mercoledì 25 marzo 2009

Un progetto per la Milano Romana















Il rapporto tra monumenti, rovine e vita quotidiana è una questione che «sembra improponibile oggi, anche se l’incuria e il degrado del nostro patrimonio monumentale sono sotto gli occhi di tutti»[1]. Il moltiplicarsi degli scavi e delle scoperte archeologiche, e la crescente importanza della dimensione sotterranea delle città europee, hanno prodotto un sistema diffuso di cicatrici e di ferite, che testimoniano il grave dissidio tra sistemazione architettonica, esigenze di scientificità della conservazione e proseguimento delle campagne di scavo. Dove proseguire gli scavi? È possibile intendere lo scavo come momento evocativo della città antica e fondativo di quella contemporanea?



















La città di Milano e in particolare il caso specifico dell’area dell’antico circo romano rappresentano un esempio concreto e reale per poter costruire un ragionamento sulla città contemporanea e sulla presenza dell’antico nella città moderna.

Come in altre città europee, la romanità di Milano non è un fatto tangibile o evidente, ma celato e sottostante, ha natura virtuale e passa attraverso la persistenza di alcuni caratteri formali, o di alcuni tracciati, monumenti e toponimi. Abitata già nel V sec. a.C., in epoca Golasecchiana, Milano fu prima città celtica, Insubre, poi a partire dal II sec. a.C. fu lentamente romanizzata, fino a diventare colonia nell’89 a.C. e municipio nel 49 a.C.
Milano è una città che ha sempre distrutto il suo passato riedificandosi su di esso, tuttavia l’eredità romana si manifesta ancora in diverse zone della città: le colonne e la basilica di San Lorenzo, i resti dell’antico anfiteatro, la zona del circo tardoantico (late roman). Quest’ultima in particolare è nota per avere conservato alcune delle poche testimonianze in elevato della città romana: una torre e alcuni tratti delle mura dell’imperatore Massimiano[2] e la torre dei carceres[3] del circo, trasformata nel medioevo in campanile della chiesa di San Maurizio.
Realizzato tra il 293 e il 294 d.C.[4], il circo era monumento di dimensioni imponenti e misurava «esternamente m 470 in lunghezza e 85 in larghezza»[5].
Forse in memoria degli spettacoli e dei riti che aveva ospitato il circo rimane nell’alto medioevo luogo di assemblea e di vita sociale – nel 604 d.C. vi fu incoronato il re Longobardo Adoloaldo –, quindi lentamente inizia a trasformarsi con il progressivo insediamento tra le sue mura, prima di una serie di monasteri femminili, poi di ville e palazzi signorili. Ciò che più colpisce infatti è il destino urbano che ha subito il circo, uno dei monumenti più importanti della città antica, e il modo in cui esso si è riconvertito in una delle parti più belle della città. Va ricordato poi che il circo era un elemento liminare della città: era cioè un ampliamento di quella città compatta che stava rinserrata nelle sue mura e rimaneva ben distinta dal territorio che l’avvolgeva tutt’intorno, un territorio fatto di strade e necropoli, edifici utilitari, luoghi religiosi e campagne, e forse anche per questo i monasteri femminili, che forse avevano bisogno di maggiore protezione, si insediano all’interno della città e del circo, mentre i grandi monasteri maschili di S.Ambrogio e S.Francesco si costruiscono sul limite ovest dell’edificio, al di fuori della città antica. E questo carattere liminare persiste ancora oggi: la parte urbana che si costituisce dentro e sopra il circo, e che allontanandosene ne raccoglie l’eredità e la forma, seguita a costruirsi secondo il tracciato del circo e l’asse nord-sud, mentre la realtà sparsa, fatta di un sistema di terreni sgombri e di strutture isolate – almeno fino alla metà del novecento –, profondamente diversa che è quella della zona di Sant’Ambrogio si costruisce secondo la direzione della città e l’asse nordovest-sudest.

Il circo milanese, quasi scomparso nella memoria comune e collettiva, e certamente scomparso e invisibile come manufatto, sopravvive a tratti nella memoria erudita, così alcune strade e alcuni toponimi richiamano il vecchio edificio, e più ancora rimane come fatto fondativo di una parte di città. Progettare nella zona del circo, nella zona più importante del circo, quella dei carceres, trasformata prima in sede del più grande monastero femminile di Milano, il Monastero Maggiore, con una delle chiese più belle di Milano, la chiesa di San Maurizio, quindi quasi completamente distrutta dai bombardamenti alleati del 1943, vuol dire farsi carico della storia di quel luogo. Il circo è contenuto nella città contemporanea come le linee su un palmo di una mano. Capire la romanità di Milano, studiare i punti di conflitto tra la città antica e la città moderna, vuol dire lavorare e progettare cercando di riconsiderare le zone archeologiche della città non come ferite, ma come parte concreta della città attuale.
Un progetto per una zona così densa di testimonianze e di storia deve porre in primo piano la lezione dei monumenti e insieme confrontarsi con le implicazioni civili che costruendosi instaura rispetto alla città contemporanea, per migliorarla, attraverso la ricchezza e il senso evocativo delle opere antiche. Il progetto di ampliamento del Museo Archeologico di Milano, oggi compresso nei locali sopravvissuti alla distruzione dell’antico Monastero Maggiore, ha una doppia valenza, da un lato tentare di ridefinire la forma degli scavi archeologici, capire dove proseguirli, e se possono attraverso la forma evocare una nuova città, dall’altro ricucire e recuperare una memoria antica, la memoria del circo e insieme la memoria dell’antico monastero distrutto tra XIX e XX secolo nella quotidianità dell’uso di un museo.



[1] GIORGIO GRASSI, Teatro Romano di Brescia. Progetto di restituzione e riabilitazione, Documenti di Architettura, Electa, Milano, 2003, p. 7.
[2] Marco Aurelio Valerio Massimiano Erculeo, detto Massimiano (Marcus Aurelius Valerius Maximianus Herculius), nato a Sirmium, nel 250 circa e morto a Massilia, nel luglio del 310 d.C. Fu cesare dal luglio 285 e poi augusto dal 1 aprile 286 al 1 maggio 305 dell'Impero romano. Condivise quest'ultimo titolo con il suo amico, co-imperatore Diocleziano.
[3] I carceres erano gli stalli di partenza dei carri, le bighe, che gareggiavano nel circo. Occupavano uno dei lati minori del circo, l’altro era curvo e occupato dalle gradinate come i lati lunghi, e normalmente erano disposti secondo una linea leggermente curva, studiata in modo tale che ogni stallo di partenza doveva trovarsi alla stessa distanza dall’inizio del rettilineo, segnalato dalla spina centrale del circo, in modo da non avvantaggiare nessun concorrente.
[4] Cfr. ANTONIO FROVA, Il circo di Milano e i circhi di età tetrarchica, in AA.VV., Milano capitale dell’impero romano, 286-402 d.C., catalogo della mostra tenuta al Palazzo Reale di Milano, dal 24 gennaio al 22 aprile 1990, Amilcare Pizzi Editore, Milano, 1990, pp. 423-431.
[5] Cfr. ANTONIO FROVA, Il circo di Milano…, cit. alla nota 4, p. 423.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Attendevo con trepidazione un nuovo post, ma - con tutto rispetto per la Milano Romana che ha sempre esercitato su di me un gran fascino (mai come quella preromana eh!) - mi aspettavo un autorevole commento sulle "novità" del PGT...

Fabio Pravettoni ha detto...

Vedi caro Sergio, anch'io sto diventando servo del potere...ahahhaha. No in realtà sono stato via per lavoro (e per arrivare terzo agli assoluti di sci architetti eheheh) e non ne so molte di novità territorialgovernative intendo, ma mi informo...un abbraccio