testate contro un muro o preferisci uscire / da questa apatia generazionale del cazzo / alimentata a strisce per meglio scappare da una realtà di fatto / che cosa vedi, una giovane mente assiderata / con mille amici su myspace e un'altra cena in solitaria»[1].
No, troppo facile. Troppo facile esaurire così un compito tanto difficile, tanto difficile perché oggi, oggettivamente, tra un grandefratello e un serial TV criminal-militare, o giuridico-poliziesco, tra un Montalbano e l’ennesimo approfondimento su Cogne, Garlasco, Erba, Perugia, a scelta, e la crisi, eterna, del Partito Democratico e dei suoi dirigenti, non si intravede certo alcuna possibilità per la cultura italiana, tanto meno per quella architettonica. Più facile e forse più interessante è parlare del ruolo dell’architetto.

L’architetto non serve. Anche se oggi le cose sono leggermente cambiate e l’architetto fa di tutto, chiaramente tranne progettare architetture, cioè pensare, progettare, disegnare, costruire plastici, ridisegnare e ricostruire plastici, ecc, fino a qualche anno fa l’architetto comunemente non serviva o serviva solo ai ricchi; il geometra invece serviva, progettava le case degli impiegati e degli operai – non di quelli immigrati ma di quelli residenti –. Anche laddove l’architetto si impegnava per garantire all’operaio immigrato una casa e costruiva case sociali a basso costo non era accettato dalla cultura dominante, borghese, che lo indicava, e lo indica ancora, come il principale artefice della distruzione delle periferie delle nostre città – mentre il geometra, o qualche architetto borghese, costruivano, estremamente rispettati, la nuova realtà dei villini singoli della classe media, la nuova classe dominante –.

L’architetto non serve, non serve alle amministrazioni comunali – pensate che a Nerviano non ce n’è nemmeno uno nell’Amministrazione, né nella maggioranza né all’opposizione, nemmeno all’assessorato all’urbanistica, o ai lavori pubblici; così come per altro non c’è neppure un ingegnere, ma questo è davvero un altro problema –, non serve alla gente comune, che purtroppo oggi, stante la gigantesca crisi che ci prende tutti per la gola, ha ben altri problemi che pensare all’architettura o anche più banalmente che non ha soldi per costruirsi una casa nuova.

Quando poi, in rari casi, si costruisce vi è il problema di chi progetta e chi costruisce – a Nerviano, per esempio, costruiscono pochissimi, i soliti quattro o cinque, e uno di questi è addirittura l’ex assessore all’urbanistica, o simile, condannato durante Nervianopoli –. Questi spesso, non sempre e non tutti, sono architetti, o geometri, o imprenditori che per prima cosa, forse giustamente, al guadagno, al valore del terreno o dell'immobile, al prezzo al merto quadrato delle case, insomma a tutto fuorché all’architettura, a tutto fuorché a inserire il loro progetto in un contesto più ampio della stretta cerchia dei comuni limitrofi. Mai un progetto che abbia riferimenti altri che non siano quelli della comune edilizia corrente, mai un riferimento preciso alla storia dell’architettura, mai un riferimento a quanto avviene nei paesi europei, nemmeno un riferimento a quanto avviene a venticinque chilometri da qui, nel vicinissimo Canton Ticino. Niente, e «per l’ennesima volta [bisogna constatare] l’arretratezza e l’asfitticità del panorama offerto dalla produzione architettonica del nostro paese»[2], fatta di villini gialli – tipici del nord milanese –, di casette dai mille tettucci, di muri di cinta con leoni a proteggere gli stipiti degli accessi, di giardinetti con Bambi, Biancaneve ei sette nani.

Ma ancora una volta non è completamente colpa degli architetti.
Di recente mi è capitato di sottoporre ai tecnici comunali un progetto di sopralzo per casa mia: la volumetria, che sembra condannare ogni tecnico di inizio millennio, c’è e il progetto prevede unicamente di costruire un secondo piano su una casa esistente. Per la prima volta, credo, si presenta un architetto con un plastico per chiedere un parere preventivo. Risposta? Con le attuali norme non si può fare. Già perché la casa fu costruita quando le distanze minime dai confini erano diverse da quelle che il legislatore del nuovo millennio ha previsto come sacre e inviolabili, pertanto non si può fare. Ma il legislatore, il politico illuminato che tutto sa e che prevede sempre delle deroghe ha previsto delle deroghe in casi di costruzione nel costruito? No.

Come si fa quindi in una giungla tra il burocratico e il felliniano a parlare di architettura e cultura? Vi fu un momento della storia italiana, il primo dopoguerra, in cui il ruolo della cultura architettonica e artistica era predominante: era il momento della ricostruzione e attorno a figure carismatiche quali Adriano Olivetti si radunavano intellettuali, scrittori, poeti, registi, architetti, per cercare di progettare la nuova Italia, era il momento in cui le amministrazioni erano più libere di fare e soprattutto facevano e progettavano.
Oggi non si progetta più, nessuno ha il coraggio di farlo, e anche laddove qualcuno ci prova, passati due mesi dalla consegna di due concorsi, in due comuni diversi, uno nell’estremo ovest, l’altro nell’estremo nord-est d’Italia, ancora nessuna risposta da parte di quelle amministrazioni che hanno bandito il concorso. Possibile? È mai possibile che nel 2009 ci vogliano due mesi per decretare il vincitore di una piazza o per ammettere una decina di gruppi alla seconda fase di un concorso? No, non è possibile. E allora non ci rimane che reagire.

«Occorre reagire energicamente contro il pessimismo […]. Esso rappresenta il più grave pericolo, nella situazione nuova che si sta formando nel nostro paese e che troverà la sua sanzione e la sua chiarificazione nella prima legislatura fascista»[3].

[1] Brano tratto dalla canzone Il Mostro, del gruppo italiano Linea 77.
[2] LUCA MOLINARI, Italia 04, scritto pubblicato sulla rivista Area, n. 76, settembre-ottobre 2004, p. 4.
[3] ANTONIO GRAMSCI, Contro il pessimismo, in ANTONIO GRAMSCI, Le opere, a cura di Antonio A. Santucci, Editori Riuniti, Roma, 1997, p.149.

13 commenti:

Anonimo ha detto...

Sono d'accordo con te, ma non pienamente su tutta la linea. Probabilmente avrei preferito che portassi questo argomento su un altro livello. Ma come è tipico del tuo carattere vuoi sempre mettere tutto sul piano della cruda realtà. E certe volte non è che un bene, ma viene un momento in cui uno deve trovare consolazione in qualcosa che va oltre il piano reale.
Quindi provo a farti solo una piccola provocazione.
La mia domanda è: se ti avessi chiesto di parlare del ruolo, non dell'architetto, o dell'intellettuale, nella società odierna, ma per esempio dell'uomo cristiano, che posto ha nel mondo contemporaneo? Dubito che avresti risposto nello stesso modo. Tralasciando le ovvie e banali differenze che ci sono tra l'uno e l'altro e ponendoli su uno stesso piano oltre la ragione e il concreto, l'uomo cristiano così come l'architetto - ma se non vogliamo parlare di architetto, diciamo intellettuale, in senso lato - hanno un ruolo "storico" ben preciso.
Mi spiego meglio: l'intellettuale ha una missione da compiere, proprio come il cristiano. E proprio come il cristiano è stato chiamato – dal Dio delle Idee – a cambiare il mondo.
Forse sono un'inguaribile idealista, forse credo troppo nelle persone.
Ma io penso che con quello che facciamo e quello che diciamo, i pensieri e le parole, con le idee e i discorsi, noi diciamo chi siamo. E che questo rivelarci ci dia il privilegio di poter essere quel qualcuno che conta, nella società. Non andremo in televisione, né sui giornali o alla radio, probabilmente nemmeno mai riusciremo a scrivere libri, ma ciò che siamo è ciò che dimostriamo di essere, sempre.
Il cristiano ha il dovere morale di essere "cristiano nel mondo", cioè deve farsi riconoscere, deve avere quel ‘quid’ in più, deve essere diverso dagli altri, i non cristiani: non basta essere una brava persona per essere un cristiano, ma è comunque un buon inizio. Ma non ci si deve mai dimenticare delle proprie origini, di chi siamo e per che cosa siamo stati messi al mondo, e quindi mai fermarsi e sedersi! E così anche per l’intellettuale, ora possiamo dire l’architetto: il buon costruttore ha un ruolo fondamentale nella società, ciò è innegabile ed è un buon inizio, ma c’è qualcosa che deve andare oltre all’essere costruttore: quando credi in qualcosa e sei convinto di qualcosa, non ci sarà un solo momento nella vita in cui non porterai avanti ciò che credi sia giusto.
Il ruolo dell’architetto oggi: stiamo creando un ponte tra ciò che di splendido c’è stato “ieri” per ciò che avverrà “domani”, continuiamo a lottare e a dire. E costruiamo solo le basi, le fondamenta, del mondo migliore. Io sono convinta che le cose cambieranno, e se sarà così sarà merito anche nostro.
Questo Blog, ad esempio, è cosa buona e giusta.

p.s.: non ho riletto quello che ho scritto, quindi sei autorizzato a cambiare e correggere.

igghins ha detto...

hai scritto quasi esattamente ciò che io penso.
però in italiano e in modo fluente e corretto...

( ma lo dico solo perchè hai citato i linea...)

Anonimo ha detto...

Fabio cosa pretendi da un Paese come l'Italia dove la cultura non solo non deve esistere ma viene cancellata come tutto ciò che potrebbe mettere in moto dei neuroni. Perche quale motivo ci propinano un grandefratello e un serial TV criminal-militare, o giuridico-poliziesco. Solo questo ci meritiamo intanto nessuno pagerà le colpe in questo benedetto assurdo bel paese

Anonimo ha detto...

...le verità cercate per terra, da maiali, tenetevi le ghiande, lasciatemi le ali...

Non è per fare quello di sinistra, che siccome è di sinistra è intellettuale solo lui e gli altri sono niente, però credo che la situazione sia proprio questa.
Era anche il titolo che volevo dare ad una serata dedicata alla scuola...

per tornare strettamente all'architettura, esiste un bellissimo libro del 1964, uscito in accompagnamento ad una mostra tenutasi al MOMA, che si intitola "Architecture without Architect": Architettura senza architetti, di Bernard Rudofsky. Il sottotitolo è: una breve introduzione alla architettura "non - blasonata".
Questo libro e questa mostra molto interessante, nasce anche grazie all'insistenza di Giò Ponti, uno dei padri del'architettura del razionalismo italiano. Il senso ultimo che vi ho trovato, ed il primo in verità perchè l'ho letto proprio la settimana scorsa questo libro, è proprio l'inutilità degli architetti. O forse il loro soppravvalutarsi o essere stati sopravvalutati. Infondo tutto ciò che vediamo di costruito e non riferito ad un'architettura "che ha contribuito a celebrare potere e ricchezza", nasce, si sviluppa e costruisce per rispondre alle esigenze di chi quegli edifici dovrà abitarli per anni.

Se il tuo è stato un declinare il ruolo dell'architetto anche da un punto di vista sociale e culturale, io ho voluto(ma quasi per fatalità dato le coincidenze di letture del libro e del tuo blog) provare a fare una riflessione forse più interna all'architettura. Spero almeno non sia stata pesante e vuota.

Claudio

Fabio Pravettoni ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Anonimo ha detto...

Una piccola puntualizzazione a Claudio:
Nel tuo post hai detto che "Giò Ponti" è da considerarsi "uno dei padri del'architettura del razionalismo italiano". Non sono d'accordo e se devo essere sincera, inizialmente avevo pensato di risponderti subito, scrivendo il mio disappunto. Ma ci ho riflettuto. Premetto che non ho letto il libro di Rudofsky e so molto poco riguardo al MOMA.
Non riuscivo a capire come si potesse definire Giò Ponti un razionalista, non riuscivo a capire come ti potesse essere venuto in mente la definizione "padre del razionalismo". A me vengono in mente nomi come Terragni, Pagano, Figini e Pollini, il "Gruppo 7"...ma Ponti, no!
So che il Razionalismo è stato portato in Italia dai comaschi e dai milanesi, in ritardo rispetto agli altri stati europei, negli anni che succedono all'uscita di due importantissimi libri "Vers une architecture" di Le Corbusier, uscito nel 1923, e "Internationale Architektur" di Gropius del 1925. In Italia con il "Gruppo 7" verrà scritto una specie di, potremmo chiamarlo, "manifesto razionalista", nel 1926-27. Quello che non mi è chiaro è: Giò Ponti cosa stava facendo per il Razionalismo? O di razionalista? In quegli anni, mentre Terragni progettava e costruiva il Novocomum, Ponti costruiva la Villa Bouilhet, con colonnine e frontoni spezzati; il Tempio per la Vittoria in Sant'Ambrogio, di un classicismo spaventevole, la casa in via Domenichino, le sue "domus" o case tipiche...e potrei andare avanti. Archi, colonnine, frontoni, ordini…cosa c’è di razionalista in questo? Non c'è nulla di razionalista! E' assolutamente "novecentista" e tipicamente milanese. Ma riflettendo ho pensato che tutto sommato era anche nato 15 anni prima di Terragni, e a modo suo cercava di distaccarsi dal Liberty e dall’Art Dèco milanese, può essere paragonabile a un Muzio (che però costruiva la Ca’ Brutta nel ’18, mi pare) o ad un Sironi: che compiono un passo avanti rispetto al decorativismo ottocentesco, ma creando una Scuola che non possiamo di certo definire razionalista, solo perché rinunciava al decoro e all'ornamento!

Anonimo ha detto...

La dicotomia è la divisione di un'entità in due parti mutuamente esclusive.

Fabio Pravettoni ha detto...

Anche perché, caro Claudio, l'identificazione sinistra-cultura non esiste più, purtroppo, da un pezzo, e salvo rarissimi casi, rarissimi intellettuali, gli altri sono per lo più estromessi, a destra come a sinistra, semplicemente perché scomodi... Si prefarisce il buon burocrate o il buon esecutore, quello difficilmente ti vota contro se fai cazzate, quello esegue...

Anonimo ha detto...

Per Veronica:
Si hai ragione, ho sbagliato, ma nel '32 a Roma Ponti fa l'istituto di matematica. Forse non fa parte di que periodo eroico, delle avanguardie, però credo che lo si possa defoinire razionalista. Comunque non voglio sindacare perchè non sono, come te, un cultore della storia dell'architettura.

Per Fabio:
scusa ma, forse per colpa mia, non ho compreso il nesso tra la tua risposta e il mio post...ti puoi spiegare meglio?

Claudio

Fabio Pravettoni ha detto...

Niente Claudio, non avevo da dire nel merito dello scritto, azni, ma nel merito del tuo "Non è per fare quello di sinistra, che siccome è di sinistra è intellettuale solo lui e gli altri sono niente". Non mi piace e non mi è mai piaciuto (anche se so che si dice con leggerezza) accostare cultura e sinistra. E quell'accostamento, fatto oggi, non negli anni '30 o '50, quando aveva senso, mi ha fatto venire il brivido, pure essendo io di sinistra (e non di centro sinistra), forse...anche perché ormai non ci si capisce più niente tra destra e sinistra, meglio dire pure sentendomi io stesso progressista mi vengono i brividi quando si accosta cultura a sinistra. Soprattutto a questa nostra sinistra italiana. Tranne Cacciari e pochi altri quanti e quali uomini di cultura ci sono nel PD, cosa fanno? A livello locale quanti uomini diciamo di cultura, cioè legati alla scuola, all'universià, o semplicemente laureati, facenti parte di circoli culturali indipendenti, ecc, trovano posto nelle fila del PD? E quanti uomini formatisi nelle fila del partito degli anni '70-'80? Solo questo per il resto d'accordo...

Anonimo ha detto...

Ok, ora mi è chiaro cosa volevi dire.
Abbiamo anche avuto modo di parlarne in qualche occasione ormai qualche tempo fa, e ricordo che ci siamo trovati d'accordo. infatti ho scritto che non voglio fare ciò che bene tu hai scritto.
Anche io credo nella difficoltà dell'approccio alla cultura da parte della nostra classe dirigente. Io credo che se nel PD oggi non ci sono personaggi di cultura, non è detto che non potranno essercene in futuro..anzi!!!ma la mia non è una speranza ma una certezza.

Anonimo ha detto...

good start

Anonimo ha detto...

Si, probabilmente lo e